Per cogliere l’attimo esatto in cui le cose accadono quando è giunto il loro momento occorrono uno sguardo e un senso del tempo allenati, come quello dei poeti. Angelo Andreotti – nato a Ferrara, dove dirige i Musei d’arte antica e storico scientifici – scrive versi, racconti e saggi su arti visive e letteratura.
Risveglio
La voce che nel sonno fu richiamo
scagliando il tempo sulla schiena di un sogno
stupì il buio
ruppe le ore.
Non in quel che disse
ma dentro al suono
avvertimmo un senso come in lontananza:
parole sorrise
che deciframmo
dai bisbigli nella stanza accanto
svuotata e chiusa da molte stagioni.
Nel riflesso di uno specchio
sentimmo battere a una porta chiusa.
Un respiro entrò dalla finestra
gonfiando le tende in bianca aria
mentre le lunghe braccia dei frassini
trattenevano il cielo a distanza.
Il vento
nel giardino
prese il passo pensoso di un dio:
meditando tutto toccava
ma nulla afferrava
se non qualche odore
e gli echi
di un chiamare di cui si è perso il nome.
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L’opera
Se puoi
comprendi il canto degli uccelli
che tiene su il cielo
e di esso la lingua
con cui si annunciano le cose belle
tenute in corpo da chi sai toccare.
Purché nel cuore immobile del tempo
meraviglia e tremore colpiscano
nel corpo dell’altro l’opera si aggrega
e l’estasi sapiente del sentire
da quella vita alla tua vita sale.
Così l’anima avvolge la mente
distoglie distanza al giudizio
e trasmuta il toccare in ascolto
e l’ascolto in semente
che alla terra consegna le mani
per chiudere gli occhi in chiarezza
per guardare il pudore del mondo.
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Semplificando
Ci accolse l’odore del fiume
l’oscuro suono delle sue acque in piena
a gorgogliare tra le cime di alberi
rimasti in panne nel mezzo di un guado
mentre il corso svuotava il suo inverno
smaltendo fango sotto un cielo mite.
Come i banchi sabbiosi di una laguna
dagli orli di un rosa dorato
le nubi si lasciarono solcare
dallo spirito bianco di un airone.
Semplificando tutto in uno sguardo
fummo soglia varcata da luce,
fummo
il privilegio di essere presenti
attraverso le cose
e attraverso le cose
fare un solo mondo di noi e del paesaggio.
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A tempo debito
Il canto del torrente è di acqua e ciottoli
e il vento che si porta sulla schiena
è fiato di chi viene da lontano
seguendo gli argini fruscianti e rochi
di un bosco giunto al limite dell’ombra
dove si è arresa inutile di senso
la chiglia rovesciata di una barca.
Dalla casa deserta in riva al prato
sporgendosi dai suoni di acqua e ciottoli
escono voci che forse rispondono
a domande rimaste in sospeso
da lungo tempo
confitte nell’attimo
ai margini della memoria
come in terra gli scalmi della barca.
Sarà dilatando l’istante
che potremo essere questo paesaggio
e riprendere il viaggio sulla barca
senza chiglia e senza scalmi
pur tuttavia remando tra acqua e ciottoli
dove il torrente nasconde domande
che sapremo a tempo debito
poiché l’attesa
è già il compiersi di ogni accadimento.
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Pazienza
E come la pienezza di un abbraccio
sta nel vuoto tra i corpi
così il vento
tra le cose raccoglie sé stesso.
Fin qui giungono le urla del mondo
ma non varcano l’uscio di casa.
Facendo strada agli uccelli di passo
l’autunno del ginkgo biloba
afferra il vento nel giallo
e dice
quella pazienza che ha il tempo di attendersi
fin quando tutto non sarà compiuto.
Dal lontano di un cielo senza luce
le onde lisce del fiume raccontano
la consolante accoglienza del mare
la tregua provvisoria
l’orizzonte
stretto in una ferita che non si asciuga.
Ma intanto piove e brillano i tetti.
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IX
Le case ci guardano,
trattengono ogni evento, continuano a ospitare
i nostri ricordi mantenendoli presenti,
senza distinguere l’avvicendarsi dei tempi.
Le case ci abitano, ci seguono ovunque
anche in altre case
di altre città
in altri luoghi,
ciascuna in una stanza della nuova casa
con il suo arredo, con le sue presenze,
pronte a ospitarci ancora una volta, sempre ancora.
Quando ci troveremo saremo ormai distanti.
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XI
Io non so se il tempo sia un dio, un essere alato,
l’imperfetta ostinazione di un cronometro,
oppure una menomazione dell’eternità
in bilico tra misericordia e redenzione,
quello che so è di averne un sentimento inafferrabile.
Curvo è il tempo, e curva è la vita,
in apparenza nascosti l’uno dentro l’altra,
entrambi intenti a unire fine e principio
senza che fine e principio giungano a toccarsi.
Noi, stretti tra le spire di questa via perenne,
in fondo nulla chiediamo
e nulla vogliamo
se non quel po’ di spazio tra vita e tempo
che ci consenta di schivare il dolore
della mancanza, dell’assenza, del provvisorio.
Ma il dolore è il prezzo pagato agli dei
che non sanno,
se non da noi,
la gioiosa esultanza di ogni inizio
e la sconcertante ignoranza del dopo
che sbreccia i recinti del possibile.
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XII
Quando ci saremo persi saremo vicini
e non sarà più tardi per la misericordia,
per una tavola apparecchiata, o un abbraccio
proteso fin dove arrivano le mani,
molto più in là di quanto può lo sguardo incapace.
A tempo e luogo tutto accade, e poiché accade
nulla accade invano, e mille volte ritorna
in ricordi che noi riassaporiamo, oppure
che setacciamo ancora e ancora
per comprendere
dove abbiamo perso il filo, dove l’occasione,
messi all’angolo dal dubbio che mai chiariremo
se il perdere
anziché una sconfitta
non sia stata la cosa giusta.
Con la pervicacia dell’onda che torna a riva
viviamo più giorni di quanti ne abbiamo trascorsi.
Abbiamo vissuto quel passato, e viviamo
i tanti presenti che tornano a ricordarlo,
e ogni volta è reale il sentimento, l’emozione,
e ogni volta è viva la ferita, o la gioia.