Il vento, da millenni, spinge, feconda e sconvolge il Mediterraneo, contribuendo a scolpirne la storia. Il giornalista Enrico Gurioli descrive questo elemento così impalpabile, compagno di navigate avventurose o di più tranquille passeggiate.
Il vento si sente, si ascolta; non si vede. Nessuno lo ha mai visto, il vento. Semmai ha visto i danni provocati dalla sua forza, dalla sua velocità, dalla sua furia. I marinai lo sentono, lo sanno distinguere, decifrare e come i poeti lo sanno descrivere e raccontare con poche parole. Per Cristina Campo “sulla lucida trasparenza di un vento; l’oro dell’onda risplende delle sue nitide maschere; sul fine rinnovarsi delle sabbie le sue leggende s’iscrivono tenaci”. È il contraccolpo profondo alla ragione suscitato da quella definizione di “lucida trasparenza” che ti fa raccontare il vento come un pensiero di una immagine mossa. “Io sono pazzo soltanto col nord-nordovest; se il vento soffia da sud, so distinguere un airone da un falco” farà dire William Shakespeare al suo Amleto.
Il forte vento fa parte di alcuni dei fenomeni atmosferici che possono incidere negativamente sui sensi dell’uomo. Il rituale misterioso con cui si formano queste masse d’aria in movimento resta tale anche dopo una loro complessa spiegazione scientifica: nessuno è mai riuscito a completarne l’essenza attraverso formule matematiche o a ingabbiarle in rigorose teorie logiche per renderle riproducibili nella loro forza. Si sa da dove arrivano ma non dove vanno a finire. Improvvisamente smettono di respirare. Cessano di esistere e tutto sembra tornare come prima. È stata definita circolazione atmosferica, questo complesso, imperscrutabile movimento del vento, generato, pare, dall’ambiente riscaldato dai raggi del Sole che si muove assieme al pianeta Terra. I venti, tutti i venti, hanno personalità e un nome; sono tutti nomi importanti che da soli dichiarano fin da subito il grado di rilevanza di questi illustri abitanti della terra.
Nel Mediterraneo il vento è di casa. Sempre.
Se fossero esclusivamente figli di questo mare si potrebbe affermare con grande perentorietà che i venti nascono fra questi luoghi, tra queste isole. Il Mediterraneo per l’Europa, più che un luogo geografico, è un concetto, un’idea: qualcosa di ben stratificato nella memoria dell’umanità. È anche un posto speciale, la culla della cultura occidentale, oltre che della sua continua rielaborazione. È il luogo di scontro e di confronto delle tre religioni del Libro: quella di Mosè, quella di Gesù di Nazaret, quella di Maometto. Le acque del Mediterraneo bagnano ben ventidue paesi, con storie complementari ma ognuna con il suo caratteristico vento.
I venti plasmano le coste, pettinano i monti, scatenano le onde del mare. Danno vita a quell’impenetrabile groviglio di verde composto da lentisco, ginepro, mirto, corbezzolo che sembra strisciare per terra per difendersi da loro. È la macchia mediterranea. Dal mare la vedi come se gli arbusti fossero stati selezionati per proteggere la terra in tante direzioni di crescita. Tutte sottovvento! Sono stati rasati a scalare da un barbiere dispettoso. I primi arbusti sono striscianti, nani; difendono gli altri che possono svilupparsi qualche gradino in più in altezza fino a trovare lentischi o olivastri alti con chiome fittissime falciate dalle raffiche. Poi i pini ripiegati al volere degli dei e immediatamente dopo i lecci, insieme a formare la foresta fra terre sconosciute, quella che doveva apparire a Enea quando approdò sulle antiche coste italiche. Fino alle montagne dove vegeta il pino mugo e sopravvive piegato dal tempo il pino loricato di un Pollino esposto a due mari.
[…]
Garbin, Garbino e Libeccio. Aria che spira
Il severo Libeccio è considerato dalla meteorologia ufficiale un vento prevalente, insomma “aria che spira”, come direbbe Seneca, dal largo e da sud-ovest, con un’alta frequenza di apparizioni. I marinai del traghettino che collega Malta a Gozo preferiscono restare ormeggiati alle moderne banchine dei rispettivi approdi di Mgarr e di Cirkewwa, quando il tremendo Libeccio gli arriva addosso dalla Libia. Ne sanno qualcosa anche gli ormeggiatori di Livorno, quando si trovano a dover rinforzare gli ormeggi delle navi in porto. All’inizio dell’inverno non promette mai nulla di buono. Non sempre si parte.
A bordo di una imbarcazione a vela il Libeccio ti offre un’esperienza particolare navigando con una velatura gonfiata da un vento costante in un mare mosso da onde uniformi. La più grossolana delle interpretazioni del Libeccio – dall’arabo volgare lebek, prestato dal greco libikòs: “versare gocce, piangere” – si manifesta quando la parola libeccio viene usata per indicare una direzione riferita a un punto cardinale. Esiste una raffinatezza di pensiero, per chi è solito andar per mare, originata dal saper distinguere a naso – il vento si fiuta – non solo la direzione ma anche la sua origine. Si tratta di sfumature non percepite dalla suddivisione fatta dall’ammiraglio Beaufort e perse nel linguaggio abituale.
In Adriatico il Garbino, vento che spira da terra o da libeccio, è diventato, soprattutto per improvvisati marinai, sinonimo di Libeccio, come se in questo tratto di mare, definito un tempo “Golfo di Venezia”, il vero vento da sud-ovest fosse scomparso per sempre fra le montagne dell’Appennino, sostituito dal Garbino.
La laguna si presenta al mare con discrezione. La senti, l’avverti anche quando il Libeccio, che da queste parti si chiama Garbin, vorrebbe tenerti lontano e ti manda sul volto silenzi un po’ strani. Venezia è là. Non si vede. Appare nel suo potente splendore.
Il Libeccio interessa principalmente la Corsica settentrionale, diventando il vento predominante sia nel Golfo ligure che nell’alta Toscana, tuttavia non perde, nei giorni in cui soffia forte, la sua caratteristica di vento regnante anche in Adriatico. Si può obiettare che il Garbino in Adriatico arrivi anch’esso da sud-ovest; i vecchi pescatori marchigiani sanno che questo vento secco giungendo da qualche grado in più o in meno da sud-ovest, non sempre si presenta al termine di una perturbazione. Non è un Libecciolo, come direbbero i marinai del Tirreno, e nemmeno il Furiano dell’Adriatico che arriva tra mezzogiorno e libeccio increspando le onde dell’estate. In altri termini viene sostituito dal locale Garbino.
Il Garbino della costa adriatica è quasi ostentato dalle marinerie locali, proprio per la sua personalità padana e italica: è una corrente d’aria calda e secca che si muove dalla bassa Lombardia arrivando nelle ore pomeridiane, da terra, fra gli ombrelloni della riviera romagnola, nelle Marche e in Abruzzo rendendo non sempre agevole l’ingresso nei porti canali della costa orientale italiana. È la fortuna dei gabbiani. I pesciolini salgono sulla cresta dell’onda lasciandosi trasportare dal mare e i gabbiani dal vento. Si librano controvento per poi tuffarsi sicuri fra le onde. Anche nella dirimpettaia Croazia il vento umido che arriva dal mare si chiama Garbin ma è un vento che arriva da nord-ovest.
In Portogallo il vento che arriva da sud-ovest si chiama Garbin perché arriva da Al’Garb, antico nome dell’Africa; è il Libeccio Mezzogiorno. A testimonianza di ciò c’è anche il racconto che Pietro Querini fa del suo naufragio nell’arcipelago norvegese delle isole Lofoten. Passata la Rocca di Gibilterra e superato Capo San Vincenzo in favore di Agione – il vento da nord-est che arriva dalla costa portoghese – egli si diresse in pieno Atlantico verso le Canarie.
Ciò avvenne nel 1431, sessant’uno anni prima della scoperta delle Americhe e il fatto di navigare verso isole sconosciute non rendeva certo tranquillo l’equipaggio del patrizio veneziano Querini. “Pure piacque a Dio di porgermi rimedio e conforto, aiutandomi il vento in segno di garbino; per ritrovare la tanto desiderata terra drizzammo prora e vela verso il greco, e per due giorni quasi in poppa andavamo con le vele alzate”. Non sapeva di essere entrato in un Aliseo. Di lì a poco giunse nel porto di Lisbona, e poi il naufragio con la scoperta del baccalà!
Per una malaccorta interpretazione della scala, Beaufort accomuna tutte le brezze che arrivano da southwest nel generale e mediterraneo nome di Libeccio o Garbino, sinonimi di un vento proveniente da una improbabile Libia, con folate che nel Golfo del Leone si osservano arrivare dal sud-ovest della Francia dove si insinua tra le lapidi dei cimiteri marini.
“Si alza il vento, bisogna tentare di vivere” scriverà Paul Valéry nel suo Le cimetière marin. Alla sua morte il cimitero di Saint-Charles a Sète, il secondo porto della Francia nel Mediterraneo dopo Marsiglia, fu ribattezzato “Cimitero marino” e lì fu sepolto lo scrittore. Qualche anno più tardi, il cantautore Georges Brassens – concittadino di Paul Valéry – compose Supplique pour étre enterré à la plage de Sète […]. Chiedeva di essere tumulato sulla spiaggia di Sète, così da avere una sepoltura ancora più esposta al vento.