10 ottobre 2013
Insegnante di lettere a Villa Minozzo, Emanuele Ferrari vive a Casina, un paese sulle colline dell’Appennino reggiano. Nel 2008, per l’editore ABao AQu, ha pubblicato il libro Un posto dove guardare. Oltre a scrivere racconti e a curare adattamenti teatrali, amministra il Teatro Bismantova di Castelnovo ne’ Monti.
Per Azio, tutti e due.
Io quando penso al nome Azio, la prima cosa che mi viene in mente è mio nonno Azio.
Mio nonno Azio io non l’ho mai conosciuto, visto che è morto il primo dicembre del 1968 e io sono nato il primo aprile di sei anni dopo.
Io però di mio nonno Azio porto il nome, per la precisione il secondo, visto che ne ho anche un terzo, Martino, che mi hanno dato perché era il nome del dottore del paese, morto il 31 di marzo del 1974, un giorno prima che io venissi al mondo.
Mio nonno Azio era un uomo alto e io nelle foto l’ho sempre visto con i capelli d’argento e la brillantina Linetti, che non si muoveva neppure un capello, neppure nella foto. Spesso mi dicevano portava gli occhiali da sole, si vestiva con la cravatta, le giacche scure e le camicie bianche, amava molto il pugilato e il ciclismo, da giovane aveva anche praticato il salto con gli sci. Tifava per il Bologna e andava al bar con gli amici a discutere di politica, poi beveva un bicchiere di Barbera e ogni tanto anche del vino toscano. Non mi sembra che fosse proprio ateo, ma quelli che sgranavano troppi rosari li chiamava amabilmente baciacorona e ogni tanto, quando gli sembrava che le cose andavano male, si lasciava scappare questa frase: Dio mi scampi da un Baciacorona! Poi gli passava in fretta e pensava alla socialdemocrazia e tutte le volte che ci pensava, gli sembrava che prima o poi tutte le cose che andavano male, sarebbero tornare al loro posto, che ci avrebbe pensato Saragat o quelli che venivano dopo di lui. Amava anche i profumi e anche a me sono sempre piaciuti. Durante la guerra era stato richiamato, appena dopo essersi sposato con mia nonna, poi l’avevano preso i tedeschi e l’avevano deportato in Germania, in uno dei campi di prigionia per gli Internati Militari Italiani. Da quel campo scriveva spesso a mia nonna e si raccomandava per la sua salute, mangiava pochissimo, spesso erano soltanto pelli di patate e continuava a scrivere delle lettere su dei quaderni piccoli e neri, che oggi ha conservato mio zio Neno. Anche a me oggi piace scrivere sui dei quaderni piccoli e neri.
Per tutta la vita ha lavorato in Comune, provando a dare una mano a quelli che avevano bisogno, semplicemente e senza troppi giri di parole, per una volta nella sua vita gli sarebbe piaciuto vincere le elezioni comunali e strappare il Comune ai comunisti, ma credo che questa cosa non abbia fatto in tempo a vederla. Tutte le volte che perdeva le elezioni, a casa sua si presentava il fratello di mia nonna, Camillo, che era comunista. Veniva con un fiasco di vino, si sedevano e lo bevevano tutto, il silenzio. Stavano alzati fino a notte fonda, così.
Mio nonno Azio è morto che era proprio giovane e anche oggi, quando mia nonna ne parla, dice sempre Il mio Azio, dice che era troppo giovane e che forse era morto così giovane per via delle cose che aveva patito in guerra e nella prigionia. Anche se non l’ho conosciuto, mio nonno Azio, ho la strana sensazione che da un certo punto della mia vita, ho iniziato a sentire molto forte la sua presenza, ho iniziato in un certo modo a parlare con lui, e quando è successo io non stavo troppo bene e questa sua presenza, l’ho sentito in un modo impossibile da dire con le parole, questa sua presenza, so che mi ha dato una mano a venirne fuori e mi ricordo anche che andavo spesso al cimitero, nella galleria dove l’hanno sepolto, di fronte alla sua foto e rimanevo lì in silenzio a parlare con lui, e anche se alla fine non avevo compreso tutte le parole, uscivo dal cancello del cimitero che mi sentivo più leggero e più fiducioso, che prima o poi tutte le cose che a quel tempo andavano male, si sarebbero messe a posto, che c’era una specie di sole in arrivo, come quello della socialdemocrazia, e in effetti poi è stato così, le cose si sono messe a posto.
La seconda cosa che mi viene in mente quando penso al nome Azio, è la battaglia di Azio, quella al largo delle coste egiziane, il 31 avanti Cristo, quella dove Ottaviano sconfigge Marco Antonio e Cleopatra si fa uccidere dal veleno di un serpente. Ma questa cosa, ora che ci penso, è una cosa che finisce qui, non so come continuare e allora è meglio che io passi alla terza cosa.
La terza cosa che mi viene in mente quando penso al nome Azio, è Guerrino, detto anche Guerro o anche Tuttù, e io per tanto tempo ho sempre pensato che si chiamasse davvero Guerrino, solo un giorno, che per la prima volta ho visto un suo quadro, ho visto che c’era la firma Azio e ho pensato, Veh Guerro si chiama come mio nonno, si chiama come me.
Da quel giorno io Guerrino non lo chiamo più Guerrino, lo chiamo Azio, anzi spesso lo chiamo Azio il pittore. Quando ci incontriamo succede quasi sempre o al bar o per la strada e tutti e due ci fermiamo per un attimo e parliamo di qualcosa.
Parliamo di caffè, di quadri, di pittura e ci sono delle volte che Azio mi chiede cosa faccio e quando io gli dico che scrivo, lui mi chiede cosa scrivo e quando io gli dico che scrivo dei racconti e che ogni tanto in questi racconti ci finisce dentro anche lui, lui si ferma un attimo e mi dice: Perché non scrivi delle poesie?
Poi ci sono dei giorni che Azio mi fa vedere i suoi quadri e sono i giorni dove restiamo a parlare di più, ma sono anche quelli dove restiamo di più in silenzio e quando succede io ho la sensazione che in quel silenzio lì, stiamo continuando a parlare, anzi ho la sensazione che solo in quel silenzio lì noi ci parliamo per davvero.
Ma oggi, che è uno di quei giorni dove scrivo e metto in fila le cose, oggi mi viene da scrivere un elenco delle cose che ci siamo detti io e Azio, sia quando parlavamo, sia quando stavamo in silenzio e parlavamo davvero. Eccole qui di seguito come in una lista della spesa.
1.
Una volta Azio mi ha detto che per lui, una delle cose più belle è alzarsi al mattino presto e camminare che è ancora buio e arrivare fino alla chiesa e poi tornare indietro e sentire anche un po’ di freddo, che un po’ di freddo c’è sempre, tutti i giorni.
2.
Una volta ho preso in mano un suo quadro e gli ho chiesto cosa era e Azio mi ha detto che era una foresta in fiamme e quando io gli ho chiesto perché le fiamme erano azzurre, Azio mi ha guardato e ha detto che le fiamme sono di tutti i colori.
3.
Un’altra volta Azio mi ha detto che lui va a letto presto la sera e che ci sono delle volte che prima di andare a letto, prende i suoi disegni e li mette tutti sul letto e li guarda tutti insieme per un po’, poi li tira via e li mette dentro l’album e poi va a letto e Azio dice anche che questa cosa qui, dei disegni sul letto da guardare tutti insieme, per lui è meglio della televisione. Molto meglio.
4.
Una volta ho chiesto ad Azio perché non usava le tempere per fare i suoi quadri e lui mi ha risposto dicendo che le tempere sporcano e lui preferisce le matite e i pastelli.
5.
Le nature morte di Azio sono davvero morte, nel senso che ci sono soltanto cose morte o cose che non sono mai vissute. Ci sono soprattutto vasi di fiori, fiori, frutta, specialmente degli ananas, bottiglie.
6.
Una volta ho chiesto ad Azio perché nelle sue nature morte non c’è mai del pane e lui mi ha detto che il pane non ci va nelle nature morte, Stai scherzando!
7.
Io ho un quadro di Azio dove c’è una casa rosa e dietro questa casa c’è un enorme cielo viola e sotto la casa un enorme prato verde giallo e anche viola e tutte le volte che lo guardo, il cielo e il prato mi danno una grande sensazione di pace, mentre se guardo la casa, scopro tutte le volte che la casa ha solo il tetto e le mura e che non ci sono finestre e neanche una porta e allora, tutte le volte che mi fermo a guardare la casa nel quadro di Azio, mi torna in mente una poesia di Pascoli, quella che si chiama Il lampo, dove a un certo punto, nel buio della notte, il lampo illumina una casa bianca, che poi scompare, come un occhio che si apre e si chiude.
8.
Un altro quadro di Azio che mi piace particolarmente è quello che si chiama Azio Pagliaccio e che penso sia un suo autoritratto. Le linee sono molto semplici, a volte quasi invisibili, si perdono nel bianco, ma in mezzo al bianco viene fuori il naso rosso e due occhi che ti guardano e anche se quei due occhi lì sono lontanissimi dagli occhi veri di Azio, lo sguardo è il suo, uno sguardo fragile, con sempre un velo di acqua negli occhi, uno sguardo che non solo ti guarda, ma è sempre anche un po’ oltre, come se dietro di te ci fosse la sola cosa che vale la pena di guardare, una cosa che però, non appena tu scompari e ti togli alla vista dello sguardo di Azio, anche lei, anche quella cosa lì è già scomparsa, non c’è più, e nello sguardo di Azio, mentre ti guarda, c’è tutta la speranza che si trova nelle cose perdute, nelle cose che spariscono alla vista, ancora prima di vederle per davvero, per la prima volta.
9.
Un’altra volta Azio mi ha detto che quando ha le matite a lui piace il disegno geometrico e allora disegna delle macchine. Se invece ha i colori disegna dei paesaggi oppure degli animali o dei ritratti o delle nature morte. Smette di disegnare quando ha finito i colori, oppure le matite, mi ha detto una volta, mentre beveva il caffè.
10.
Ho tenuto i quadri di Azio in una cartella e ci sono delle volte che prendo in mano questa cartella e la apro e li sfoglio uno per uno e mi viene voglia subito di andare a prendere uno dei miei piccoli quaderni neri e scriverci sopra qualcosa. Poi mi fermo un attimo e mi torna in mente una frase di un grande pittore che si chiamava Franz Kline e che diceva che la sua pittura non aveva a che fare con il conoscere, ma con il donare. E allora io penso che quelli di Azio non sono quadri, ma sono doni e che in un qualche modo somigliano molto alle cose che stanno dietro le persone, mentre Azio le guarda, somigliano molto a cose perdute, con dentro però una speranza, la stessa di mio nonno Azio, quella che un giorno le cose che vanno male, tornino al loro posto, che arrivi un sole nuovo e un’acqua nuova, una terra nuova, dei fiori e delle foreste nuove, anche con le fiamme azzurre, del pane nuovo, del cielo nuovo con dei prati nuovi, degli occhi nuovi, sì anche degli occhi nuovi, di quelli che ci vedono benissimo soltanto quando sono chiusi e spenti, soprattutto quelli, per fermarsi a riposare, addormentarsi e sentire dentro tutta la musica che fanno, tutte queste cose nuove, tutto questo mondo. Nuovo.