Care amiche e cari amici di RadioEmiliaRomagna, per tratteggiare la vicenda della protagonista di cui vi raccontiamo oggi ci affidiamo interamente alle pagine scritte da Muriel Pavoni nel suo libro intitolato “Veduta di pianura con dame”, pubblicato nel 2015 dalle edizioni la meridiana.
Il libro raccoglie storie di donne romagnole dalle esistenze contrastate e coraggiose, storie liberamente elaborate dall’autrice, che, partendo dalle notizie biografiche, è entrata in un dialogo diretto, a tu per tu, con le vite vissute, restituendocene le voci, i gesti e i colori.
Marianna Maltoni, detta Maria, nata a Dovadola il 2 febbraio 1890, ha insegnato per trentasei anni, sperimentando con i suoi scolari un metodo di apprendimento “dal basso”, come si direbbe oggi. I diari e i disegni prodotti nelle sue classi, che allora attirarono l’attenzione di giornalisti e scrittori importanti, documentano oggi un mondo contadino ormai scomparso.
La seconda parte di questa storia, sempre affidata alla penna della scrittrice Muriel Pavoni, potrete leggerla nella prossima puntata della rubrica “Racconti d’autore”.
Da Dovadola a San Gersolè
Dovadola. Un borgo rupestre tra il castello e il fiume, rialzato sul fondovalle di poderi coltivati, filari di vite, grano, ulivi. Uno dei comuni della Romagna più vicini alla Toscana. Solo negli anni Venti rientra, infatti, nella provincia di Forlì. In questo paese di campagna nasce Marianna, da una famiglia di artigiani: il padre è fabbro, la madre casalinga.
In questa casa circolano idee di libertà, di rivoluzione del popolo, di educazione delle masse, di unità, di pace. Il padre di Marianna, detta Maria, è mazziniano. Marianna, da grande, vuole fare la maestra, per questo va a studiare a Ravenna alla “Margherita di Savoia”. È infarcita di nozioni e metodi educativi ottocenteschi quando entra di ruolo a Bagnarola di Cesenatico, nella bassa, verso il mare. Sono i primi anni di professione, anni in cui sviluppa le idee che poi applicherà nel periodo più lungo di insegnamento, quando, ritornata sull’Appennino, diventerà maestra a San Gersolè, in Toscana, dove resterà fino al ritiro.
Uno studio semplice: una libreria, un tavolo, una sedia, la luce entra da una grande finestra che dà sull’uliveto, qualche pianta grassa su un tavolino e un mappamondo che si attacca alla corrente elettrica con il piedistallo di legno scuro; carte sparse sul tavolo da lavoro, libri impilati dappertutto, un calamaio di marmo con le venature rosa, un pennino semplice fissato su un’asticella color argento, un diploma appeso alla parete e strisce di carta piene di disegni colorati ricoprono quasi tutti i muri. I soggetti dei disegni sono soprattutto vegetali: fiori, ramoscelli, alberi, ma anche animali coloratissimi, come le salamandre.
È un piccolo raggruppamento di case attorno alla chiesa parrocchiale; ci abitano alcune decine di famiglie rurali e, più a valle, abitazioni di artigiani e case coloniche sparse. Le terre e le case a pigione sono di proprietà di istituzioni ecclesiastiche e di poche famiglie benestanti. San Gersolè è una tipica parrocchia rurale a mezzadria, oltre la metà delle famiglie sono mezzadre, se poi si aggiungono i pigionanti rurali, i braccianti, i fattori si supera la metà della popolazione che svolge attività legate all’agricoltura. Si aggiungono poi altre attività: un affittacamere, una lavanderia, una piccola casa del fascio con il bar, un fabbro, una macelleria, un’impresa edile, una falegnameria, una lavanderia, uno stagnino, la sede del dopolavoro di Mezzomonte. Fra le principali attività artigiane ci sono due rivendite alimentari, un impianto per la produzione di vino, i frantoi.
Il contratto di mezzadria regola i rapporti tra il proprietario del podere, che mette a disposizione la terra, e il capofamiglia, che mette a disposizione il proprio lavoro e la propria esperienza professionale. Tutti i membri della famiglia, donne e figli compresi, s’impegnano, per contratto, a lavorare il podere. Agli inizi del Novecento il sistema-mezzadria inizia a mostrare i primi segni di cedimento. Le industrie e le attività commerciali delle città esercitano attrazione sui braccianti, che non vogliono più fare i contadini.
La scuola, in realtà, è una casa adibita a edificio scolastico, si entra in una stanzina con una porta stretta e, attraverso delle scale ripide, si arriva in una stanza più grande che può contenere anche trenta bambini ovvero quelli di tutte le classi dalla prima alla quinta. Ci sono i banchi a due, di quelli neri. I più piccoli stanno vicino alla maestra, i più grandi dietro.
Ogni tanto arriva un ispettore scolastico: il terrore della Maltoni. Quando entra in classe si fa silenzio, mentre la maestra si apparta con questo soggetto nella stanza accanto. Si chiudono le porte e subito si sentono gli strilli: certi metodi di insegnamento non piacciono all’istituzione.
La “grande maestra”, in questo borgo di contadini, sviluppa un’idea di scuola rivoluzionaria. Elabora una metodologia che parte dall’esplorazione, che solleva domande, spirito di ricerca, osservazione. Lei crede che la scuola debba educare alla conoscenza del territorio, allo sviluppo dei legami tra ragazzi, alla creazione di uno spirito critico. Tantissimi i disegni e i diari dei ragazzi che vengono raccolti in un volume, introdotto da Italo Calvino, I quaderni di San Gersolè.
I disegni e i componimenti vincono vari premi nazionali e vengono anche spediti all’Istituto italiano di cultura di New York.
Marianna ha una cattedra al centro, la lavagna alla sinistra, tra la cattedra e la lavagna c’è una libreria dove sono attaccate, con le puntine, le strisce con i disegni dei bambini.
Non lontano dalla scuola c’è una tipografia. In una villa occupata, in tempo di guerra, gli americani hanno installato una stamperia per le carte geografiche militari di tutta la campagna attorno. Ci sono montagne di carta da buttare, le taglierine trinciano la carta della dimensione necessaria per le mappe, quello che avanza viene bruciato nelle buche dietro la villa.
Manca la carta alla scuola, allora, un bambino e sua madre, con l’aiuto del fattore, vanno a prendere le strisce di carta avanzata con un barroccio e le portano a scuola. È carta buona, di quella liscia, americana: di carta così, in Italia, in quegli anni, non se ne vede. È un sogno. I bambini disegnano felici su quelle strisce.
La casa della Maltoni è alla torre rossa, una torretta di tre piani con accanto il diòspero, un grande albero di cachi. Il diospero è un simbolo, perché rappresenta il premio per il disegno o il diario migliore. I bambini stanno lì sotto a disegnare, d’estate, accanto c’è l’orto dove certe volte si vede passeggiare Italo Calvino.
Durante la bella stagione la torre rossa di via Naldino, con il muro di sassi che delimita l’orto, dove sbucano ciuffi di sassìfraghe, è affollata di bambini che stanno sotto il grande albero. I ragazzi a San Gersolè non smettono mai di andare a scuola. Soldi per andare in vacanza non ce ne sono e, allora, anche d’estate, si va a casa della maestra a scrivere, a disegnare, ad ascoltare le storie che racconta, perché a lei piace averli sempre vicini, i ragazzi.
Estati lunghe di disegni e personaggi noti che passeggiano nell’orto con Marianna: Italo Calvino, Oriana Fallaci. La casa è in cima a una salita, di fronte c’è un uliveto di alberi bassi dal tronco nodoso.
[testo tratto dal libro: Muriel Pavoni, “Veduta di pianura con dame”, Molfetta, edizioni la meridiana, 2015]