Cari amici e care amiche di RadioEmiliaRomagna, il protagonista di cui vi raccontiamo oggi è un autore di teatro che a suo tempo fu conosciuto e apprezzato dal pubblico, ma oggi è quasi del tutto dimenticato. Un uomo che, per trovare la sua strada sul palcoscenico, decise di fare ricorso a un colpo di scena degno dei più sorprendenti effetti teatrali.
Renato Lelli nasce a Bologna, fuori Porta Lame, il 2 agosto 1899. Il padre ha una fonderia e progetta di lasciare la sua impresa all’unico figlio. Nei suoi sogni, il ragazzo è destinato a diventare perlomeno ingegnere. Ma lui, Renato, preferisce di gran lunga i progetti e le costruzioni della fantasia. Contrastando la volontà del genitore, decide di darsi alla letteratura: “Mi ostacolò con ogni mezzo” – ricorderà – “e io scrissi commedie. Mi obbligò all’amministrazione della sua fonderia e io scrissi commedie. Me ne strappò e io ne scrissi altre. Commedie, commedie, commedie che inviai a tutti i capocomici italiani. […] Il mio era un vero e proprio malanno. Mi pareva di non sapere fare altro”.
Per il suo debutto come autore, tuttavia, il ragazzo dovrà aspettare di diventare uomo. Appena trentenne, esordisce al Teatro della Stabile Filodrammatica bolognese con un dramma che si intitola “L’insulto”, scritto a quattro mani con un altro. Farà seguito, qualche mese dopo, un atto unico in dialetto, la prima opera interamente sua.
L’anno successivo, il 1930, porta con sè due sorprese destinate a cambiare l’esistenza di Renato. Vince un concorso nazionale con la commedia intitolata “La sua felicità” e conosce Paolo Zuccagni, un giovanissimo aspirante attore di Montecatini, con cui nasce una profonda amicizia. Un rapporto che con il tempo diventerà amore e durerà fino all’ultimo giorno di vita.
Nel 1931 Lelli concepisce una burla di cui probabilmente non immagina tutte le conseguenze. Per realizzarla coinvolgerà, in una rete internazionale di complicità, diplomatici, una pittrice ed amici vari. Visto che nel teatro italiano sembra imperare un’esterofilia talmente esagerata da far prevalere, sempre e comunque, gli autori stranieri, decide di firmare la sua nuova commedia con uno pseudonimo esotico, fingendo di essere l’ungherese Franz Kir-Loe e lasciando a suo nome solo il ruolo di traduttore. La pièce, intitolata “Varieté”, viene messa in scena dalla celebre attrice Irma Grammatica al Teatro Odeon di Milano ed ottiene un buon successo, anche quando viene replicata in altre città.
Poco prima che venga rappresentata all’Arena del Sole di Bologna, nella primavera del ’32, qualcuno mette sull’avviso Irma Grammatica, dicendole che Franz Kir-Loe non esiste, e che il vero autore della commedia è il suo traduttore, Renato Lelli. L’attrice lo convoca per chiedergli spiegazioni, e lui la convince che si tratta solo di malelingue. Uscita dall’incontro, trova in albergo un fascio di rose recapitato da Vienna. Il biglietto che le accompagna è vergato a penna: “Franz Kir-Loe a una sua grandissima interprete”.
Anche a Torino, dove Lamberto Picasso mette in scena “Champagne”, una nuova commedia dell’autore magiaro, ai giornalisti che gli chiedono come mai questo Kir-Loe non sia presente, l’attore mostra un telegramma da Ginevra in cui lo stesso Kir-Loe si scusa e dichiara di essere in Svizzera per la prima di un’altra sua opera.
L’anno dopo, il successo del misterioso commediografo ungherese continua. La sua esistenza viene confermata anche dal critico teatrale della “Gazzetta del Popolo” di Torino: “Franz Kir-Loe è un giovane autore ben conosciuto a Budapest e a Vienna. Ha poco più di quarant’anni, un ingegno disordinato ma vivo, un viso strambo ma interessantissimo e un’attività multiforme e irrequieta. Di professione fa il diplomatico e per istinto scrive commedie. Nessun mistero, quindi, sulla paternità dei lavori che sono rappresentati col suo nome. Di poco chiaro, e non soltanto in questo pasticcio, non vi è che il gran disordine che regna nelle cose del teatro”.
Renato Lelli fornisce ai giornali anche un ritratto di Franz Kir-Loe dipinto (dice lui) da un pittore viennese. E aggiunge che, ora, l’autore magiaro ha anche un agente, il barone bolognese Attilio Dubois-Deveaux, che a sua volta fornisce alla stampa una foto di Kir-Loe, ritratto per strada nella sua Budapest. E in questa messa in scena, in effetti, un barone era proprio ciò che mancava…
Tra tentativi di smascherare la beffa e nuovi copioni attribuiti al fantomatico scrittore d’oltralpe, la storia va avanti fino al 1938, quando la compagnia di Irma ed Emma Grammatica mette in scena, al Teatro Manzoni di Milano, la commedia in tre atti “All’insegna delle sorelle Kadar”. È il successo più grande di Franz Kir-Loe, alias Renato Lelli. Ma è anche la fine del suo travestimento. Sul “Popolo d’Italia” compare un articolo anonimo in cui la beffa viene smascherata definitivamente. La storia viene ripresa in chiave antifascista anche da un giornale francese, che chiosa così: “Guarda guarda che scoperta! In Italia, dove tutto è protetto, dove tutto è autarchico, i poveri autori per essere rappresentati sono costretti a nascondersi sotto degli pseudonimi stranieri”.
A questo punto, per ordine del Duce, Lelli viene convocato di fronte al ministro della cultura popolare, che gli intima di mettere fine alla vicenda. Poco dopo, sui giornali si leggerà: “Franz Kir-Loe non è mai esistito. Esisto solo io: Renato Lelli. Un piccolo nome d’uomo che ha lottato e che lotta per raggiungere il suo posto al sole”. Un posto che continuerà a difendere negli anni successivi, scrivendo altre commedie e mietendo ancora consensi, finalmente con il suo nome.
Dopo la guerra, Lelli lavora instancabilmente. Realizza regie, assume la direzione artistica di due teatri bolognesi, si aggiudica il premio “Riccione” con un copione da cui sarà tratto un film, ma soprattutto fonda il “Teatro Minimo”: un piccolo palcoscenico, una sorta di “teatro da camera”, in cui rappresenta molti atti unici di autori italiani e stranieri. Diventa ben presto una palestra per tanti aspiranti attori, in cerca di uno spazio per esprimersi, più che della fama.
Per ironia della sorte, ma soprattutto per intenzione di chi si trovò a gestire la sua eredità artistica e disperse tutte le sue carte, il nome di Renato Lelli, oggi, è pressoché dimenticato. Il suo “Teatro Minimo” fu tenuto aperto, fin quando potè, da Paolo Zuccagni, il compagno di una vita intera. Un amore che, al contrario della storia di Kir-Loe, non fu mai costretto a svelare.
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Per approfondire la conoscenza di Renato Lelli si può leggere il profilo che ne ha tratteggiato nel suo blog il giornalista e scrittore Enzo Rossi-Ròiss, da cui abbiamo tratto le notizie per questa scheda: www.rossiroiss.it/wordpress/renato-lelli