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30 Settembre 2008 | Archivio / Protagonisti

Dorando Pietri, la corsa del secolo

A cura di Claudio Bacilieri

30 settembre 2008

Sono appena finite le Olimpiadi di Pechino e già si sta pensando a quelle di Londra del 2012.

Il 30 maggio scorso una delegazione di Carpi, cittadina in provincia di Modena, è stata ospite nella capitale inglese – sindaco in testa – dei reali inglesi, alla serata di gala per le celebrazioni del Centenario delle Olimpiadi di Londra del 1908. Cosa c’entra Londra con Carpi? Bisogna riandare con la memoria al film “Chariots of Fire”, nella versione italiana “Momenti di gloria”, per capire di cosa stiamo parlando. In quel film, veniva immortalato Harold Abrahams, campione olimpico dei 100 metri nel 1924, che ricordava una famosissima vicenda accaduta alle Olimpiadi di Londra del 1908: quella che ebbe come protagonista il “nostro” carpigiano, Dorando Pietri. “Per ogni mille persone che conoscono il nome di Dorando, forse nemmeno una sarà in grado di dire chi fu il vincitore ufficiale della Maratona di Londra”, diceva Abrahams. Invece tutti sanno chi era Dorando Pietri: il vincitore morale, quello che per primo ha tagliato il traguardo e poi è stato squalificato per l’assistenza ricevuta negli ultimi metri. “Io non sono il vincitore della maratona. Invece, come dicono gli inglesi, io sono colui che ha vinto e ha perso la vittoria”, sosteneva Dorando Pietri sul Corriere della Sera del 30 luglio 1908.

Sulla vicenda sfortunata di Dorando Pietri è stato scritto di tutto: da ultimo, “La corsa del secolo”, il bel libro di Augusto Frasca, giornalista e storico dello sport, per il quale la vita stessa di Dorando Pietri è stata una corsa. Verso Londra, verso il destino fatale che ne avrebbe sconvolto l’esistenza.

Il nostro uomo nacque in una frazione di Correggio, provincia di Reggio Emilia, il 16 ottobre 1885. A dodici anni si trasferì a Carpi con la famiglia, che aveva aperto un negozio di frutta e verdura. Due anni dopo, Dorando fu assunto come garzone e apprendista nella pasticceria Roma, situata nella piazza centrale. Nel 1903 si iscrisse alla società sportiva Ginnastica La Patria. Rimane leggendario il suo esordio agonistico. Un giorno di settembre del 1904, affacciato sulla soglia della pasticceria, Dorando vide impegnato in una prova solitaria di corsa sui dieci chilometri Pericle Pagliani, il podista romano che era primatista italiano sulle lunghe distanze. Dorando si arrotolò alla cintola il grembiule e seguì come un’ombra, fino al traguardo, il campione. Qualche giorno dopo, in ottobre, a Bologna, l’esordio ufficiale: arrivò secondo dietro Aduo Fava in una gara di tre chilometri. Da allora – e fino alla gara d’addio sui 20 chilometri del 15 ottobre 1911 a Stoccolma – Dorando Pietri corse ovunque sulle lunghe distanze, a Roma come a Parigi, a Chicago, New York, San Francisco, San Paolo, Buenos Aires, Philadelphia, Saint Louis, Toronto, Buffalo, Vancouver, Pittsburgh, Indianapolis. Era considerato un campione a tutti gli effetti, per le numerose gare vinte ma anche per sportività, coraggio, capacità di sacrificio.

Quello che accadde ai Giochi olimpici di Londra il 24 luglio 1908 con il numero 19 sulla maglia, è storia, vista in innumerevoli fotografie, cinegiornali e documentari d’epoca.

Appena dato il via alla Maratona, alle 14,33, gli inglesi Jack, Lord e Price presero la testa, alternandosi al comando dalla gara fino al 14° miglio, ma poi scomparvero dalla competizione.
Passò quindi in testa il sudafricano Hefferon, mentre uno dei favoriti, l’atleta Longboat, si ritirava. Pietri alternava il terzo e quarto posto finché, arrivato al 18° miglio, iniziò la sua offensiva: conquistò il secondo posto e poi, superando Hefferon, diventò primo, avviandosi in solitudine verso l’arrivo. Il garzone di pasticceria di Capri era riuscito a coprire le prime 26 miglia del percorso, in totale quasi 42 chilometri, in 2 ore 45 minuti.
Alle ore 17,18 però, dal sottopassaggio che immetteva nella pista, sbucò fuori un atleta irriconoscibile. Mancavano solo poche centinaia di metri alla vittoria, ma Pietri si trovò a fare i conti con l’enorme dispendio di energie spese durante la rimonta e la disidratazione dovuta al gran caldo. La stanchezza gli fece perdere lucidità. Arrivato allo stadio, sbagliò strada. I giudici lo fecero tornare indietro, e a quel punto Pietri cadde per la prima volta. Si rialzò, proseguì per poi ricadere altre quattro volte. Dorando avanzava in maniera scomposta, barcollava e muoveva senza costrutto le gambe, che ormai stentavano a sostenerlo. A pochi metri dal traguardo cadde nuovamente, e un megafonista generoso lo sostenne e gli fece tagliare il traguardo.
Per percorrere gli ultimi 325 metri, che in seguito Dorando definì la sua “Via Crucis”, impiegò 9 minuti e 46 secondi.
Passato il traguardo svenne, fu raccolto da una barella, mentre la folla temeva che il cuore dell’atleta non avesse retto l’immane fatica, ripetendo dopo 24 secoli il sacrificio di Filippide a Maratona. Lo statunitense Hayes, giunto secondo al traguardo, presentò reclamo contro l’italiano, che venne squalificato per l’aiuto ricevuto.
La regina Alexandra d’Inghilterra, che aveva assistito all’epilogo della gara, saputo della squalifica di Pietri, comunicò che il giorno seguente avrebbe premiato lo sfortunato atleta con una coppa d’argento dorato, tuttora conservata presso la sede della Società La Patria di Carpi.
Per tutti, era Dorando il vincitore morale. Era l’atleta che aveva vinto la gara senza ottenere la vittoria. L’episodio riempì le cronache dei giornali e fu oggetto di numerose critiche e discussioni, tanto che della lontana olimpiade londinese resta oggi solo il ricordo di Dorando Pietri, l’eroe assoluto.

Nel 1909, dopo essersi sposato con una ragazza di Carpi, Teresa Dondi, Pietri si trasferì a Sanremo, dove nel 1923 aprì un’agenzia di noleggio vetture, e morì, il 7 febbraio 1942.

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