Care amiche e cari amici di Radio Emilia-Romagna, il protagonista di oggi è stato soprannominato, non senza motivo, l’“eterno ragazzo” della canzone italiana, e ogni giorno, grazie alla presenza costante sui “social media”, sembra ribadire questa natura perennemente “giovane”, a dispetto delle sue splendide rughe da settantenne. Continuiamo a leggere e ascoltare il ritratto che a Gianni Morandi ha dedicato il critico musicale Raffaele Meale in un libro edito nel 2015 dall’Arcana editrice di Roma, che vi consigliamo: si intitola “Fuori i compagni dalle balere. Viaggio nella musica dell’Emilia-Romagna”.
Gianni Morandi
Dal grande prato verde a Facebook [seconda parte]
La carriera musicale di Morandi è interessante solo per i cultori della materia. Perfino la contestazione dei primi anni Settanta, di cui è vittima, sembra fantascienza: come si può vedere come un «nemico del popolo» un personaggio simile? Cosa ci si doveva aspettare da Morandi, che scendesse in piazza a difendere le fabbriche occupate? Gianni Morandi è un prodotto di mercato, e lo è in maniera così genuina da non rendersene neanche conto. La sua posizione politica è chiara, ma si affida a un pensiero basico, semplice, immediato. Il «grande prato verde dove nascono speranze che si chiamano ragazzi» è il luogo dell’incontro. E l’incontro per Morandi è sempre qualcosa di positivo. L’incontro è l’amore. Morandi è un fenomeno social quando i genitori di Mark Zuckerberg non sono ancora sposati. Probabilmente neanche si conoscono.
Dalla sua bacheca, 19 dicembre del 2014: «La canzone italiana più famosa nel mondo è ’O sole mio, composta a Odessa più di cento anni fa. I due autori sono napoletani, Di Capua e Capurro. L’autore della musica, Di Capua, in quel periodo si trovava in Ucraina con suo padre violinista. Da ragazzo, quando mi avvicinavo alla musica, non mi piaceva troppo, forse non la capivo. Poi con il passare degli anni e con più esperienza, mi sono reso conto della potenza di quella melodia e di quelle parole.
Questo brano è stato eseguito dai più grandi artisti in ogni parte del mondo, ma è la magica versione di Enrico Caruso, inarrivabile, a farlo conoscere universalmente e a renderlo eterno. Ricordo che circa vent’anni fa, durante un mio concerto a Tokyo, il pubblico giapponese era piuttosto freddo e distaccato e non riuscivo a coinvolgerlo con il mio abituale repertorio. Decisi di prendere la chitarra e intonai proprio ’O sole mio, scattò un grande applauso e la serata si trasformò decisamente in un successo».
Dalla sua bacheca, 12 novembre 2012: «Nena, il nostro Labrador, ha già 12 anni, è stanca e non sta tanto bene… che tenerezza!!!». Segue immancabile foto di Morandi con la cagna e ben novecentoquindici commenti, che spaziano da «ma povera tesora!!» a «i veri amori della vita!!!! nena forza ti vogliamo bene tutti!!» fino a «è bello vedere con quanta dedizione si offrono al loro padrone. Se vuoi bene agli animali vuoi bene anche alle persone!!».
Concetto ribadito da buona parte dei commenti: Gianni, sei una brava persona. Gianni, so che mi vuoi bene. Non è cambiato poi molto il rapporto tra Morandi e il suo pubblico. Non si va ai suoi concerti per ascoltare le canzoni, o almeno non solo. Ci si va perché c’è Morandi sul palco, e lui ci vuole bene. È uno del popolo, è uno della rete sociale, e ce l’ha fatta. Ha avuto successo come cantante, come attore, come presentatore televisivo. Ha dato vita alla Nazionale Italiana Cantanti, squadra di calcio composta solo da artisti che gioca partite amichevoli il cui incasso viene devoluto in beneficienza. Morandi ha preso parte a 340 partite e ha anche segnato 54 gol. Il resto, davvero, è un orpello.
La crisi degli anni Settanta, i musicarelli al cinema, la vittoria a Sanremo con Si può dare di più cantata insieme a Umberto Tozzi ed Enrico Ruggeri, l’album scritto a quattro mani con Lucio Dalla, i singoli di successo a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta come Bella signora e Banane e lampone. Tutto materiale per un film di successo, che a Hollywood avrebbero con ogni probabilità messo in cantiere. Nell’Italia del 2012, invece, Morandi si limita a tornare davanti alla macchina da presa per interpretare, con notevole dose di coraggio, un personaggio che potrebbe sembrare costruito sulla sua biografia nel bel Padroni di casa, opera seconda di Edoardo Gabriellini: il suo ruolo è quello di un ex cantante di successo, ritiratosi in un parco protetto dell’Appennino tosco-emiliano, dove vive insieme alla moglie paraplegica. A parte quest’ultimo dettaglio, il resto non si distacca molto dalla realtà. Il brano che Morandi canta nel film, composto nello stile che lo rese celebre, è opera di Cesare Cremonini, unico vero figlio artistico del cantante di Monghidoro, almeno nelle intenzioni.
Gianni Morandi è la memoria storica di un’Italia onesta, buona, sincera. Per questo in molti, tra il serio e il faceto, avrebbero voluto vederlo diventare presidente della Repubblica. È il vero risultato, a conti fatti, del compromesso storico: orgoglio contadino e pietas cristiana, mescolati in egual misura. Le foto e i video su Facebook lo vedono impegnato a piantare alberi, a visitare luoghi caratteristici d’Italia, a promuovere iniziative sociali. Non perde occasione per ricordare gli amici persi nel corso degli anni, a partire da Dalla, al quale dedica con la chitarra L’anno che verrà il 31 dicembre e Futura il 4 marzo. Quando qualcuno ha dubbi o richieste, risponde sempre con prontezza, senza alzare i toni della discussione neanche quando sarebbe legittimato a farlo.
Il 21 aprile 2015, dopo la strage di migranti al largo di Lampedusa, pubblica una foto dei barconi in parallelo con una raffigurante le navi che trasportavano gli italiani oltreoceano, a rincorrere il mito americano. Scrive: «A proposito di migranti ed emigranti, non dobbiamo mai dimenticare che migliaia e migliaia di italiani, nel secolo scorso, sono partiti dalla loro patria verso l’America, la Germania, l’Australia, il Canada… con la speranza di trovare lavoro, un futuro migliore per i propri figli, visto che nel loro paese non riuscivano a ottenerlo, con le umiliazioni, le angherie, i soprusi e le violenze, che hanno dovuto sopportare! Non è passato poi così tanto tempo…». Si scatena il putiferio. Da un lato arrivano applausi, ma dall’altro esplode la furia razzista che serpeggia sempre più nell’Italia attuale. A ogni messaggio di insulti (contro di lui o contro i migranti), Morandi risponde con gentilezza e sobrietà. Il post supera i centomila «mi piace», le trentamila condivisioni e i venticinquemila commenti.
Il giorno dopo, come chiosa, Morandi si limita a ribadire il concetto: «Sono sorpreso dalla quantità di messaggi al mio post di ieri. Sto continuando a leggere ma penso sia impossibile arrivare in fondo… 14mila messaggi! Ho anche risposto ieri sera per un paio d’ore. Forse non mi aspettavo che più della metà di questi messaggi facesse emergere il nostro egoismo, la nostra paura del diverso e anche il nostro razzismo. A parte gli insulti, che sono ormai un’abitudine sulla Rete, frasi come “andrei io a bombardare i barconi” o “sono tutti delinquenti e stupratori” oppure “vengono qui solo per farsi mantenere”, mi hanno lasciato senza parole… Magari qualcuno di questi messaggeri, ha famiglia, figli e la domenica va anche a messa. Certamente non ascolta però, le parole di Papa Francesco… Ciao, sto andando vicino a Lecco a visitare la Cascina Don Guanella, insieme a don Agostino Frasson».
È il primo vero intervento «politico» del Morandi-sociale. L’asse si sbilancia, e per una volta non tutti i commenti sono dimostrazioni d’affetto. Ma non c’è nulla di cui sorprendersi, è un passaggio obbligato per un progetto costruito con risultati alterni in oltre cinquant’anni. Il grande prato verde finalmente esiste, non si tratta più di un non-luogo astratto, da cantare con effetto straniante. Delle oltre cinquecento canzoni incise da Morandi alzi la mano chi se ne ricorda più di venti. Non è quello il punto, non lo è mai stato. Morandi non ha rivoluzionato la musica italiana, né ha preso parte a correnti; ha cantato su un palco, cercando di dare voce a un sentimento nazionalpopolare che rifuggesse in ogni caso il bigottismo e la morale reazionaria. Senza alzare i toni. Senza costruire barricate.
Il 28 aprile del 2011, ospite a Radio Italia Live di Paola Gallo, prende spunto dalla pubblicazione del singolo Rinascimento, scritto da Gianni Bella e Mogol e da lui interpretato sul palco dell’Ariston: «Siamo nel centocinquantesimo anno dell’unità d’Italia […] e la speranza è che si possa migliorare un po’, tutti insieme. Sappiamo che anche la situazione economica non è un granché, sappiamo che è un momento… Insomma, non fra i migliori di quelli che ci ricordiamo. Guardiamoci dentro, guardiamoci in faccia, cerchiamo di avere un senso più… Di collettivo, di stare insieme, di più rispetto, di più introspezione, di più spiritualità. Poi, se questo succederà in futuro, magari alle generazioni dei nostri figli e dei nostri nipoti, è un auspicio».
Al di là di ogni evento accaduto, Morandi è ancora il ragazzo della provincia di Bologna che il padre costringeva a leggere Marx e «l’Unità». Non è mai cambiato. E per questo Cesare Cremonini, o chiunque altro, potrà limitarsi a ricalcare il gusto melodico delle sue canzoni. Di quello, però, non c’è davvero alcun bisogno.