Poeta, blogger e animatore culturale, Matteo Bianchi ha raccolto in volume venticinque voci dell’arte poetica che si coltiva a Ferrara. Poeti e poetesse di un “Duca” che altro non è se non il simbolo della tradizione umanistica ancora viva nella città estense.
Angelo Andreotti
I
Dal buio trae se stessa.
Accade in forma di pura sostanza,
di lama che s’infila sotto il cielo
e lo solleva
volandolo
al di sopra dei templi
degli dei
lasciati a impolverarsi in piena luce.
Luminoso è il mistero del giorno,
della vita, del risveglio,
dell’errante profezia dell’alba
che con misericordia si abbandona
alla sapienza ospitale del limite.
II
Ma è
la luce;
viene
e sporge le labbra
soffiando aurorale sui lumi.
Dolcemente li spegne in penombra
lasciando appena un abbozzo di luna.
Poi slarga il cielo per dar posto al sole
come un vento tra le fronde,
come un vento che non scuote.
Esulta!
luce,
tocca la vita,
prendi tutti,
guardaci a uno a uno
e dònati insieme a quell’ombra
che di te vive, che a te si nasconde
con agili danze sui muri.
III
A tratti l’ombra nella casa scricchiola
sotto il peso del vuoto
scavato in trasparenza tra le cose
dove ti sei tremendamente visto.
Scopri il buio,
denudalo in ombra
in questa stanza dal capo chinato
in meridiana attesa,
così immobile
poiché in disparte dal tempo che passa.
Tieni fermo il chiarore sull’uscio.
Consenti al tuo respiro d’incarnarsi
nella parola cara
che arriva da una piena di silenzi,
ciascuno diverso dall’altro,
e tutti a sorreggerne il senso,
come il mare al mattino
della notte
sull’onda porta il canto fino a riva
affinché sia la terra a disporne.
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Giuseppe Ferrara
Sogni cinerini
Queste buie mattine di brina
ricamano gli umori degli autisti
che dirigono pensieri e bagliori
al futuro ostinato del giorno.
Sulle viscide strisce lascio passare
i sogni e gli aironi cinerini
che temerari scendono a ricordarci il cielo.
Migranti quotidiani in vista di una costa.
Menzogne gonfie di verità.
Come difendermi da queste folate
Come difendermi da queste folate
che spengono la luce della piazza
più elegante e più pulita di un salotto;
che spolverano le foglie di questi rami
e i rami di questi pioppi e i pioppi di questo viale.
Tra un soffio e l’altro risale appena in tempo
una ghiandaia la via del cielo. Ed ecco il vento.
Soffia qui dove io cedo ai monti, ai boschi
e ai cieli freschi, fermi d’azzurro e di ginestre gialle.
Come difendermi da queste folate
che invocano le vocazioni del passato
e segregano i segreti del futuro.
Non c’è una casa, non c’è un rifugio
a questo vento, né c’è riparo da inventare.
Salto di ramo in ramo come la ghiandaia.
Appena in tempo.
Appena in tempo.
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Giorgio Palmieri
Arlecchino infranto
Stupisci, guardandoti attorno,
un mondo di nastri e cartone,
occhi vanesi, zucche pelate,
che trovan difficile, imbarazzante,
anche ridere ai tuoi sberleffi.
Se solo trattieni, guardingo,
la voce, o ti volti veloce,
con l’aria un po’ truce,
si perde l’incanto del falso
e del gioco, ti spengon le luci.
T’illudi, col buio, che il legno
della tua testa si fonda in pensieri
e dagli occhi di vetro si versino lacrime
a mostrare il tuo amore
a Colombina, appesa in un canto,
con la testa ciondolante, immobile,
gli occhi spalancati su angoli vuoti.
Sogno e risveglio (omaggio a Paul Éluard)
Sognare è come vivere un’altra vita.
Prigioniero del sonno, scalo pareti di nuvole,
precipito e volo dentro occhi in primo piano.
Eppure, io li ho visti, gli occhi più belli del mondo,
e ho creduto davvero, quella notte,
di poterli riportare alla luce del giorno.
Gli occhi di chi, non so, non voglio sapere.
Con la curva di quegli occhi intorno al cuore,
ho sorriso a una vita sfuggente ed eterea.
Tutti i miei desideri mi son nati dai sogni;
mi sono sentito un uomo fantasma,
un’ombra che lotta contro nemici di pietra.
Il risveglio è come perderla, la battaglia,
è come rassegnarsi ad abbandonare
un’oasi che il deserto feconda
e la desolazione alleva.
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Roberto Pazzi
Il mio niente
Oggi verrei a casa tua,
farei questo lungo viaggio
solo per infilare questi versi
nella fessura sotto la porta,
non potrei rompere
il divieto di rivederci.
Niente, vorrei dirti,
solo questo niente.
Fu detto già tutto.
Da quando ci siamo separati
sopravviviamo,
siamo la rovina di quel tempo.
Ma questo mio niente dopo di te
mi sostiene e si rafforza,
cresce bene con gli anni,
si fa grande, muta la voce,
non vuole più stare con me,
esce sempre più spesso
a cercare altro niente,
inutilmente bello come fui.
I nostri occhi han fissato il sole,
non guardano più,
ricordano di aver visto.
A che servirebbe rivederti?
Perderei il mio niente.
Di tutte le cose che potevo fare
ho sempre scelto una sola,
monco di troppe vite non fatte
tu sei il Niente che mi ha scelto.
E ti appartengo sempre.
Nevicata dal treno sulla pianura padana
Sotto la terra bianca come il cielo
c’è il mio pane della gratitudine
per la via percorsa, per i temuti pericoli,
le paure e le lunghe attese che svanirono
consumate tutte a poco a poco,
le carte del mazzo tenute nelle mani,
ormai già tutte in ordine sul tavolo,
una mano già nuda.
Quel paesaggio sono io,
assaporo la panoramica dall’alto
di me così piccolo diventato grande,
restano solo poche stazioni,
posso guardarmi attorno con calma,
perdere tempo, ne ho vissuto tanto,
a ripensare tutto quel bianco
che oggi mi abbacina gli occhi:
il mondo con la mia vita dentro
mi aspettava a occhi chiusi.
E chiudendoli così s’assapora
d’un nuovo amore il bacio,
da una bocca bella e tremante.
Ritorno al mare
Il tuo tempo è diventato
il va e vieni del prigioniero nella cella,
l’attesa del pendolare
che ogni giorno spia la fuga
nell’orologio grande
allo stesso marciapiede.
Ritorna sui numeri dei binari
un’antica matematica di arrivi e partenze,
è ancora un gioco
contare i minuti per le coincidenze,
da bambino sempre sognavi di fuggire
da Ferrara per tornare al mare.
Era la via della felicità
il viale della stazione.
Nato sull’acqua
oggi ti parrebbe di tornare laggiù
ma non sai se i ritardi
siano fame di arrivare
o paura di scoprire
che tutto quell’azzurro è evaporato
e il mare non c’è più.
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Giovanni Tuzet
Dirce
Nonna hai novant’anni
e non so se verrai
alla mia festa di nozze.
Ma io vorrei
che ci venissi in trono
a mostrare cos’è
una vita vissuta
senza sprechi né odio
per chi campa a fortuna.
E se alla fine non venissi
sarai come
la mano del Messia
che ritarda la conta
e dura in tenerezza
A colei che vive in un distributore
Tu che vivi in un distributore
lungo il raccordo interinale, che hai già
letto il libro de l’asfalto, che hai già
colto la parola dei carburi – su
coraggio, dama gialla, scegli l’auto
la migliore, che di qui ti porti via:
al più lucido pratino
al più limpido ingranaggio
presso un mare cristallino –
ove presto nel biancore ti sarà purificata
là
la mano lorda di benzene
la vita grama senza speme
Souvenir
Ricordi che ci misero una pannocchia
bruciata a Parigi davanti all’uscio
per il nostro urlare d’amore?
Ora scommetto che non lo fate,
tu e il tuo fringuello,
e fate i bravi
e i vicini vi salutano
[continua]