Cari ascoltatori anche quest’anno l’oramai tradizionale appuntamento espositivo al MAR-Museo d’Arte della Città di Ravenna è di quelli da non perdere. Fino al 14 giugno le sale espositive ospitano il racconto dell’Italia dall’epopea risorgimentale alla Grande Guerra, e lo fanno attraverso l’arte di quel periodo.
Dai documenti pittorici sulle straordinarie bellezze paesaggistiche tanto celebrate dagli amanti del Grand Tour, sublimi scenari di una società a economia rurale inalterata da secoli, all’avvio della modernizzazione e dell’industria osannati dall’avanguardia futurista.
Ma partiamo dal titolo della mostra. L’Italia è il “Bel Paese” dai tempi di Dante (così nel XXXIII canto dell’Inferno) e di Petrarca, di cui è celebre il verso dal Canzoniere “il bel paese ch’Appennin parte e’l mar circonda e l’Alpe”. “Il Bel Paese” è anche il titolo di un volume pubblicato nel 1876 dell’abate Antonio Stoppani, una serie di conversazioni sulle bellezze naturali italiane che ebbe grande successo popolare.
Iniziamo la visita. Ad accoglierci, all’ingresso della mostra, una grande tela del 1858 di un pittore olandese di nascita, Tetar van Elven, che divenne pittore di fiducia dei Savoia. Egli dipinge quella che Claudio Spadoni, curatore della mostra, definisce una “Italia in miniatura”: un paesaggio fantastico in cui convivono i monumenti delle principali città italiane. Manca il Sud, la Sicilia, all’epoca fuori dal “Regno d’Italia”.
Una “vivandiera” di pittore anonimo ci introduce nella sezione dedicata all’epopea risorgimentale con opere di Lega, Fattori e Guaccimanni. Poi scorci naturali, vette alpine, paesaggi marini, vedute di città come Venezia, Firenze, Roma e Napoli, le “sacre” mete del Grand Tour, realizzate dagli interpreti di punta del secondo Ottocento, come Fontanesi, Caffi, Lega, Costa, Previati, Segantini, insieme ad altri artisti stranieri.
Il “Bel Paese”, a cavallo tra Ottocento e Novecento, è raccontato anche attraverso le tradizioni e i costumi, nelle opere di Fattori, Signorini, Michetti, Morbelli, per citarne alcuni. I riti e i momenti di vita degli italiani, nobili e contadini, della città e della campagna, li ritroviamo nei dipinti di Cremona, Boldini, De Nittis, Lega. Di quest’ultimo anche la celebre “Gabbrigiana in piedi”, una fierissima contadina di Gabbro (è in provincia di Livorno, dove Lega soggiornò per un periodo). Sembra quasi, come scrive il critico Giuliano Matteucci, una “anticipazione di un qualche personaggio di prima fila del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo”. Nel complesso davanti a noi c’è un ricco album a memoria di “come eravamo”, che si arricchisce anche attraverso la fotografia e gli scatti di alcuni storici pionieri italiani. E non si può non osservare quanto sia la figura femminile la vera protagonista dell’arte in quel periodo. Lo ribadisce Claudio Spadoni in occasione della vernice della mostra
Presentazione di Claudio Spadoni
Con l’avvento del Futurismo, l’avanguardia guidata da Filippo Tommaso Marinetti sembra voler spazzare via ogni residuo delle cultura e della sensibilità ottocentesche, osannando persino la guerra. Operedi Balla (suo il proclama “Viva la guerra” in mostra), Boccioni e la splendida scultura “Costruzione dinamica di un galoppo” del 1914, e poi Depero, Russolo, Sironi.
L’esposizione termina con il conflitto mondiale, tra inquietudini, ripensamenti e ritorno alla tradizione. Lo testimoniano le opere di Carrà, gli enigmi De Chirico, ma anche il significativo “paesaggio con velo di vedova” dello stesso Balla, realizzato nel 1916, e i “profughi” di Conti del 1918. Chiude il bambino dipinto da Felice Casorati nel 1911, che egli stesso descrivecome “molto sano-grosso tondo colorito come un frutto di primavera”. Un’immagine di speranza, proprio come la “Fanciulla sulla roccia a Sorrento” della luminosa tela di Filippo Palizzi scelta come immagine simbolo dell’esposizione. Che contiene un piccolo segreto, una dedica, forse d’amore. Cercatela, lungo il profilo della roccia.
Tutte le informazioni sul sito www.mar.ra.it
Un saluto da Ravenna da Carlo Tovoli