“Non frequento gli antiquari, non vado alle aste, non visito le mostre. Ho, sì, un mio museo immaginario, formato dalle opere più amate e ammirate nel tempo, e da altre che per qualche fatalità hanno preso corpo e sostanza reale presso di me, senza tuttavia che io faccia tra le une e le altre grande differenza. Esse sono, per me, tutte oggetto di uguale amore e degne della più devota contemplazione; abitano la mia mente come la mia casa”. Diceva così, pochi mesi prima di lasciare questo mondo, l’uomo che ci ha affidato una raccolta d’arte davvero preziosa, non solo per il valore delle singole opere che conserva ma soprattutto per il senso che egli accordava a esse nel loro insieme.
La storia che vi raccontiamo oggi, cari amici e care amiche di RadioEmiliaRomagna, si svolge tra Reggiano e Parmense e ci invita a conoscere Luigi Magnani, un uomo che amava coltivare le sue passioni in silenzio e in disparte, ma non da solo, ha vissuto la sua intera esistenza.
Nato a Reggio Emilia il 29 gennaio 1906 da Giuseppe Magnani ed Eugenia Rocca, lui imprenditore dedito all’allevamento di bestiame e alla produzione di formaggi, lei di nobile famiglia ligure, Luigi respira fin da bambino l’amore per la bellezza. Il padre lo porta con sé a teatro, alla Scala di Milano e al Comunale di Bologna. La madre lo inizia alla musica avviandolo allo studio del pianoforte. Insieme a lei, appassionata di pittura e di poesia, visita città, chiese e luoghi d’arte. Da adolescente, però, esplora anche il lato in ombra della vita, vivendo a fianco di due sorelle ammalate di tubercolosi e assistendo al loro spegnersi lento.
In questi stessi anni sa sfruttare al meglio un vero e proprio privilegio: ha l’occasione di visitare i musei d’Europa insieme ad Adolfo Venturi, uno dei padri della storia dell’arte italiana, straordinario amico di famiglia. Da lui impara a cogliere, in un’opera, l’essenza che sta oltre la forma, quello che l’artista esprime nel profondo, al di là delle apparenze figurative.
È ancora uno studente di liceo quando scrive il suo primo saggio, dedicato a una statua che si trovava (e si trova tuttora) in uno degli angoli esterni della residenza di famiglia, quel Palazzo Magnani che oggi, a Reggio Emilia, ospita mostra internazionali. La statua, un’opera cinquecentesca di Prospero Sogari detto il Clemente, allievo di Michelangelo, rappresenta Giano bifronte, la divinità romana con due facce che veniva messa a guardia di porte, ponti e passaggi, custode ideale di ogni esperienza umana e, come tale, composta da un inizio e da una fine.
Sul finire degli anni Venti Luigi si laurea in Lettere moderne con una tesi dedicata a un altro scultore del Cinquecento, il modenese Antonio Begarelli. Negli anni Trenta collabora all’Enciclopedia Treccani come storico dell’arte e, nello stesso tempo, coltiva il suo talento musicale studiando con maestri di composizione e scrivendo canti, cori e canzoni. Nel corso della sua vita alternerà poi sempre gli studi artistici a quelli musicali, con analoga energia.
Nel 1941 la famiglia Magnani acquista una villa seicentesca a Mamiano di Traversetolo, dove iniziano a elevarsi le prime colline del Parmense. Poco dopo, in questo elegante edificio in stile neobarocco, immerso in un meraviglioso parco romantico, viene ad abitare anche la Sacra Famiglia con quattro Angeli, un dipinto realizzato negli anni Ottanta del Quattrocento dal pittore senese Pietro di Francesco Orioli. È una delle prime opere di una collezione destinata a diventare celebre e raffigura una scena tutta giocata su un intreccio di sguardi che non si incrociano: Maria, Giuseppe, Gesù bambino e le ineffabili creature angeliche che li contornano sembrano guardare ognuno in una direzione, ciascuno con il suo pensiero, con la sua emozione, con la sua ricerca di un senso. Come ognuno di noi di fronte al mistero.
Con il passare degli anni, molti altri “ospiti” vengono ad abitare nella villa di Mamiano: le Stimmate di san Francesco di Gentile da Fabriano, la Sacra Conversazione di Tiziano, la Madonna col Bambino di Dürer, la Famiglia dell’infante don Luis di Goya, la Tersicore di Canova. E non sono solo ospiti provenienti dal passato remoto, ce ne sono anche di giovani e giovanissimi, come i paesaggi di Monet e Renoir, gli acquerelli di Cézanne, le nature morte di Morandi o un sacco di Burri.
Più una famiglia che una collezione, e “collezionista” infatti Magnani non vuole essere considerato. Ad animare la sua ricerca non è la smania del possesso e neanche lo sfoggio di erudizione ma la volontà di respirare la bellezza, qualsiasi forma possa assumere, sia essa musica, poesia, pittura, scultura, artigianato. Che si tratti di Beethoven, di Stendhal o di Rembrandt, la differenza per lui non è mai nella sostanza. Con ognuno degli autori che ama riesce a stabilire un rapporto, portandolo all’interno della sua vita (forse anche riempiendone i vuoti) e, in questo modo, facendolo vivere.
Nel settembre del 1984, due mesi prima di morire nella villa di Mamiano, Luigi Magnani inaugura, nel palazzo familiare di Reggio Emilia, una grande mostra intitolata “Fondazione Magnani Rocca. Capolavori della pittura antica”. È l’ultimo omaggio alla memoria dei genitori, da cui aveva imparato ad attraversare la vita come un ponte che unisce due rive contrapposte, “con l’animo aperto ad accogliere tutte le più svariate emozioni, dalle visioni celesti di Beato Angelico a quelle infernali di Bosch”.
Le citazioni di Luigi Magnani sono tratte dall’intervista rilasciata a Carlo Bertelli: “Il Giornale dell’Arte”, 15, settembre 1984, pp. 19-20 (Torino, Umberto Allemandi editore).
Per visitare la Fondazione Magnani Rocca: www.magnanirocca.it.
Per visitare Palazzo Magnani: www.palazzomagnani.it.