A cura di Valeria Cicala
27 settembre 2013
Gli eventi, a volte, si intrecciano in modo assai felice. E’ il caso della mostra al Museo della Città di Rimini Negli interstizi del tempo. L’archivio fotografico della Biblioteca Gambalunga” che si conclude a fine mese, del catalogo della medesima e della presentazione che si tiene sempre al museo, giovedì 3 ottobre prossimo, nel corso di un incontro dal titolo Il bello della memoria. L’archivio fra creatività e documentazione. Alla conferenza intervengono Giuseppina Benassati, Paolo Fabbri, Massimo Pulini.
Tutto muove dall’archivio fotografico della Biblioteca Gambalunga, una banca di immagini imponente, oltre un milione di foto su Rimini e la sua provincia, uno straordinaria e coinvolgente serbatoio di informazioni, che coprono centocinquant’anni di storia, sul quale è stata realizzata una bella esposizione intitolata Negli interstizi del tempo, curata da Nadia Bizzocchi e Oriana Maroni (l’una curatrice, l’altra responsabile dell’Archivio fotografico Gambalunghiano).
La mostra è stata inaugurata in contemporanea alle altre mostre di “Rimini. Foto di settembre” promosse dall’Assessorato alla cultura e identità dei luoghi del Comune di Rimini.
Un percorso inconsueto nella labirintica memoria visiva cittadina, che esercita un forte fascino ed emoziona il visitatore. Attraverso trentadue “racconti” fotografici è possibile ripercorrere la formazione dell’archivio e si offre una originale possibilità, soprattutto al pubblico più giovane, di scoprire i profili di una città che il terremoto del 1916 e ancora di più i devastanti bombardamenti del secondo conflitto mondiale hanno assai modificato con danni irreparabiliper il patrimonio storico artistico.
Le foto conservate in archivio corroborano e integrano le carte, offrono un’immagine della memoria, una “archeologia” degli eventi e delle storie personali, come di quelle di un’intera comunità, più emozionanti. In qualche misura le bacheche della mostra sono anche una storia della fotografia, degli strumenti. Dal prima della pellicola fino alla polaroid per guingere al digitale. Ma per chi studia questo patrimonio, che ha il colore del tempo, questi scatti e la loro rigorosa organizzazione, che crea l’archivio, sono la conferma di quanto fondamentale e quotidiano sia l‘impegno di lavoro per creare un archivio fotografrico.
Ma lasciando determinate considerazioni agli addetti ai lavori, godiamoci la mostra e il suo catalogo che narrano la nascita della fotografia a Rimini, quando le immagini impresse dalla luce cambiarono la percezione del mondo e del tempo. Racconti di fotografi famosi giunti dalle capitali per documentare i capolavori dell’arte riminese, ma anche di oscuri ambulanti attratti dalla industria dei bagni allora ai suoi esordi, di aristocratici dilettanti e borghesi professionisti riminesi, che dalla nuova arte trassero diletto o guadagno.
Dapprima si trattò solo di un “mélange” di documenti ammucchiati “qua e là alla rinfusa”, raccolti con il contributo dei nascenti istituti deputati alla tutela, per documentare e studiare il patrimonio artistico, archeologico e bibliografico.
Poi si aggiunsero le fotografie provenienti da archivi privati, quelle depositate dagli uffici pubblici che avevano promosso il turismo o narrato le vicende della politica cittadina. Fino alle più recenti acquisizioni di fotocronaca, che hanno dilatato le capacità informative dell’archivio, oggi consultabile via web sull’Opac della Biblioteca, e documentato l’immagine della città fino ai giorni nostri.
Un percorso di sorprese e di scoperte attende sia il visitatore sia il lettore del catalogo. Un’altra città, volti scomparsi, fogge e modi differenti di ritrovarsi di vivere la comunità.
Assai interessante rispetto ai nostri beni culturali le immagini che li riguardano: teste di divinità romane, bronzetti, e insieme le foto “ritrovate” degli affreschi trecenteschi “liberati” dal terremoto del 1916; sono documentati i lavori di isolamento dell’Arco d’Augusto, si leggono le citazioni imperiali delle narrazioni fasciste, ma anche le fotografie di denuncia degli anni Settanta; le immagini di Rimini scomparsa nella voragine della guerra, seguite da quelle della “città da salvare” dai picconi della ricostruzione.
Le foto per la réclame di questo tratto di Adriatico, prima e dopo la scoperta del sole, quelle scattate sul fronte della grande guerra per portare i saluti dei soldati; le foto scambiate come pegno d’amore, i ritratti a testimonianza di un ruolo sociale. Immagini scattate per ricordare e dimenticare. Dicono di autori e committenti. Raccontano la città e i suoi cittadini.