Cari amici e care amiche di RadioEmiliaRomagna, il protagonista con cui vogliamo concludere l’anno è un religioso che ha messo in pratica i valori della carità e dell’accoglienza, anche a costo di sopportare il gelo dell’inverno e quello di chi professava il suo stesso credo.
Olinto Marella nasce nel 1882 sull’isola di Pellestrina, nella laguna di Venezia. Finite le scuole si trasferisce a Roma per frequentare l’Istituto superiore di studi ecclesiastici, dove ha come compagno di corso Angelo Roncalli, il futuro papa Giovanni XXIII. A 22 anni viene ordinato sacerdote e ritorna nel suo paese, dove, insieme al fratello Tullio, studente di ingegneria, progetta un edificio in cui accogliere i bambini del luogo, per lo più figli di famiglie povere. Organizza il loro tempo libero secondo metodi che alcuni trovano troppo moderni. Sul muro del nuovo “Ricreatorio popolare” fa scrivere, non a caso, una frase dell’apostolo Paolo: “È per la libertà che Cristo ci ha liberati”. Nei primi anni del Novecento la chiesa italiana vive una stagione di rinnovamento, ma la musica cambia con il papa Pio X, che riporta all’ordine quanti credevano nella possibilità di vivere la fede con più autonomia di pensiero e meno dipendenza dalle gerarchie.
Nel 1909 don Marella ospita nella sua casa un altro sacerdote come lui: è Romolo Murri, un amico che da poco è stato scomunicato proprio a causa delle sue idee riformiste. Questo atto di accoglienza, del tutto cristiano, viene considerato una colpa dal vescovo di Chioggia, che per punizione sospende Olinto e gli vieta di celebrare i sacramenti. Comincia così un lungo periodo di difficoltà, che lo portano a lasciare la sua isola e a ripensare la sua vita.
Qualche anno dopo, laureatosi in storia e filosofia, lo ritroviamo insegnante in un liceo di Treviso, e poi a Messina, Pola, Rieti e Padova. “Una lunga barba color rame, una redingote che scendeva fino ai piedi, e uno sguardo di fanciullo, fra l’innocente e lo smarrito”: è così che lo descrive il giornalista Indro Montanelli nei suoi ricordi di scuola. Nel 1924 si trasferisce a Bologna, dove finalmente viene riammesso al sacerdozio. Al mattino insegna nei migliori licei della città, nel resto del tempo si dedica ad assistere gli abitanti più poveri delle periferie. Don Marella diventa per i bolognesi “padre Marella”. Un babbo buono e concreto, che non si vergogna di chiedere l’elemosina fuori dai teatri e dai negozi più lussuosi pur di raccogliere, nel suo cappello, qualsiasi moneta per chiunque abbia bisogno.
Nel 1948 lascia l’insegnamento per dedicarsi a tempo pieno alla “Città dei Ragazzi”. È il progetto che dovette abbandonare nella sua Pellestrina e che torna a risuonare, di voci e di giochi, in un vecchio magazzino lasciato libero dalla nettezza urbana. E c’è un senso anche in questo. Nessuna creatura può essere considerata un rifiuto, ognuna ha diritto di vivere con dignità.
“Le preoccupazioni non vi mancheranno mai, ma vi lascio il mio cappello e vi assicuro che non rimarrà mai vuoto”. Con questo testamento intrepido, che sarebbe piaciuto allo Charlot di Chaplin ma anche all’attuale papa Francesco, Padre Marella lascia il mondo il 6 settembre del 1969. Molti lo considerano un santo e lo invocano nel Paradiso, ma a lui stavano a cuore solo i suoi poveri e che a loro non mancasse il pane qui sulla terra.
L’Opera che ancora oggi porta il suo nome occupa una sessantina di dipendenti e, grazie al supporto di un centinaio di volontari, ospita più di 200 persone e ne assiste altre 150 con pasti, vestiti e aiuti economici (www.operapadremarella.it). Tutti i giorni, non solo a Natale.