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8 Luglio 2008 | Archivio / Protagonisti

Un bolognese del ‘500 nei sette mari di Sindbad

Lodovico de Varthema racconta nel suo “Itinerario” i viaggi dall’Egitto all’India

A cura di Armando Baudanza. Lettura di Fulvio Redeghieri

8 luglio 2008

“Nel mille Cinquecento e tre, adì VIII de Aprile, metendose in ordine la caroana per andare alla mecca e io essendo volanteroso de vedere varie cose…”.

Così comincia il capitolo dell’ “Itinerario” dedicato all’Arabia Deserta, nel quale Lodovico de Varthema, nato a Bologna da padre medico intorno al 1470, racconta l’inizio del suo avventuroso viaggio verso i paesi d’oriente.
Poco sappiamo dei suoi anni giovanili, se non che si imbarcò ragazzo su un legno veneziano diretto ad Alessandria d’Egitto, c o n  l’intento dichiarato di farsi musulmano, entrare nel corpo dei mamelucchi – una milizia scelta al servizio del Sultano – e imparare la “lingua moresca”.
Concluso il servizio militare al Cairo, nel 1500 decide di intraprendere un viaggio in oriente. Raggiunta via mare Beirut, si sposta poi a Tripoli e Aleppo, e infine a Damasco, “la quale – egli annota – è Cità molto popolata o molto ricca”.  Di qui, dopo una sosta di circa due anni, impiegata nello studio della lingua araba, ha inizio il suo viaggio.

Lodovico ha ora un’età più matura, fra i trenta e i quaranta anni. Per raggiungere la Mecca si unisce a una carovana di pellegrini, scortata da un drappello di mamelucchi, del cui comandante – un cristiano rinnegato – si era prudentemente fatto amico (“… e questo fu per forza di dinari e altre cose che donai a lui .. “). Lungo la faticosa e lenta marcia vengono ripetutamente attaccati dai predoni, messi però sempre in fuga dal coraggiosi e abili uomini della scorta. Anche Lodovico rischia più volte la vita. Ma eccolo finalmente alla Mecca, dopo quaranta giorni di cammino, primo europeo a entrare nella Città Santa dell’Islam, che gli appare “bellissima e molto bene habitata”.

E’ impressionato dal gran numero di pellegrini che giungono da ogni parte del mondo arabo, ma anche dai commerci che si svolgono sotto i portici della grande moschea: gioielli, spezie, profumi, seta, cotone, e “altra mercantia che viene dalla Ethiopia e dalla India ..”.

Lasciata la Mecca, Lodovico si unisce a un’altra carovana diretta in Persia, ma, accusato di essere una spia dei portoghesi, viene imprigionato ad Aden. Liberato dopo una lunga detenzione grazie all’intervento della moglie del Sultano, percorre in lungo e in largo lo Yemen, dove nessun europeo aveva messo piede prima di lui, quindi fa una breve diversione per l’Etiopia. Visitate Zeila e Berbera, si imbarca di nuovo facendo vela per la Persia: un viaggio fortunoso, perché i venti sospingono la nave fin sulle coste somale, da dove – cambiando continuamente bordo – il legno riesce a raggiungere il Golfo Persico, facendo poi rotta per l’India.

Lodovico si ferma alcuni  mesi nella “nobilissima Cità de Calicut” (l’attuale Kozhikode), situata sulla costa occidentale del Kerala, a circa 11 gradi di latitudine sopra l’equatore. Ripreso il viaggio, il bolognese si spinge fino al Malabar e a Ceylon, poi attraversa il Golfo del Bengala e tocca il Siam, raggiunge quindi la Malacca, di fronte alla quale – egli scrive – “sta una grandissima insula la qual se chiama Sumatra”.

La meta successiva è il Borneo: per giungervi “è mestieri pigliare una nave grande perché il mare è più grosso e l’insula è distante CC [duecento] miglia”. Cinque giorni di mare, e Lodovico tocca terra a Giava,  per poi proseguire verso le Molucche. Siamo nel vero estremo oriente, a circa 130 gradi di longitudine est. Più a levante si trovano ormai solo il Giappone, la Nuova Guinea, le Isole Salomone, e i cento e cento atolli sparsi nell’infinita distesa del Pacifico.

Tornato dopo qualche tempo a Calicut, nel Malabar, Lodovico si mette al servizio del Portogallo. Il 16 marzo 1506 è a bordo di una nave militare portoghese al largo di Cananore (non lontana da Mangalore, sulla costa occidentale dell’India), impegnata in combattimento contro due navi di “mori”, le più grandi che questi avevano nella loro flotta. Sia le due navi ammiraglie che altre, giunte nel frattempo in loro soccorso, vengono affondate o catturate “cariche parte di spetie e parte de altre mercantie”.

Il valore dimostrato nel cruento fatto d’armi valse a Lodovico la nomina a cavaliere, conferitagli sul campo  personalmente dal viceré delle indie, Don Francesco de Almeida. Lasciata l’India nel dicembre 1507 e compiuta la circumnavigazione dell’Africa, dopo aver toccato l’isola di Sant’Elena e le Azzorre, sbarca finalmente a Lisbona. Mancava dall’Europa da ben sette anni. Ad Almada, di fronte alla capitale, incontra il Re del Portogallo, Emanuele I, che appone sigillo e firma al diploma di cavaliere. Era il 19 luglio 1508. Lodovico scrive: “Cossi pigliai licentia da sua maiestà e me ne veni alla Cità di Roma”. Non si sa dove egli sia vissuto negli anni successivi: se ne trova traccia, a Roma, dove morì sicuramente prima del giugno 1517.  Le sue memorie – l’”Itinerario”, appunto – furono pubblicate per la prima volta nel 1510 ed ebbero un tale successo, che in pochi anni ne furono stampate edizioni in altre lingue: in latino, prima di tutto (a Milano, nel 1511), poi in tedesco, in spagnolo, in francese, in olandese, senza contare le numerose ristampe. Per almeno due secoli geografi e cartografi la usano per consultazione e studio, e in Inghilterra è oggetto di lettura ancora per tutto l’Ottocento. I portoghesi avevano già da tempo utilizzato la relazione di viaggio di Varthema per acquisire notizie di prima mano sui paesi che avrebbero visitato, nonchè per disporre di dettagli riguardanti la navigazione, i commerci, gli aspetti di carattere militare. Mentre il suo successo internazionale non conosce soste, in Italia l’opera cade rapidamente nell’oblio. Allorchè nel 1928 Paolo Giudici pubblica la prima edizione moderna, in Italia “l’Itineratio” è dimenticato da oltre tre secoli. Il motivo di questa disattenzione, pur se legato a cicli economici negativi, non è ben comprensibile, se si pensa che de Varthema ci ha lasciato un documento affascinante e unico. A differenza del “Milione” di Marco Polo, che pure è un classico della letteratura di viaggi, l’”Itinerario” offre al lettore un panorama che si rinnova di continuo, perché l’attenzione di Lodovico non si concentra solo sul viaggio inteso come elencazione di percorsi e di paesi, ma spazia su tutto ciò che egli vede: il suo occhio attento coglie e registra la realtà circostante nelle sue molteplici forme.
Lo scintillio di questo caleidoscopio riluce su re e principi, usanze locali, cerimonie e riti; su fauna e flora, vegetazione, pesca delle ostriche; e ancora su correnti, maree, fiumi, estuario e porti; sulla geografia delle coste, su distanze in miglia e  giorni di navigazione, sulle condizioni del tempo e del  mare. Egli annota, con maestria di pittore, i tratti salienti delle culture che incontra, con un gusto per il particolare e un eclettismo straordinari per un uomo del suo tempo. A Bologna, nel quartiere Murri, una strada a lui intitolata ricorda il suo nome a quanti amano levare lo sguardo oltre il proprio orizzonte.

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