Notte raminga e fuggitiva lanciata veloce lungo le strade d’Emilia a spolmonate quel che ho dentro, notte solitaria e vagabonda a pensierare in auto verso la prateria, lasciare che le storie riempiano la testa che così poi si riposa, come stare sulle piazze a spiare la gente che passeggia e fa salotto e guarda in aria, tante fantasie una sopra e sotto all’altra, però non s’affatica nulla.
Correre allora, la macchina va dove vuole, svolta su e giù dalla via Emilia incontro alle colline e alle montagne oppure verso i fiumi e le bonifiche e i canneti.
Poi tra Reggio e Parma lasciare andare il tiramento di testa e provare a indovinare il numero dei bar, compresi quelli all’interno delle discoteche o dei dancing all’aperto ora che è agosto e hanno alzato persino le verande per godersi meglio le zanzare e il puzzo della campagna grassa e concimata. Lungo la via Emilia ne incontro le indicazioni luminose e intermittenti, i parcheggi ampi e infine le strutture di cemento e neon violacei e spot arancioni e grandi fari allo iodio che si alzano dritti e oscillano avanti e indietro così che i coni di luce si intrecciano alti nel cielo e pare allora di stare a Broadway o nel Sunset Boulevard in una notte di quelle buone con dive magnati produttori e grandi miti. Ne immagino ventuno ma prima di entrare in Parma sono già a trentatré, la scommessa va a puttane, pazienza, in fondo non importa granché.
La sera è limpida e tirata a lucido e stringendo gli occhi è possibile vedere lontano giù fino a Reggio con le sue luci gialle e azzurre e in fondo, dalla parte opposta, la sequenza gradevole delle montagne una a ridosso dell’altra come s’ingroppassero e anche se ormai è notte si distingue il vertice del Cusna e il Ventasse e il Cavalbianco che bambino scorrazzavo in lungo e in largo perché amavo la montagna e soprattutto quella poca libertà che però sembrava allora tanta tanta, più di cosi non se ne può. Attorno a noi invece le colline che paiono intatte in quest’oscurità, ma basterebbe un raggio di luce più intenso, la doppia wu di Cassiopea più vicina e a quel punto mortale apparirebbe il loro grembo squarciato dagli speculatori delle ceramiche piombate, operai con la vescica incancrenita, bambinetti coi polmoni già distrutti e incatramati dalle scorie, grrrr.
Intanto abbiamo imboccato una stradicciola in salita un poco oltre Albinea e la carcassa della seicento traballa come c’avesse la scossa su per quei tornanti di ghiaia. Dura poco, alla fine le nostre gomme scricchiolano neorealisticamente sulla piazzola di sosta. Apro lo sportello e il fumo esce, sembra una mongolfiera che si svuota, siamo già belli e suonati tutti e due. Mi getto su Ruby, lo abbraccio nel tentativo di reggermi in piedi e poi ce la passiamo forte in bocca e sento quel suo buon puzzo di whisky che è uno scioglimento, giammai non resisterò a labbra umide di whisky, ahimè, però come hai fatto bene a venirmi a cercare amico mio.
L’osteria è una vecchia casa di montanari che poveretti sono scesi a lavorare l’argilla piombata che già sapete, e nella stalla hanno ricavato una taverna con tutto attorno l’intonaco grezzo, ci si può neanche appoggiare accidenti, ti buca tutto. Ci sediamo allora sulle botti che fan da seggiolini e ordiniamo da bere e da mangiare, intanto ci facciamo fuori la tazza ripiena di popcorn che sta lì sull’altra botte-tavolino a dire siate i benvenuti.
C’è altra gente, più o meno i soliti fauni che s’incontrano in questi anni di rincoglionimento generale, però belli e vivibili né più né meno degli altri. Piuttosto non ci sono vecchi come ancora in molte osterie della bassa Reggio che li vedi coi loro toscani biascicati fino all’inverosimile e appiccicati all’angolo delle labbra che nemmeno uno sbadiglio sboccalato riuscirebbe a far cadere, sempre pronti a ricordare e canticchiare, una volta avviati non si fermano più. Se ne stanno scomparendo anche loro insieme ai prezzi bassi, alle tovaglie dì plastica, ai muri scrostati e caliginosi, però ci si può almeno appoggiare. Restano in pochi qua e là e quando li sì incontra è un indefinibile trapasso d’esperienza che capita, un attimo di comunicazione, quella vera, persino ardente e sì rimane poi lì tutta la notte a menarsela su e giù dagli anni, avanti e indietro nel tempo in una bella confusione che però è la storia viva e anche storia nostra. Ma qui non ce n’è e noi si continua a bere e parlottare finché non arriva un ragazzetto e chiede se c’abbiamo del fumo. Ci guardiamo in faccia prima di rispondere e poi lo facciamo insieme, ci siamo capiti, Ruby dice no, e io si. Cazzo! Così il ragazzino sta a fissarci, insomma ne avete o non ne avete? E io ribadisco il mio sì e Ruby il suo no, allora alzo la voce, Ruby non fare la palla! Se ne va bestemmiando a prenderlo, io strizzo l’occhio al ragazzino, così si fa.