L’artefice dei Giardini del Casoncello, luogo incantato nei pressi di Loiano, sulle colline bolognesi, racconta come mette in tavola erbe, fiori e frutti del suo particolarissimo orto.
Quando il Bosco giardino, verso la fine di settembre, comincia a riempirsi di ciclamini, creando un’atmosfera magica, soprattutto mentre la luce del sole, verso il tramonto, entra dal basso, facendo risplendere le silique argentate delle lunarie ormai a seme, è il segnale che l’estate se ne sta andando. Nell’oro delle foglie comincia, poco alla volta, lo stato di dormienza della Natura. Forse è proprio perché si prepara ad un periodo di morte apparente che il giardino, in questo periodo, conosce una insolita, intensa bellezza. La luce dorata dei primi giorni ottobrini accentua i fasti dei rossi e dei gialli di cui si vanno vestendo le piante.
È questo il momento che amo di più. Le giornate regalano una nostalgica dolcezza che invita al raccoglimento, necessario dopo l’esplosione estiva di colori. Restano solo gli sprazzi violetti dei settembrini e i gialli dei crisantemi e delle solidago a punteggiare di colore gli spazi, mentre avanzano i bruni e gli ocra degli steli ormai secchi. Il giardino comincia a essere “grafico”, come disegnato in punta di penna, diventa più severo, ma non per questo meno affascinante.
L’Orto giardino conosce, in questo periodo dell’anno, una insolita opulenza, è ad uno stadio di grande ricchezza, proprio per la mescolanza di piante verdi ancora fresche e piante già brune, a seme. È più orto e meno giardino ora, perché la folla delle speronelle e delle sclaree, che lo inondava all’inizio di luglio, è andata poco alla volta sparendo. Dopo aver disperso i loro semi, sono già fra i secchi che vengono eliminati (triturati e messi nel cumulo) per dare spazio agli ortaggi (soprattutto le brassicacee che, messe a dimora a fine giugno, stanno crescendo).
[…]
Il passaggio dall’estate all’autunno (e anche fino all’autunno inoltrato) è senz’altro il momento in cui ci sono più ortaggi coltivati da consumare ma, soprattutto, da conservare. Mentre, nella primavera, è la semina il lavoro più importante e impegnativo, ora in autunno è invece il raccolto. Infatti questo è il periodo in cui ci si prepara all’inverno ed è quindi anche il tempo di “fare provviste”. Non a caso gli ortaggi, da raccogliere ora (in gran parte radici) sono solidi, per durare nelle giornate in cui, solitamente, la terra è coperta di neve: cipolle, patate, carote, pastinaca, bardana e altri ancora che vi racconterò, man mano, attraverso le ricette.
[…]
Nell’aiuola delle carote, come ho imparato dai miei “maestri di carta” della coltivazione naturale, non devono mancare mai le cipolle. Sono un deterrente per eventuali arrivi di mosche della carota che, allo stato di larva, danneggerebbero le preziose radici. Così “protette”, nella terra sabbiosa del mio orto, crescono bene e, seminate non troppo presto (da inizio a metà maggio), mi danno, già ad inizio ottobre, grosse radici senza doppie punte (e anche qui la mia terra è giusta perché, se fosse più ricca, le favorirebbe).
La carota è un altro ortaggio di cui non si può fare a meno: versatile (antipasto, entrée, secondo piatto, dessert), preziosissima per il benessere (ricca di vitamina A e molto altro ancora) e, per di più, di lunga conservazione per i mesi autunnali e invernali. Ben allineate in contenitori, fra strati di sabbia (dopo averle fatte un po’ asciugare e aver tolto la parte verde, la cui ricrescita va controllata) possono essere conservate, in un luogo fresco, per due o tre mesi.
Il colore arancio della carota, che diamo oggi per scontato, arriva invece da lunghe selezioni e complicata è la storia di questo ortaggio, originato dalla forma selvatica (Daucus carota), che, a primavera, orna magnificamente i prati con le sue trine bianche e leggere. È questa una delle piante che amo di più. È amata anche da tante farfalle e insetti, che vi trovano cibo, quando è a fioritura, e riparo quando, andando a seme, ripiega la corolla su se stessa, creando come un piccolo nido protetto. Anche questa forma selvatica, se raccolta alla fine del primo anno di vita, ha una radice carnosa, piccola, ma ricca di sali minerali e molto dolce, che si può utilizzare nelle zuppe.
La carota è, come gran parte delle piante a radici carnose e commestibili, biennale, quindi la pianta nata da seme nella primavera prepara le sostanze nutritive che serviranno, nel secondo anno, per andare a fiore e poi a seme, per assicurare la discendenza. Per questo è tra la fine del primo anno e l’inizio del secondo (cioè in autunno) che queste radici vanno raccolte, se si vogliono utilizzare come cibo. Pare che la carota che noi oggi coltiviamo arrivi dal lontano Afghanistan, dove la forma selvatica fu resa “domestica”. Non portava però il colore arancio (come noi oggi la conosciamo) ma il bianco, il giallo e anche il porpora, fino quasi al nero. Verso il X-XI secolo, si è diffusa verso l’Asia minore e, con gli Arabi, ha poi raggiunto la Spagna.
Già nel Medioevo i coltivatori fiamminghi si interessavano a questo ortaggio e alla sua trasformazione e, dal XVI al XVII secolo, si arrivò finalmente a ottenere la carota arancione, dalla quale discendono tutte le moderne varietà.
È meglio non bollire troppo le carote e, se lo si fa, utilizzare sempre l’acqua di cottura, ricca di sostanze minerali. È preferibile cuocerle al tegame, con una noce di burro e un pochino di acqua, ma il modo migliore di consumarle (almeno dal punto di vista del valore nutrizionale) è, come per gran parte degli ortaggi, a crudo.
[…] Nella mia vecchia centrifuga io applico un disco apposito e, in poco tempo, le carote sono a filetti, pronte per essere servite con vinaigrette, da sole o mescolate ad altro, come il cavolo tagliato in fini listarelle, o le onnipresenti rape rosse, costituendo un piacevole antipasto. Si possono anche ripassare velocemente in olio o burro, mescolate a succo di limone, aggiungendo alla fine (perché no?) un cucchiaio di cherry o marsala, unendo, se aggrada (come dice Artusi), semi di coriandolo o di cumino.
Carote Vichy
Le carote Vichy sono una variante più evoluta di questa cottura, un piatto classico. Tagliare le carote a sottilissime fettine, in diagonale, e metterle in tegame coperto, con poca acqua. Aggiungere un cucchiaio di burro e un cucchiaino di zucchero. Cuocere lentamente, finché diventano tenere e il liquido si riduce, rendendole lucide, quasi glassate. Fare attenzione, durante la cottura, che non si caramellino! Servire con prezzemolo tritato fine.
A proposito, il prezzemolo non resiste al freddo dell’inverno e, verso la fine di questa stagione, io copro alcune piante con le campane. Altre le tolgo dalla terra, mettendole in vasi, che terrò poi sotto al portichetto chiuso dai vetri, per potermene servire anche quando ci sarà la neve. C’è chi congela il prezzemolo (già tritato) per servirsene all’occorrenza, ma io non ho questa abitudine, perché il profumo ne viene alterato. Io non lo faccio, ma penso che, forse, sarebbe meglio l’essicazione, come si fa per altre erbe.
Carote all’uvetta
Un’altra preparazione che uso spesso è quella delle carote all’uvetta. Per circa 500 grammi di carote calcolare 100 grammi di uvetta e 50 di burro. Tagliarle a fettine finissime (non necessariamente in diagonale, questa volta) e cuocerle con il burro, in un tegame chiuso, a fuoco basso, per circa due ore, mescolando ogni tanto. Alla fine salare leggermente e, circa mezz’ora prima di servire, unire le uvette ammollate in acqua tiepida e strizzate. Servire caldo, dopo aver messo, per un poco, il tegame nel forno.
Crema di carote
E ora l’immancabile crema, anche con questo ortaggio: facile da preparare e sempre gradita. Crema di carote: 500 grammi di carote, 1 cipolla, 50 grammi di burro, 1,5 litri di brodo, 4-5 fette di pane. Tagliare a pezzi le carote, tritare le cipolle e cuocere lentamente in 25 grammi di burro, per 10 minuti. Tostare il pane, metterlo nel tegame con le verdure, versare sopra il brodo, coprire e cuocere per 30 minuti. Passare tutto al passaverdura o al frullatore. Versare nella zuppiera, incorporare il resto del burro, sale, pepe e cerfoglio tagliuzzato. Nella ricetta non c’è, ma un poco di panna fresca e un tuorlo mescolati al tutto, secondo me, insaporiscono e arricchiscono… vedete voi.
[…]
Torta alle carote
Per finire, un dessert, sempre con il prestigioso ortaggio arrivato dall’Afghanistan! È la classica ricetta tirolese. Questa torta, rispetto ad altre che ho gustato, è più ricca e resta anche più morbida: è quella che io preferisco. Torta di carote: 300 grammi di carote grattate (proprio grattate con la grattugia!), 250 grammi di zucchero, 300 grammi di mandorle macinate, 7 uova, scorza di limone, cannella, 3 cucchiai di rum, marmellata di albicocche. Per la glassa: 150 grammi di zucchero a velo, 2 cucchiai di rum. Lavorare i tuorli con 200 grammi di zucchero, unire carote, mandorle e aromi. Montare gli albumi con lo zucchero restato e incorporare delicatamente. Versare il composto in uno stampo da 26 centimetri di diametro e cuocere in forno, a 180°, per un’ora. Spalmare la torta fredda con la marmellata di albicocche e ricoprire con la glassa al rum. Gustare dopo due o tre giorni. È veramente ottima!
Ho ancora un’ultima proposta con la carota, questa volta non gastronomica, ma divertente. Questo ortaggio, dopo essere stato un regalo per la tavola, può anche continuare a vivere, decorando la cucina come un piccolo “orto da interno”. Basta mettere in un piattino con acqua (tenendolo alla luce) la parte superiore della carota (con l’attacco delle foglie) che, di solito, si taglia e viene buttata via.
Ho visto questo, per la prima volta, a casa di Tazu, durante il mio viaggio promozionale in Giappone. Mi ha stupita e incantata quel davanzale della sua cucina, come un piccolo giardinetto in miniatura, con tanti ortaggi a radice che, nei piattini, vivevano una loro seconda vita. Quando lei, anni dopo, è stata mia ospite, dalla valigia piena di regali, ha tirato fuori, per primo, un sacchetto che mi ha allungato, ridendo felice. Conteneva le parti superiori di una carota e di un gobo (la loro bardana coltivata, di cui vi parlerò) che certo lei aveva usato per cucinare, prima della partenza. Anziché sul suo davanzale come sempre, avrebbero continuato la loro vita sul mio! È quasi con commozione che li ho messi subito nel piattino, come lei mi aveva insegnato. Anche dopo la sua partenza, per quasi due mesi, le foglie leggere della carota e quelle, larghe e robuste, della bardana hanno continuato a crescere, ornando la mia cucina e rinnovando, ogni giorno, il ricordo di Tazu e del suo magico paese.
[Per visitare i Giardini del Casoncello: giardinidelcasoncello.net]