4 agosto 2012
Le musiche di questa puntata: Moby, Paolo Fresu & Omar Sosa, Banco Mutuo Soccorso, Claudio Monteverdi, Vincenzo Bellini.
Musica. Moby: Pale horses.
Cari amici, sentite anche voi uno scalpitio di zoccoli? Sono i cavalieri dell’Orlando Furioso che l’amore spinge a una forsennata ricerca, sempre delusa, dell’oggetto amato. Ah, l’amore! L’amore ci spinge a creare castelli di desideri vani: nel palazzo di Atlante, sono attirati i cavalieri dispersi nelle loro vane ricerche d’amore. Il palazzo di Atlante è uno degli spazi simbolici più importanti del poema, una metafora della labilità del confine tra realtà e sogno: nel castello del mago, ogni cavaliere proietta davanti a sé l’oggetto del proprio desiderio fino al punto di crederlo reale e di illudersi di poterlo afferrare. Ariosto ci mostra la passione amorosa come un incantamento insensato perché l’oggetto del desiderio sfugge a ogni cattura e l’inseguimento è spesso figurato come una cavalcata, una corsa sul sentiero dell’errore. Tutti gli incantati cavalieri di Ariosto, innamorati o no, vagano continuamente dietro un’idea fissa. Il loro destino è quello di girare a vuoto come Orlando, che insegue Angelica fino all’impazzimento totale. E Astolfo deve andare fin sulla luna a cercargli il senno, per fargli recuperare la ragione.
Musica. Paolo Fresu & Omar Sosa: Moon on the sky.
Le sonorità rock progressive che vi facciamo ascoltare ora hanno un’aria passata – è musica, infatti, degli anni Settanta -, i testi sono psichedelici, i ritmi dilatati, ma “Il giardino del mago” del Banco del Mutuo Soccorso, una suite lunga 19 minuti, è nel suo genere un brano di notevole sapienza compositiva. Un capolavoro del passato, come i poemi cavallereschi dell’Ariosto e del Tasso che stiamo risuscitando in queste puntate estive, perché vi troviamo ancora qualcosa che ci attira. Questo brano del “Banco” ha dei passaggi di testo molto belli (come: “gli zoccoli di legno che volavano sui fiori / non sciupavano i colori”) ed è perfetto per introdurci nel giardino del mago Atlante, nel mondo incantato dell’Orlando Furioso. “Vedo già foglie di vetro, /alberi e gnomi corrersi dietro, / torte di fiori e intorno a me leggeri cigni danzano / a che serve poi la realtà?”: la conclusione è la stessa cui giungiamo leggendo il Furioso: a che serve poi la realtà?
Musica. Banco Mutuo Soccorso: Il giardino del mago.
Amore, tradimento, follia. Cosa ci vuole dire l’Ariosto? Che ogni tipo di amore, sia quello puro e nobile sia quello sensuale, è messo a dura prova dalle circostanze. La follia di Orlando si scatena quando, penetrato nella selva inseguendo un cavaliere nemico, scopre il tradimento di Angelica con Medoro sulla corteccia degli alberi in cui i due amanti hanno intrecciato i loro nomi. Gli oggetti del desiderio sfuggenti e inafferrabili come Angelica, condannano all’insuccesso. Un po’ diversa è la visione di Torquato Tasso nella Gerusalemme Liberata, conclusa nel 1575: i suoi protagonisti non sono erranti, cioè persi nel vagabondaggio e nell’errore morale, come quelli dell’Ariosto, ma aspirano a percorrere la strada del bene. Se il Furioso è il poema del movimento, che procede – ha scritto Calvino – con il “zig zag tracciato dai cavalli al galoppo e dalle intermittenze del cuore umano”, riflette la crisi intellettuale del suo tempo che va sotto il nome di “manierismo”, nel travagliato passaggio dai Rinascimento al Barocco. L’elemento fantastico domina in entrambi i poemi ed è ciò che ce la fa piacere, ma il “meraviglioso” del Tasso non è più legato ai miti classici o alla tradizione cavalleresca, bensì ai miracoli del cristianesimo, siano essi interventi divini o trame demoniache. Figura complessa, quella di Torquato Tasso, investito in pieno dalla follia che Ariosto aveva inventato per i suoi cavalieri.
Musica. Marco Longhini & Delitiae Musicae: Claudio Monteverdi. Madrigali. VII libro: Al lume delle stelle (1619), su testo di Torquato Tasso.
“Al lume delle stelle” è un sonetto di Torquato Tasso musicato da Claudio Monteverdi nel Libro VII dei Madrigali. E’ significativa la differenza con l’altro poeta ferrarese, l’Ariosto, per il quale l’amore è miraggio, incantamento, follia dei sensi. Per il Tasso, poeta della Controriforma, è un’esperienza dolorosa e lacerante, un sogno impossibile, quasi una colpa da espiare. Nella Gerusalemme, non a caso, le donne sono tutte pagane, e quindi gli innamorati sono divisi anche dalla religione. Tutto il poema è percorso da un senso di sciagura e rovina che neanche la fede in Dio riesce a placare. Il più grande poeta romantico italiano, Giacomo Leopardi, si commosse sulla tomba del Tasso, visitata nel 1823, confrontando la modesta sepoltura del poeta con la magnificenza di Roma. E inventò per lui il “Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare”, immaginando che nel carcere ferrarese di Sant’Anna il poeta in preda alle visioni si mettesse a conversare con uno spirito benevolo, al quale esprime il desiderio di rivedere la donna amata. Il Genio promette a Torquato di preparargli un “bel sogno amoroso”, ma conclude amaramente: “Così, tra sognare e fantasticare, andrai consumando la vita; non con altra utilità che di consumarla”. Siamo già nei paraggi della malinconia. Per questo terminiamo con la celebre aria di Vincenzo Bellini “Malinconia ninfa gentile” su testo di Ippolito Pindemonte. Canta Luciano Pavarotti.
Musica. Vincenzo Bellini: Malinconia ninfa gentile. Canta Luciano Pavarotti.