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19 Luglio 2014 | Paesaggio dell'anima

Camminare il mondo

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redighieri.

John Mayer: I don’t need no doctor

Chitarrista, bluesman, l’americano John Mayer canta “Non ho bisogno di nessun dottore”. Capirete presto, cari ascoltatori, perché iniziamo con questo brano. Intanto speriamo con la puntata scorsa di avervi fatto voglia di venire a Bologna. Ma così come vi abbiamo attirato sotto le due torri, adesso ce ne allontaniamo. Seguiamo i percorsi, anzi i vagabondaggi di vita e di professione, di un bolognese del Cinquecento, un personaggio che riassume lo spirito della sua epoca e che ci porta lontano nel tempo e nello spazio. Poiché, com’è noto, i viaggi più belli sono quelli che si fanno intorno alla propria stanza, noi cominciamo a sfogliare le pagine di “Camminare il mondo”, l’ultimo libro del grande storico della cultura Piero Camporesi, docente all’Università di Bologna scomparso nel 1997, che ci racconta la vita e le avventure di un medico bolognese del Cinquecento, Leonardo Fioravanti. Ci caliamo dunque in un’epoca lontana quasi mezzo millennio (Fioravanti era nato nel 1517) affidandoci alle pagine autobiografiche disseminate nei due libri principali del nostro medico, i Capricci medicinali e il Tesoro della vita humana. Il prossimo brano è un ritratto musicale dell’alchimista e astrologo svizzero Paracelso, la cui arte medica era tenuta nel Cinquecento in grande considerazione.

Don Davis & The Zygreb Philarmonic Orchestra: Portrait of Paracelsus

Diciamo subito, cari amici, che Fioravanti era un medico come lo si poteva essere nel Cinquecento, quando la scienza si mescolava alla magia e ai saperi esoterici, alle cabale alchimistiche e ai segreti di lunga vita. La medicina non aveva strumenti di accertamento, ignorava le cause delle malattie e le terapie che si praticavano erano quasi del tutto inutili. Ecco quindi che in questo clima di credenze assurde, dove – con Paracelso – si riteneva che la guarigione dipendesse dagli astri, s’inserisce la “nuova medicina” e la “nuova chirurgia” del geniale guaritore di “nazion bolognese”. Fioravanti nei suoi libri si firmò sempre “dottore bolognese” per nobilitare la sua dottrina con il prestigio dell’Università di Bologna, anche se si laureò soltanto in avanzata età, millantando per il resto del tempo. D’altra parte, quando, già trentenne, in cerca di fortuna, di fama e di denaro, lasciò la “dolce patria” e, salpando da Genova, raggiunse la Sicilia, si accorse che sull’isola, tra coloro che si occupavano di salute e guarigione, quasi nessuno era laureato: erano quasi tutti medici e chirurghi abusivi. In questo clima di improvvisazione, di caos terapeutico, si buttò il nostro medico e fu fortunato: per intuizione, per caso o chissà come, riuscì a risolvere tre casi complicati, guarendo un malinconico dalla febbre quartana, uno spagnolo dalla sifilide e un barone dalla scabbia. E fu subito fama.   

Enzo Jannacci: Dottore

Da Palermo a Messina, la fortuna lo aiutò sempre – ed è così che alla fortuna dedichiamo il brano omonimo, famosissimo, dei Carmina Burana di Carl Orff. Un alchimista prima e un terziario francescano poi, gli trasmisero i loro saperi farmaceutici, che utilizzò nella sua successiva carriera di chirurgo specializzato nel medicare le ferite di arma da taglio e da fuoco,  richiestissimo sulle piazze di Napoli, Roma e Venezia. Una cosa aveva imparato bene, da due fratelli chirurghi calabresi: la rinoplastica. Rifare i nasi perduti in guerra o in altre circostanze violente, divenne la sua specialità. La chirurgia, allora, si faceva sui campi di battaglia, tamponando gli squarci nei corpi, amputando, incappucciando moncherini sanguinolenti, con sistemi che oggi farebbero rabbrividire o ridere, ad es. usando sangue di gallina o fuliggine di camino per medicare le ferite. Fioravanti – scrive Camporesi – “aveva iniziato in Sicilia l’apprendistato che l’avrebbe portato a passare buona parte della vita fra sangue e lamenti, fra vomito e febbre, fra crani spaccati e milze spappolate, con il coltello e il gamaut in pugno a raschiare e a cucire con le mani sempre tinte di sangue”.

Carl Orff: Carmina Burana. O Fortuna (London Philarmonic Orchestra, David Parry, London Philarmonic Choir &  The London Chorus)

Una delle sue certezze era il legame tra malinconia e malattia. Così scriveva il nostro medico bolognese: “Si vede che gli uomini allegri e di buona voglia sempre vivono sani e robusti; e per il contrario i saturnini e malenconici sempre sono tristi e di cattivo colore e quasi mezzi marci”. Capito, cari ascoltatori? La tristezza è la fabbrica delle malattie. Invece, spensieratezza e semplicità di spirito allungano la vita. Dopo sette anni al sud, trascorsi tra Palermo, Messina, Tropea e Napoli, Fioravanti decise di risalire la penisola. Con la fama che si era fatto, poteva andare ovunque. Non tornò a Bologna, perché sapeva che nessuno è profeta in patria, se non nel 1568 per “dottorarsi” in filosofia e medicina a 51 anni. Scelse di stabilirsi a Roma, ma non si trovò bene, perché colleghi invidiosi cercarono di rovinargli la reputazione nella prestigiosa piazza della città eterna, dove era arrivato forte dell’esperienza che si era fatto nel 1550 sulle galee spagnole, al vento del Mediterraneo. Difese in nord Africa dalla dissenteria associata a febbri di tifo l’armata cristiana impegnata contro i Mori, prescrivendo ai soldati i bagni di mare, inventando così l’idroterapia marina. Intervenne contro le contusioni e le ferite; curò un fiorentino colpito da una palla d’artiglieria che gli aveva fracassato lo scudo smagliando le piastre della corazza. Questo ed altro fece il nostro medico “di nazion bolognese”. Il resto, alla prossima puntata.

Eugenio Bennato: Che il Mediterraneo sia

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