Cari ascoltatori, ci siamo lasciati la settimana scorsa con un brano di musica araba. Lo cantava una belga di origini maghrebine, Natasha Atlas, in chiusura di un nostro racconto sull’amante del duca di Ferrara ritratta da Tiziano: nel quadro appare un paggetto africano, e questo dettaglio ci ha portato lontano, in Africa, in Egitto o in Marocco, e in ogni caso, come ogni tanto capita, fuori dalla nostra regione. Le atmosfere sospese e orientaleggianti del quintetto di Kyle Eastwood ci introducono al tema di oggi che, come avete già capito, è quello del viaggio.
Kyle Eastwood Quintett: Marrakesh (dal vivo a Vignola, Modena, Teatro Fabbri, 29 maggio 2011).
La vita, come diceva Schopenauer, è totalmente equivoca, il mondo è fluttuante, l’immaginazione non s’imbriglia, e noi oggi non possiamo stare seduti alla scrivania. Oggi vogliamo andare lontano: c’è un bel libro di Michel Maffesoli che ci spiega il significato del nomadismo contemporaneo, della sete di erranza, di altrove. Sentiamo la struggente “Istanbul Istanbul Olali” della più grande cantante turca, Sezen Aksu, e ci viene voglia di fare come i bohémiens dell’Ottocento, i beat del secolo scorso, che cercavano di sfuggire alla concezione “economica” dell’esistenza. Gli artisti, soprattutto, si facevano prendere dalla voglia di affrancarsi dalla norma, che è sedentaria per definizione, e di dissolvere i vincoli che li legavano a ruoli sociali prestabiliti, nella famiglia come nel lavoro. La rivolta silenziosa dell’individuo era il desiderio di fluire, di circolare, vagabondare senza sosta, sulla scia casuale dei propri gusti e delle proprie pulsioni.
Sezen Aksu: Istanbul Istanbul Olali.
A ondate la storia ci ripropone questa situazione di dissociazione tra la società e l’individuo, l’organizzazione razionale della vita e la fantasia, il reale e l’immaginario. Dopo i viaggiatori dell’Ottocento, abbiamo avuto i beat e gli hippies, i viaggi on the road, e ora i viaggi low cost del turismo di massa con internet, Booking e Tripadvisor. Sognatori sconosciuti si mettono in cammino, e noi con loro. Ci caliamo un cappello in testa, riempiamo la valigia di giacche leggere, pennelli, olio di trementina e colori, e ci imbarchiamo su una nave in compagnia dei pittori cosiddetti «orientalisti», quegli artisti che nella seconda metà dell’Ottocento, attratti dal fascino dell’Oriente, delle sue meraviglie e bizzarrie, andavano alla ricerca dell’altrove, anticipando i grandi malati d’immaginazione come Gauguin oppure sulla scia di quelli come Rimbaud. Un altro di questi visionari, Baudelaire, ha scritto l’«Invito al viaggio» magistralmente messo in musica da Franco Battiato su adattamento del filosofo Manlio Sgalambro.
Franco Battiato e Manlio Sgalambro: Invito al viaggio (da Charles Baudelaire).
Tra i principali orientalisti italiani, due erano di Parma. Il primo, sicuramente il più importante, era Alberto Pasini; l’altro si chiamava Roberto Guastalla, e ne era un po’ il discepolo. Tutto cominciò dopo la spedizione di Napoleone in Egitto, quando l’Oriente svelò le sue malie attraverso i disegni e i resoconti degli studiosi che vi avevano preso parte. Poi esploratori, commercianti e avventurieri alimentarono fantasie che già erano state solleticate nel Settecento, ad esempio dalla famosa descrizione che Mary Wortley Montagu, moglie dell’ambasciatore britannico presso l’impero ottomano, fece della sua visita nel 1717: “I sofà erano coperti di tappeti e di cuscini sui quali sedevano le signore; dietro, sulla seconda fila, c’erano le loro schiave che non si distinguevano affatto dai vestiti, essendo costoro allo stato naturale, cioè completamente nude, senza che nascondessero beltà o difetto alcuno e senza che intercorresse fra loro il minimo sorriso malizioso o gesto ammiccante. (…). Ce ne sono molte fra loro dalle proporzioni perfette quali si vedono nelle dee dipinte da Guido o da Tiziano, e per la maggior parte la loro pelle è di un bianco abbagliante, avendo come unico ornamento le chiome”. Ecco dunque che in Europa si comincia a favoleggiare di odalische, harem, piaceri proibiti; ed ecco che i pittori eccitano la fantasia con le loro sensualissime schiave turche. La musica della danza del ventre è quella che ci vuole ora.
Layali El Sharq Ensemble: Tamra Henna.
Il nomadismo di oggi è di poco conto: chi si vanta, con l’aiuto di foto e filmati, di essere stato qui e là, in posti che ormai non hanno più nulla di misterioso, perché anche l’esotico si è globalizzato, non sa quale carica trasgressiva vi fosse nei viaggi di 150 anni fa. Il bisogno di avventura, il piacere degli incontri effimeri, la sete d’altrove, si contrapponevano ai valori borghesi. Nella sua settimana di vacanza a Sharm el-Sheikh, l’impiegato di oggi non scopre un universo sconosciuto che fa vacillare la sua identità di viaggiatore occidentale. Non si confronta con un mondo che, da un lato si presenta pieno di lusinghe, sensuale, eccitante, e dall’altro infido, ostile, chiuso dalle barriere culturali, religiose, linguistiche, come le inviolabili città sante dei musulmani.
Baladi: Raqs Sharqi (da “Belly Dance Music”, 2013).
Vedremo la prossima puntata dove sono andati e cosa hanno fatto i pittori orientalisti emiliani. E’ certo, come scrive Attilio Brilli, che il viaggio in Oriente è un viaggio nel sogno, perché “l’Oriente è una proiezione onirica dell’Occidente e, come avviene nei sogni, questa creazione elabora in assoluta, disinibita libertà materiali concretamente reali ed esperienze effettivamente vissute”. Chiudiamo il nostro “Paesaggio” di oggi con un brano della formazione italo-palestinese Radiodervish che racconta una tragica storia d’amore araba. «Non c’è sole di un’alba senza Layla / I paradisi abitavano il mio petto e ubriacavano la mia passione / Non c’è luna della sera senza il suo ricordo / Fermatevi stelle, fermatevi ruote del tempo …»
Radiodervish: Layla e Majnun.