Gentili ascoltatori oggi vi portiamo a pochi passi dal centro di Bologna. Attraverso un sentiero escursionistico che parte dai viali di circonvallazione cittadini si arriva nel cuore della collina bolognese, dove circa 30 ettari di terreni collinari, fanno da cornice a Villa Ghigi, una volta di proprietà della famiglia Ghigi, con le terre che la circondano e trasformata negli anni ’70 in parco cittadino. Negli anni ’80 è nato poi il Centro Villa Ghigi. Rileggendo la storia, oggi raccolta in un ben curato sito web (fondazionevillaghigi.it), e facile intuire quanto la strada compiuta dal Centro e poi dalla Fondazione Villa Ghigi sia stata lunga, interessante e quanto resti ancora da fare per custodire e preservare la preziosa collina bolognese.
La Fondazione Villa Ghigi è stata istituita nel 2001, su iniziativa di Comune, Provincia e Università di Bologna, proseguendo l’esperienza dell’omonimo Centro, presieduto da figure autorevoli, da Insolera a Giorgio Celli, Umberto Bagnaresi e Paolo Pupillo e, nel frattempo, si è affermato un gruppo di lavoro e un metodo educativo, divulgativo e progettuale che ha portato alla costituzione della Fondazione, con l’obiettivo di offrire un contributo per una crescita culturale legata ai valori ambientali e paesaggistici del territorio.
Ci facciamo raccontare la sua storia da Maria Teresa Guerra, responsabile tecnica del parco.
Intervista a Maria Teresa Guerra
Oggi la Fondazione è accreditata come uno dei centri di educazione alla sostenibilita di eccellenza del sistema regionale Infaeas e, nell’ambito del medesimo sistema, partecipa al Bac, il multicentro per l’educazione alla sostenibilita del Comune di Bologna. Dal 2012 la Fondazione fa ufficialmente parte delle strutture accreditate come conservatori ex situ dell’agrobiodiversità della Regione Emilia-Romagna.
Ma chi era il prof. Alessandro Ghigi e come ha influito la sua attività sul parco? Ce ne parla sempre Maria Teresa Guerra.
Molte sono le piante presenti nel parco. Agli inizi della primavera, la fioritura dei mirabolani lungo le cavedagne è davvero spettacolare: questa specie, più nota nel Bolognese come rusticano, oltre che per la produzione di frutti era molto usata come portainnesto per l’albicocco (presente nel parco con alcune vecchie piante di Reale di Imola e Alessandrine). Tra le pere, tante varietà sono state iscritte dal 2009 a oggi nel Repertorio regionale dell’agrobiodiversita, tra cui Scipiona, Volpina, Mora di Faenza; un’altra decina di varietà al momento sono in corso di caratterizzazione da parte dei tecnici del Crpv e dell’Universita di Bologna, tra cui le varietà Spadona invernale, Zuccherina, Francesina e Molinaccio. In particolare, si segnalano un doppio filare nei pressi del nucleo colonico del Becco, risalente ai primi decenni del Novecento, e una pianta secolare di Pero Ruggine molto tardiva e scalare nella maturazione, che si inizia a raccogliere dal mese di ottobre, con una colorazione dei frutti molto particolare, tendente al grigio. Anche tra i meli non mancano esemplari secolari, tra cui spiccano le varietà Abbondanza, Campanino, Lavina, Poppina e Durello. Fichi, melograni, vite, ciliegi, cachi, mandorli e azzeruoli– questi ultimi presenti con alcuni vecchie piante a frutto sia giallo, sia rosso – completano una collezione in situ davvero unica a livello regionale.
La presenza di queste varietà costituisce un patrimonio genetico importantissimo e di grande utilità per l’agricoltura moderna, sia per la ricerca di geni di resistenza tipici nelle varietà frutticole antiche, che permettono di rendere piu sostenibile la coltivazione, sia per la riscoperta di gusti e profumi ormai perduti, sempre più apprezzati dai consumatori.
Ma com’era la vita in questa tenuta all’epoca del prof. Ghigi? Lo chiediamo a Luciano Cerè che ha vissuto qui fin a bambino, figlio di uno dei mezzadri della tenuta e successivamente custode della villa del prof. Ghigi.
Intervista a Luciano Cerè
A partire dal 2004 la Fondazione gestisce direttamente il parco per conto del Comune e alcuni degli interventi sono stati realizzati con il coinvolgimento degli anziani ex-mezzadri.
È stato creato un grande orto, realizzato uno stagno, recuperato un vigneto abbandonato, si effettua la raccolta e trasformazione della frutta del parco, la cura delle vecchie piante da frutto e la loro propagazione mediante innesti. I numerosi impianti vegetali sono solo alcuni degli interventi compiuti di recente. Tra questi un posto di rilievo ha il cosiddetto “Frutteto del Palazzino”, realizzato nel 2010 in collaborazione con Arpa Emilia-Romagna, che ospita una trentina di giovani alberi da frutto nati a partire da materiale vegetale prelevato da esemplari tra i più vecchi della nostra regione.
Questi luoghi sono teatro di un”intensa attività di educazione ambientale sin dal 1982, offrendo visite rivolte alle scuole che vanno da poche ore ad alcuni giorni con anche il pernottamento. Vi sono inoltre anche attività educative e ricreative pensate per i fine settimana ma di questo e di quello che qui si puo’ fare parleremo in una prossima puntata, portando le testimonianze dei “custodi” di queste terre i vecchi mezzadri o contadini che qui sono vissuti e continuano a lavorare, trasmettendo la loro esperienza e le loro storie alle nuove generazioni.