16 giugno 2009
Cari ascoltatori, il protagonista di questa puntata è Pupi Avati, il più bolognese dei registi italiani. Pupi nasce a Bologna nel 1938, la sua grande passione di ragazzo è il jazz. A questo grande amore che presto lo tradisce sostituisce, nel 1968, il cinema, esordendo sul grande schermo con “Balsamus, l’uomo di Satana” e trasferendosi a Roma.
Da allora, in quarant’anni di attività artistica, ha saputo creare un’opera compatta, senza passi falsi, sostenuto da una curiosità intatta per le persone e le loro storie, da una grande capacità di indagare l’animo umano e di raccontare per immagini. Con il ritmo instancabile di un film all’anno, Pupi Avati ci ha raccontato di gite scolastiche, impiegati, cuori altrove, ragazze che non arrivano, papà di Giovanna e amici del bar.
Le sue incursioni nell’horror, nel grottesco, nel musical, nel fantastico sospeso tra realtà e favola, nel solco della della tradizione narrativa emiliana, hanno man mano definito una cifra stilistica personalissima che per alcuni critici è diventata addirittura un genere a sé stante, fatto di antieroi immersi in atmosfere inquietanti e divertite, di piccole storie, di amicizie, di tradimenti, alla scoperta di se stessi e di una provincia raccontata con disincanto e affetto insieme.
Quasi la metà dei film di Pupi è ambientata in Emilia-Romagna, in epoche diverse.
Nelle sue storie si trovano inflessioni, dialetti, scorci del suo territorio, ma anche caratteri e pregi e difetti dei suoi abitanti che diventano protagonisti di un cinema che in Italia è sin troppo romano. E non si può raccontare di Pupi senza parlare di Antonio, suo fratello, da sempre produttore e non solo dei suoi film.
Una modalità produttiva familiare che ha consentito al loro cinema una libertà particolare e che, con l’orgoglio di rischiare in proprio, ha saputo individuare, corteggiare e farsi amare da un pubblico molto affezionato.
Le interviste a Pupi e Antonio che sentirete di seguito sono state fatte sul set del nuovo film, “Il figlio più piccolo”, in una assolata mattina di fine maggio a Bologna, in Piazza Maggiore.
Tra cavi, carrelli e ragazzi della troupe c’era Pupi all’opera. Un uomo capace di dare attenzione a tutti, ai suoi attori, alle comparse, al costumista, a comparse che avevano lavorato in un film precedente e volevano una parte, a vecchi amici che lo vengono a trovare, a una bravissima Laura Morante, a giovani cineasti, ad aspiranti attori, alle zingare che chiedono l’elemosina in Piazza Maggiore, al senegalese che vende i libri, a noi che vogliamo un’intervista. A tutti con eguale attenzione. E gentilezza.
Per questa intervista ci ha regalato la sua pausa pranzo, e noi gliene siamo grati.
Intervista a Pupi Avati
Intervista a Antonio Avati