“Alchimia” è un termine che deriva forse dall’arabo “al-kimiya” , uno dei nomi del reagente per la trasformazione dei metalli, detto in Occidente “lapis philosophorum” o “pietra filosofale”, e che quindi potremmo tradurre “arte della pietra filosofale”. La parola evoca alambicchi e pratiche esoteriche attraverso le quali trasformare i metalli “vili” in argento e oro. Ma non solo: i figli di Ermete – dal nome del mitico presunto fondatore dell’Alchimia Ermete Trismegisto – volevano conquistare l’onniscienza e così trovare un rimedio per curare tutte le malattie, fino a sconfiggere addirittura la morte.
In realtà è quasi impossibile definire l’alchimia se non come una complessa concezione pratico-cosmologica riservata a pochi iniziati, i quali, tuttavia, attraverso i loro tentativi di decifrare e ordinare ciò che in natura pare caotico, si portarono ai confini della scienza. E, non a caso, “Ai confini della scienza” è il titolo della mostra alla Biblioteca Universitaria di Bologna fino al 3 maggio, un percorso in quaranta volumi per illustrare quello che fu il periodo di maggiore fioritura in Europa della pratica alchemica, un lasso di tempo che va dal XIII secolo fino all’Età dei Lumi e all’ avvento della chimica scientifica.
Intervista a Biancastella Antonino
Uscendo dall’Aula Magna, dove Olmi ha girato le scene più suggestive del suo recente film “Centochiodi”, seguo attento il percorso espositivo. Il fascino dei libri in mostra è accresciuto dal meraviglioso repertorio iconografico che tentò, nei secoli, di tradurre in immagini i testi alchemici. Ne sono un esempio le 14 illustrazioni della “Pretiosa margarita” , opera curata da Lacinio e stampata dai figli di Manuzio nel 1546: si racconta di un re che, ucciso dal figlio, risorge dopo essersi congiunto a lui nel Sepolcro. Il re allude all’oro che disciolto dal mercurio (il figlio) dà vita nel forno (il Sepolcro) a una nuova sostanza : la pietra filosofale. Splendidi anche gli erbari alchemici appartenuti ad Ulisse Aldrovandi e le complesse tavole piene di elementi figurativi, in cui l’occhio davvero si smarrisce, dell’ “Amphiteatrum sapientiae” di Heinrich Khunrath pubblicato nel 1609. Ci sono anche le poesie alchemiche: in mostra un volume ne comprende 25, raccolte da un certo Antonio Afferri.
L’avventurosa storia dei ricercatori della verità è ben sintetizzata in uno degli autori di un trattato presente in mostra: si tratta di Nicolas Flamel, scrivano, libraio a Parigi e alchimista tra XIV e XV secolo, che dichiara di esser riuscito a trasformare la materia in oro. Su di lui la leggenda vuole che distribuì tutte le ricchezze in beneficienza e ebbe una vita lunghissima, anzi, eterna. Mi guardo intorno, potrei forse incontrarlo, chissà, nella magica atmosfera della Biblioteca Universitaria.
Un saluto da Bologna da Carlo Tovoli
Info:
Ai confini della scienza. L’alchimia nei fondi della Biblioteca Universitaria di Bologna
13 febbraio – 3 maggio 2014
Via Zamboni, 35 – Atrio dell’Aula Magna
lunedì-venerdì 10.00-17.00
sabato 9.30-13.00
Ingresso libero
Catalogo: 5 Euro