Cari ascoltatori, se nel 2015 a palazzo Magnani di Reggio Emilia abbiamo potuto ammirare in mostra l’intero corpus grafico e teorico di Piero della Francesca, tra cui i sette esemplari esistenti del De Prospectiva Pingendi, dal 13 febbraio i Musei San Domenico di Forlì ospitano ben 5 opere di quello che Luca Pacioli, suo contemporaneo, già definiva “il monarca della pittura”. E già questo è un evento se si pensa che nel 1992 una mostra ad Arezzo, organizzata per i cinque secoli dalla morte, ne aveva ospitate sette. Ma non basta: gli organizzatori assicurano che una mostra così non si è mai realizzata. Ci sono infatti oltre 200 opere a raccontare un percorso che va dagli artisti che lo influenzarono fino alle riletture del “mito” pierfrancescano nel Novecento.
Per illustrare la cultura pittorica fiorentina negli anni Trenta e Quaranta del Quattrocento, che vedono il pittore di Sansepolcro muovere i primi passi in campo artistico, abbiamo opere di grande prestigio di Domenico Veneziano, Beato Angelico, Paolo Uccello e Andrea del Castagno.
L’artista si muove tra Modena, Bologna, Rimini, Ferrara e Ancona determinando l’affermarsi di una cultura pierfrancescana nelle opere di artisti emiliani come Marco Zoppo, Francesco del Cossa, Cristoforo da Lendinara e Bartolomeo Bonascia. Importanti sono i suoi influssi nelle Marche e in Toscana, con Bartolomeo della Gatta e Luca Signorelli; e a Roma, con Melozzo da Forlì e Antoniazzo Romano. La sua fama raggiunge Venezia, e ritroviamo la sua influenza in Giovanni Bellini e Antonello da Messina.
Ma questa mostra, che già così sarebbe un evento, si spinge oltre, indagando il mito di Piero quando esso rinasce, dopo alcuni secoli di oblio, nel moderno, nei Macchiaioli, Borrani, Lega, Signorini, ad esempio. Ma soprattutto per il fascino che la sua pittura ha su molti artisti europei: da Johann Anton Ramboux o Charles Loyeux, fino alla fondamentale riscoperta inglese del primo Novecento, legata in particolare a Roger Fry, Duncan Grant e al Gruppo di Bloomsbury, di cui fece parte anche la scrittrice Virginia Woolf.
La mostra si fa manuale di storia dell’arte facendoci scoprire gli echi pierfrancescani in Degas e Seurat, e nei percorsi del postimpressionismo, si pensi a Cézanne. Quando mancano le opere, come il fondamentale ciclo di affreschi della Leggenda della Vera Croce di Arezzo, sono le riproduzioni in gigantografia e i video a farci scoprire la presenza di Piero in Guidi, Carrà, Donghi, De Chirico, Casorati, Morandi, Funi e Campigli. Perché proprio il Novecento può essere definito il “secolo di Piero”. Lo dimostra il confronto che apre la mostra forlivese tra la Madonna della Misericordia di Piero della Francesca e la Silvana Cenni di Felice Casorati. E anche la sua fortuna critica, da Bernard Berenson a Roberto Longhi. Ce la ricorda Antonio Paolucci, membro del comitato scientifico della mostra, nel catalogo ufficiale: “A un certo momento, nella storiografia critica del Novecento, Piero della Francesca è sembrato la dimostrazione perfetta, antica e perciò profetica, di una idea che ha dominato a lungo il nostro tempo; di come cioè la pittura, prima di essere discorso, sia armonia di colori e di superfici”.
Anche il cinema ha preso spunti da Piero, basti pensare al Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini. La mostra offre il confronto anche con importanti artisti stranieri del Novecento, da Hopper a Balthus, del quale si può ammirare un quadro dipinto nel 2000, un anno prima della sua scomparsa.
L’esposizione è organizzata dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì in collaborazione con il Comune. Il catalogo è di Silvana Editoriale.
Un’occasione da non perdere ai Musei San Domenico, fino al 26 giugno. Per organizzare la visita è utile consultare il sito http://www.mostrapierodellafrancesca.com/
Un saluto da Carlo Tovoli