29 novembre 2013
Modena dedica a Gabriele Basilico, a pochi mesi dalla sua scomparsa, un’imperdibile mostra che ci fa (ri)scoprire il suo sguardo sul territorio emiliano, fin dal 1978 quando, su incarico del mensile “Modo”, attraversa le campagne emiliane tra piste da ballo e discoteche, per indagare sul fenomeno delle balere. Lo fa esplorando trecento chilometri di dancing, da Reggio Emilia alla Ca’ del Liscio di Ravenna, “luoghi esuberanti e originali ma con un’atmosfera un po’ nostrana, tutta italiana”, dichiarò. Scatti forse tra i meno noti che testimoniano il primo approccio alla fotografia di Basilico, quello più attento allo sguardo sociale e impegnato. Tra punkettoni, minigonne e tradizionali abiti del ballo liscio, visita, tra gli altri, il Club 501 di Gualtieri, il Marabù di Sant’Ilario d’Enza, il Picchio Rosso di Formigine. Il reportage fu oggetto di un’esposizione a Modena nel 1980 e ritorna oggi, con venti scatti, in apertura della mostra attuale, e un catalogo, “Dancing in Emilia”, a cura di Silvia Ferrari in collaborazione con Giovanna Calvenzi per Silvana Editoriale.
La “svolta” del linguaggio del fotografo milanese avverrà subito dopo, con l’abbandono del soggetto della figura umana per dedicarsi totalmente al paesaggio urbano, di cui è uno dei massimi interpreti. Di questo periodo troviamo in mostra alcuni capolavori, come “Le Tréport” del 1985, parte dell’ambiziosa campagna fotografica governativa francese Mission Photographique de la D.A.T.A.R. a cui Basilico partecipa, unico italiano, insieme a un gruppo internazionale di fotografi con l’obiettivo di documentare le trasformazioni del paesaggio francese.
Tra gli anni Ottanta e Novanta scatta anche le cinque opere di grande formato prestate per l’occasione dalla Fondazione Fotografia, vedute urbane di città europee (Bilbao, Porto, Genova, Milano, Dieppe), particolarmente significative della cifra stilistica del fotografo.
“Fotografare una città – scrive Basilico in un testo del 2010 pubblicato sui “Quaderni dello Studio Basilico 1/2013” – significa fare scelte tipologiche, storiche, oppure affettive, ma più spesso vuol dire cercare luoghi e creare incontri e relazioni (…) Se immaginiamo la città come un grande corpo fisico e prendiamo metaforicamente come esempio l’agopuntura, sappiamo che ci sono dei punti lungo i meridiani nei quali si attiva l’energia.
Allo stesso modo mi piace pensare che anche io, come fotografo, in fondo mi muovo come se cercassi dei punti nello spazio fisico nei quali collocare il punto di osservazione e da dove infine proiettare lo sguardo”. Ed ecco le immagini che ripercorrono la presenza a Modena del fotografo, protagonista di tre storiche campagne di documentazione fotografica: “Gli occhi sulla città”, che condusse insieme a Olivo Barbieri e Mimmo Jodice nel 1994 su incarico del Comune di Modena, “L.R. 19/98. La riqualificazione delle aree urbane in Emilia-Romagna” del 2001, promossa dalla Regione Emilia-Romagna e dall’IBC, Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, che ha documentato le aree dismesse, quasi sempre ai margini della città storica, e infine quella del 2011, scaturita dalla convenzione tra Comune di Modena e IBC, come parte (saggio per immagini) del volume “Città e architetture. Il Novecento a Modena” (Franco Cosimo Panini editore, Modena 2013).
La figura dell’autore è approfondita anche grazie alla proiezione in mostra del film documentario “Gabriele Basilico”, realizzato nel 2009 dalla casa di produzione video Giart, in collaborazione con Contrasto. Da Milano alla Francia, da Beirut a Mosca, il fotografo ci spiega come la “lentezza dello sguardo” sia fondamentale per dare un senso ai luoghi.
Nell’ammezzato della sede storica di Palazzo Margherita – la mostra è invece nella Palazzina dei Giardini – anche una delle ultime interviste rilasciate da Basilico nel suo studio a Milano, in un documentario a cura di Saverio Cantoni e Mirco Marmiroli realizzato nell’aprile 2013 con la supervisione di Marco Vallora.
“E’ forse presuntuoso e illusorio sperare che la fotografia possa rieducare alla visione dei luoghi, ma sicuramente uno sguardo sensibile, meditativo, centrato, può aiutare a rivelare ciò che è davanti ai nostri occhi ma spesso non è riconoscibile”. Così scrive ancora Basilico nello scritto del 2010. “Lo sguardo lento” del grande fotografo ci apre ancora una volta nuove visioni. Buon viaggio, maestro.