18 novembre 2008
Cari ascoltatori, il nostro protagonista di questa settimana è Amico Aspertini, il pittore più vario e imprevedibile che si poteva incontrare nel panorama artistico della Bologna della prima metà del Cinquecento, pur così ricca di nomi famosi. Ad Aspertini, vissuto dal 1474 al 1552, è dedicata la grande mostra alla Pinacoteca nazionale di Bologna, che per il successo di pubblico è stata prorogata fino al 26 gennaio 2009. Di questo artista che, come dicevamo, operava in una città già matura di storie e da tempo protagonista dell’arte italiana, il critico Roberto Longhi diceva che era il Cranach bolognese, “pittore sommamente romantico, appartenente al barbaro e dissestato settentrione”, che irruppe sulla scena bolognese a portare scompiglio nel “dolce ottimismo del Francia”.
Amico Aspertini lavorava, infatti, nell’ambiente della corte di Giovanni II Bentivoglio, a fianco di Francesco Francia e Lorenzo Costa, i più celebri pittori dell’epoca. Dopo il passaggio della città sotto il governo pontificio, Aspertini continuò la sua attività in rapporto con prestigiosi committenti cittadini, senza mai interrompere quel continuo viaggiare e disegnare per tutta Italia che lo portò a contatto con Raffaello, Dürer, Michelangelo, Filippino Lippi, Perugino e altri protagonisti della cultura figurativa contemporanea.
La formazione di Amico Aspertini avvenne probabilmente all’interno della bottega del padre, con il quale si recò a Roma intorno al 1496. Durante questo soggiorno entrò in contatto con i cantieri romani di Filippino Lippi e Pinturicchio e maturò quella passione verso il mondo antico che lo accompagnerà sempre. Preziosa testimonianza di questo interesse sono i famosi taccuini e i numerosi disegni sciolti che documentano la straordinaria fantasia inventiva del maestro e la varietà di stimoli culturali raccolti durante i viaggi a Roma, Firenze e Venezia.
Fino al 1506 Aspertini è attivo a Bologna in rapporti d’amicizia con collezionisti e intellettuali dello Studio; in seguito alla cacciata dei Bentivoglio si reca a Lucca, dove decora la cappella di Sant’Agostino nella Chiesa di San Frediano. A partire dal secondo decennio del Cinquecento il pittore è protagonista della scena artistica bolognese, contrapponendo il suo estro e la sua eccentricità al classicismo raffaellesco che dominava il gusto della città dopo la conquista da parte della Chiesa.
Ampio è l’impegno nel cantiere di San Petronio: come scultore (Cristo sorretto da Nicodemo sul portale di destra) e pittore (la Pietà e Santi nella Cappella Marsili e le ante dell’organo).
Nel 1529 Amico lavora all’apparato effimero realizzato per l’ingresso a Bologna di Carlo V e Clemente VII. La sua attività prosegue fino al 1540 circa con gli affreschi nella Rocca Isolani di Minerbio. Il pittore muore il 19 novembre 1552 e viene sepolto nella Chiesa carmelitana di San Martino.
“Uomo capriccioso e di bizzarro cervello”, come lo definì Giorgio Vasari, Aspertini è una delle figure più amate dalla critica d’arte e dal pubblico per le figure fortemente espressive delle sue pitture, per i suoi paesaggi che stanno tra naturalismo e classicismo, e per il forte carattere onirico e materico della sua opera.
La mostra di Bologna è la prima monografica realizzata su di lui. Un centinaio sono le opere presentate, tra dipinti autografi, affreschi, ceramiche, incisioni e disegni: fra questi ultimi si segnalano le vacchette, in altre parole i taccuini su cui – come abbiamo ricordato prima – l’artista usava riprodurre ciò che lo colpiva durante i viaggi, e che costituiscono una vera miniera d’informazioni storico-artistiche. Questi taccuini offrono anche un puntuale termine di paragone con le opere di artisti a lui contemporanei, come l’amato Dürer, che venne a studiare prospettiva a Bologna nel 1504, Filippino Lippi o Raffaello.
Quello che resta, dopo aver visitato la mostra, è l’arte visionaria e – si potrebbe dire – espressionista di uno dei più eccentrici pittori del Cinquecento, veramente unico nella sua capacità di fondere il classicismo dominante in Italia con la tradizione nordica tedesca e fiamminga. Era, insomma, l’anti-Raffaello bolognese, nel senso che gli interessava, dell’antichità classica, la dimensione malinconica e decadente, anziché quella più composta e solare. E la sua fantasia si accendeva di sentimenti nordici.
All’Aspertini più inedito, colto in un pensiero sussurrato a se stesso durante un momento del suo lavoro nel “cielo spento” delle chiese che affrescava, ha dedicato una bellissima canzone Lucio Dalla. Il musicista bolognese ha cercato di restituirci lo stato d’animo del pittore scrutandone la vita interiore così come essa traspariva nel genio irregolare delle sue opere. Con inserti nell’italiano del Cinquecento e un tono decisamente intimistico, Dalla ha trovato il modo per avvicinare al grande pubblico questo suo antico concittadino.