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6 Ottobre 2011 | Racconti d'autore

Bologna senza via di mezzo

Di Danilo Masotti e Vasco Rialzo, Pendragon, Bologna, 2011 (prima puntata)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

6 ottobre 2011

Bologna sì, Bologna no. Un agile e gustoso libretto ci spiega cosa fare e cosa non fare, dove andare e dove non andare, cosa vedere e cosa non vedere a Bologna. Gli autori sono due: uno dice no e l’altro dice sì. Chi ascoltare?

IL CENTRO COMMERCIALE MERAVILLE

Una volta il quartiere Pilastro era considerato il luogo più fec­cioso della città, solo ad avvicinarsi al Virgolone c’era da aver paura, roba da non uscirne vivi. Ma questa è storia passata. Adesso, grazie a nuove costruzioni, aree verdi, servizi e sicurezza, questo quartiere è diventato un gioiello di cui la città può andare fiera, buona parte di questo merito va sicuramente al centro com­merciale Meraville.

La particolarità di questo luogo visitatissimo è il passeggio al­l’aperto, rigorosamente protetti da portici, come la tradizione fel­sinea impone.

Per gli sportivi orfani della Macron di via Saffi, della Farne­sina e di Schiavio, adesso c’è Decathlon, un hangar a perdita d’oc­chio dove pure lo sportivo alle prime armi può attrezzarsi come un professionista. La marca più gettonata è Quechua e, se ci fate caso, chiunque incrociate in qualsiasi stagione per le strade di Bo­logna indossa inconsapevolmente qualcosa di questo sottovaluta­tissimo brend. Proseguendo troviamo regalatori di divani a rate, il tempio della calzatura Pittarello, negozi alla moda come Den, la sempreverde Oviesse, addirittura una Coop, Prenatal e Chicco con Chiccolandia in attachnient (ideale per far scorazzare i bam­bini quando fuori piove), Toys e le sue pareti di giochi sempre più grandi. Tra i luoghi preferiti del Meraville c’è da segnalare Me­diaWorld, il paradiso dell’elettrodomestico e dell’aitec, ma soprat­tutto Leroy Merlin, l’unico luogo in grado di mobilitare umarells di tutte le età fino a quest’area di Bologna dove una volta era tutta campagna, mentre adesso è un fiorire di ristoranti, bar, pasticce­rie. E, se qualcuno fino ad ora è riuscito a non mangiare nulla, ecco stagliarsi all’orizzonte la Emme Gialla più amata dai cinni scurzoni: Mc Donald’s. Anche nella formula Mec Draiv. Geniali’sti bolognamericani.

IL PRIVÉ DI VIA SAN FELICE

I forestieri non lo sanno. Credono che il vero shopping bolo­gnese, quello d’eccellenza, si faccia in via dell’Indipendenza, in via Ugo Bassi, in galleria Cavour, sotto al Pavaglione. Insomma, nelle grandi zone commerciali della città.

Imperdonabile pecca d’ignoranza.

Perché gli acquisti più ricercati, altezzosi, esclusivi avvengono in una strada più appartata, lontana dai volgari sguardi di turisti e alloctoni vari, studenti e professionisti di passaggio. Il bolognese doc, quello che ama vestirsi bene, che cura la sua immagine, il “petroniano che ne sa”, che conosce i negozi giusti, che adora ve­stiti e scarpe e gingilli e addobbi di classe, ma non troppo, di gusto, ma grandissimo, di moda, ma non banali, di pregio, ma che “lo sa solo lui”, chic, ma finissimi, ecco, quel bolognese, che ce n’è a bizzeffe, di entrambi i sessi, di età variabile dai sorpren­denti venti, venticinque anni fino ai consolidati sessanta, settanta e forse anche più, ecco, quell’élite commerciale lì, sicuramente be­nestante, ma non pacchiana, sicuramente generosa, ma altrettanto attenta, sicuramente spendacciona, ma non sempre, ecco, quel bo­lognese lì va, in punta di piedi, fiero della sua esclusività, della sua sapienza merceologica, snob dei tanti plebei che affollano le grandi vetrine dei grandi negozi, ecco, quel bolognese lì rimbalza, con discrezione, tra gli insopportabili negozietti di via San Felice.

La così definita SoHo di Bologna, orrore, è proprio lì, nella nic­chia della trafficatissima via San Felice. Eccentrico privé commer­ciale, ove lo shopping si fa casual, ma sofisticato, raccapricciante, ma divertente, minore, ma forte dei suoi marchi tanto indipen­denti quanto deliziosi, con quell’antipatico tocco di originalità, quelle demenziali note di creatività, che fanno molto urban, molto Barcellona, molto che “ce l’ho solo io a Bologna”.

Per fortuna.

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