Ezio Raimondi, appassionato conoscitore di libri, sosteneva che chiunque si impegni a ridare dignità a una biblioteca, a curarne lo splendore e l’efficienza, per farne un centro di vita e d’incontro, con questo impegno invita ad amarle, a considerarle un bene che non va ignorato, perché dimostra, con i fatti, che se ne può essere partecipi. Il protagonista di cui vi raccontiamo oggi, cari amici e care amiche di RadioEmiliaRomagna, ha speso gran parte della sua esistenza a difendere i libri di una biblioteca storica, una delle più importanti tra quelle esistenti fra Rimini e Piacenza.
Angelo Ciavarella nasce nel 1915 a San Marco in Lamis, un piccolo borgo della Puglia garganica che, una volta cresciuto, lascia alla volta di Napoli, dove a 23 anni si laurea in lettere con lo storico Adolfo Omodeo. Dedica la sua tesi al filosofo francese Benjamin Constant, che tra le sue idee, forse, gli trasmette anche questa: le conoscenze umane formano una massa eterna, alla quale ogni individuo porta il suo contributo particolare, ma solo il perfezionamento progressivo di queste conoscenze stabilisce dei legami sicuri fra le generazioni.
Per un paio d’anni lavora come insegnante liceale, finché nel 1940 vince il concorso statale per bibliotecario e viene destinato alla Biblioteca Palatina di Parma, dove prende servizio in agosto. Da qualche mese l’Italia mussoliniana è entrata in guerra a fianco della Germania di Hitler e nelle liste della leva c’è anche il nome di Angelo Ciavarella: nel luglio del 1941 viene chiamato alle armi come ufficiale di complemento.
Alla fine del conflitto, decorato al merito e sopravvissuto alla prigionia tedesca, torna in servizio a Parma, che ormai sente come la sua città. Non la lascerà più, a parte un triennio trascorso a Catania, dove dirige la Biblioteca Universitaria. Nel 1957, nominato direttore della Palatina, riprende da dove aveva lasciato, dando inizio a un’opera instancabile per ridare vita a un’istituzione colpita dai bombardamenti del ’44 e dalla cronica penuria di risorse.
Per imprimere un nuovo impulso alla Biblioteca, Ciavarella agisce nello stesso tempo su vari fronti, collegati da un unico disegno. Si dedica innanzitutto al recupero degli ambienti, cominciando dalla galleria Petitot, pesantemente colpita dalle bombe, e poi risanando il salone “Maria Luigia”, dove il busto in marmo della duchessa, scolpito da Antonio Canova, vigila silenzioso su migliaia di volumi e sulle loro preziose legature.
Passa quindi alla ricognizione e al riordino dei fondi librari spostati in seguito ai crolli, il patrimonio antico della Palatina, senza dimenticare tuttavia le necessità del presente: per rispondere anche alle esigenze dei lettori più giovani raddoppia l’acquisto di nuovi libri. E poi organizza una serie di mostre e cataloghi memorabili, che partono dal patrimonio custodito dalla Palatina per spaziare in ambito italiano ed europeo.
Per fare tutto questo, al bibliofilo pugliese non bastano certo gli esigui stanziamenti ministeriali ma non è che la cosa lo scoraggi più di tanto: con cortesia e calore tutti meridionali coinvolge nell’impresa anche le amministrazioni locali, l’associazione degli industriali e le banche. “La biblioteca” – spiega sorridendo ai suoi interlocutori – “è un importante strumento di formazione culturale per tutti i cittadini”. Come dargli torto, visto l’impegno che mette lui stesso, in prima persona?
Il 17 novembre 1963, in occasione del 150º anniversario della morte di Giambattista Bodoni, il tipografo settecentesco che fece di Parma la capitale mondiale della stampa, Angelo Ciavarella vede realizzarsi un sogno. Quel giorno, all’ultimo piano della Biblioteca Palatina, dove si conservano gli strumenti e le carte di Bodoni, viene inaugurato il Museo a lui dedicato. È un progetto che l’imperterrito direttore ha promosso e sostenuto per più di sei anni, raccogliendo il testimone dei suoi predecessori. Continuerà a curarlo, come presidente, anche dopo il pensionamento, avvenuto nel 1973.
Oggi, a oltre vent’anni dalla sua morte, la memoria di Angelo Ciavarella è affidata alla stessa creatura a cui aveva dedicato tanto del suo tempo e delle sue energie. Tra i suoi fondi la Palatina conserva anche i libri di questo ingegno del Sud che seppe farsi amare tra le nebbie padane. “Così,” – avrebbe detto il suo Constant − “l’amico della libertà e della giustizia lascia ai secoli futuri la parte più preziosa di se stesso e la mette al riparo dal disprezzo dell’ignoranza e dalla minaccia dell’oppressione”.