3 ottobre 2011
Torniamo a parlarvi di Arte Povera 2011, la mostra evento ideata da Germano Celant.
I numeri della kermesse sono importanti, si tratta della più imponente mostra mai realizzata in Italia: 7 mesi di esposizioni, 15.000 metri quadri di spazio espositivo, 8 istituzioni museali disseminate su tutto il territorio nazionale chiamate a fare rete, un catalogo targato Electa di 700 pagine e soprattutto 250 spettacolari installazioni di artisti del calibro di Boetti, Penone, Paolini, Zorio, Anselmo, Merz, Kounellis, Fabro, Pistoletto.
La prima tappa, Arte Povera 1968, dedicata agli esordi del movimento e curata da Celant e Gianfranco Maraniello, è stata inaugurata, come vi abbiamo preannunciato, il 24 settembre a Bologna dove nel 1968 con la mostra alla Galleria de’ Foscherari e l’infuocato dibattito che ne seguì il movimento, nato l’anno precedente, ebbe la sua consacrazione.
Era il 1967, la nostra storia stava per cambiare, i movimenti di protesta si espandevano a macchia d’olio in tutto il mondo e, in quell’anno, Celant osserva lo strappo linguistico messo in atto da artisti che spostano la loro attenzione dalle forme ai processi, dagli oggetti ai gesti, dallo spazio concluso dell’opera al potenziale infinito del tempo.
Il nome del movimento, Arte Povera appunto, coniato da Celant è mutuato dal teatro povero di Grotovskj e allude all’impoverimento dei segni in favore di una ricerca dell’essenziale, del primario per far ritorno alla centralità dell’uomo.
Il linguaggio del movimento è dirompente e idealmente si collega al lavoro di Burri e Fontana, abolisce ogni gerarchia tra le materie e le forme espressive, spazia in tutti i territori della comunicazione visiva, dalla fotografia alla televisione, utilizza materiali, materia, energia, natura in modo assolutamente nuovo. Emblematica in questo senso l’opera di Giuseppe Penone che apre la mostra al Mambo, si tratta di una serie di foto, Alpi Marittime, immagini che ritraggono l’artista nell’atto di intervenire su elementi naturali, quali gli alberi di un bosco, lasciando una traccia indelebile che si trasformerà nel tempo. In mostra anche Continuerà a crescere tranne che in quel punto (1968), il tronco con iscritta nelle sue fibre l’impronta della mano dell’artista.
Arte Povera, fin dagli esordi non si vuole proporre come avanguardia e già nel 1971 Celant decreta la fine del movimento a favore dell’esperienza e della specifica sensibilità verso i materiali dei singoli artisti.
Oggi, a quasi cinquant’anni di distanza, grazie a questa mostra che racconta anche l’evoluzione delle singole individualità artistiche possiamo leggere l’importanza acquisita dal movimento nella storia dell’arte, pari a quella del Futurismo.
Ne abbiamo parlato con Germano Celant.
Intervista a Germano Celant