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12 Maggio 2009 | Archivio / Protagonisti

Cesare Zavattini: il mondo in un paese

A Luzzara il celebre scrittore chiamò due grandi fotografi, nel 1953 e nel ’73. E la storia continua.

A cura di Vittorio Ferorelli e Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

12 maggio 2009

Sul calendario dei personaggi che hanno cercato di migliorare il mondo, facendo più grande l’Emilia-Romagna, il 13 ottobre del 2009 segna i vent’anni dall’ultimo saluto di Cesare Zavattini. Scrittore, giornalista, soggettista, sceneggiatore, pittore, Zavattini è nato nel 1902 a Luzzara, in provincia di Reggio Emilia, e da qui è partito per le avventure che lo hanno portato alla scrittura di libri memorabili (Parliamo tanto di me, I poveri sono matti, Io sono il diavolo, Straparole) e di film che, dal dopoguerra a oggi, hanno fatto scuola (Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D.).

Pur viaggiando molto, Zavattini mantenne sempre col paese di origine un legame saldo. Tanto che nel 1952, entrando in contatto con un fotografo americano che cercava un villaggio da fotografare nella sua schietta epopea quotidiana, gli propose senzaltro di visitare Luzzara. Il progetto, nell’intenzione di “Za”, era chiaro: un libro di foto accompagnate da un testo fatto “tutto con le parole dei luzzaresi, vale a dire una trentina o quarantina o cinquantina di interviste le quali messe insieme daranno il carattere del paese, gli interessi del paese. E certamente io sono abbastanza adatto per far parlare con sincerità, con confidenza, se non tutti almeno parecchi dei miei concittadini, e di rivolgere loro quel tipo di domande che li facciano aprire. Dovrebbe venire fuori un libro intitolato proprio ‘LUZZARA’ che io non considero paese troppo diverso dagli altri ma un paese, ogni paese è degno di racconto e può rivelare, se l’esame è approfondito, cose utili per chiunque”.

Il fotografo, Paul Strand, si convinse, venne a Luzzara con la moglie e assistente Hazel Kingsbury, e fotografò i luoghi e i volti del paese. Tornato a Parigi, dove risiedeva, spedì allo scrittore le sue scatole di foto. Ogni immagine era accompagnata da una didascalia provvisoria. L’altro, intanto, metteva insieme i pezzi della narrazione: “Se lei avesse qualche altra immagine di luoghi e di persone, specialmente di vita collettiva e di azione (per esempio: strade, piazze, il ballo o la lunga fila della gente in bicicletta o il passeggio sotto i portici, un’osteria o le donne mentre fanno la treccia o i braccianti che lavorano a rinforzare le dighe sul Po o l’uomo che va a caccia di tartufi col cane lungo gli arginelli), non sarebbe male aggiungerla”.

“Cher ami Zavattini” / “Caro Strand”: così, una lettera dopo l’altra, prendeva vita e cresceva lo strano progetto di due artisti di paesi diversi che raccontavano la vita di un paesino della Bassa per immaginare quella di tutti i paesi del mondo. Tre anni dopo, da quell’incontro fortunato nacque un capolavoro mondiale del racconto fotografico, edito da Einaudi: il libro, alla fine, fu intitolato semplicemente Un paese.

Nel 1973 Zavattini chiamò a Luzzara un altro grande fotografo, l’italiano Gianni Berengo Gardin, e gli chiese di raccontarla ancora, così come la vedeva lui, con il suo stile e la sua sensibilità. E il fotografo rispose, tornando sulle orme del suo collega americano: “Tornai varie volte al paese e durante una delle mie visite decisi di andare a cercare le persone che erano state fotografate da Strand, per curiosità, per vedere come erano cambiate dopo vent’anni. Loro non ricordavano quasi nulla di Strand, neanche il nome, non avevano mai visto né le fotografie né il libro, si ricordavano vagamente di ‘un fotografo americano con un grande cavalletto di legno’. Ma quando chiesi loro di farsi fare una foto nello stesso luogo dove li aveva fotografati Strand, tutti, ma proprio tutti, e senza che io dessi loro alcuna indicazione, si misero nella precisa posizione, nella stessa posa in cui erano stati fotografati vent’anni prima”.

Nasceva così, sempre per l’editore Einaudi, Un paese vent’anni dopo, ripubblicato nel 2002, in occasione del centenario della nascita, da Federico Motta. Ma la storia prosegue: il seme zavattiniano ha continuato a germogliare negli anni, richiamando a Luzzara altri fotografi. Stephen Shore nel 1993, Olivo Barbieri nel 1997, Marcello Grassi e Fabrizio Orsi nel 2005. Gli ultimi scatti (almeno per ora) sono quelli di Benedetta Alfieri, Maurizio Cavazzoni, Tommaso Perfetti ed Emanuela Reggiani. Nel 2006 la Fondazione Un Paese ha chiesto a loro di raccontare la Luzzara di oggi, prendendo come spunto uno dei quadri conservati dal Museo nazionale delle arti naïves che porta il nome di Cesare Zavattini. Uno di questi fotografi ha ritratto il teatro in disuso e ha ambientato al suo interno dei video in cui compaiono le donne della comunità indiana del paese, meta di immigrazione come il resto della regione. Le donne raccontano storie in una lingua che i luzzaresi non capiscono. E tutti insieme, noi e i luzzaresi, per una volta siamo quelli che devono stare zitti, che devono comprendere la lingua degli altri. Il mondo in un paese.

 

http://www.cesarezavattini.it: un progetto della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia e dell’Archivio Cesare Zavattini.

Video su Luzzara a cura di Valeria Cicala, Flavio Niccoli, Isabella Fabbri (Istituto per i beni artistici culturali e naturali della Regione Emilia-Romagna)

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