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28 Marzo 2015 | Paesaggio dell'anima

Clarinetti emiliani

Un viaggio in regione attraverso la musica

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Alessia Del Bianco.

Bobby Solo: Una lacrima sul viso (di Iller Pattacini).

Cari ascoltatori, dopo tanta musica classica, oggi apriamo una parentesi, sempre restando a Bologna. Nella parentesi, ci mettiamo dentro il jazz, che nella capitale emiliana vanta una lunga presenza. In fondo parliamo sempre della storia musicale di Bologna, dove tutto si tiene, tutte le musiche sono tenute in considerazione. Uno dei primi concerti jazz del dopoguerra si svolse nel 1948 all’Accademia Filarmonica di via Guerrazzi, il tempio della musica classica. In quelle auguste stanze svettava, quella sera, il clarinetto di Iller Pattacini, poliedrica figura di compositore, arrangiatore, direttore artistico della casa discografica Ricordi e direttore d’orchestra in programmi televisivi. Il reggiano Pattacini a quarant’anni si ritirò dalle scene per tornare a suonare nell’orchestra del padre che aveva un repertorio di musica popolare emiliana, ballo liscio. Prima, però, aveva suonato con Gorni Kramer, scritto “Una lacrima sul viso” portata al successo da Bobby Solo nel 1964, scoperto un artista come Lucio Battisti, favorito l’esordio di Francesco Guccini, collaborato con arrangiamenti e composizioni con Mina, Equipe 84, Adriano Celentano, Enzo Jannacci, Ornella Vanoni, Giorgio Gaber.  

 Iller Pattacini: Canta se la vuoi cantar.

 Il motore del jazz bolognese era l’Hot Club, fondato nel 1947 da un gruppo di amici in un palazzo di via D’Azeglio. Si deve all’Hot Club l’organizzazione dei primi concerti in città. Una delle animatrici delle serate jazz bolognesi del dopoguerra al Caffè Zanarini e al Dandy Club era la giovane e biondissima Laura Betti, nata a Casalecchio di Reno nel 1927. Attrice di teatro e di cinema, cantante dalla voce roca, la Betti ebbe agli esordi anche esperienze di cabaret con Walter Chiari e con Paolo Poli, prima di diventare la musa di Pierpaolo Pasolini, per il quale avrebbe recitato negli anni Sessanta e Settanta in memorabili film. Paolo Poli, con cui scrisse e cantò “La ballata dell’uomo ricco”, ricorda che quando lui e Laura erano attori squattrinati, mangiavano un uovo sodo al giorno; e quando invece ricevevano la paga dalla televisione, andavano a mangiare gulasch al ristorante ungherese. Sentiamoli in questa canzone che più autobiografica non potrebbe essere.

 Laura Betti e Paolo Poli: La ballata dell’uomo ricco.

 Un altro grande, grandissimo musicista presente sulla scena jazz bolognese del dopoguerra è Henghel Gualdi. Nato a Correggio, nella bassa reggiana, fece il suo esordio nel 1948 in un concerto alla Sala Farnese del Comune di Bologna con il suo clarinetto che già incantava il pubblico. Aveva imparato a suonare nelle bande musicali dell’Emilia e nella banda militare accanto al grande violinista Paolo Borciani, anch’egli emiliano. Durante la guerra scopre il jazz, l’improvvisazione e le grandi band americane, ma la morte prematura del padre, anche lui musicista, nel 1947, lo mette nelle condizioni di doversi guadagnare da vivere suonando il liscio nelle balere di periferia, in un’Italia che vuole tornare a divertirsi. Ma ben presto si fa notare: riceve i complimenti di Hemingway dopo un concerto a Cortina, viene invitato a suonare con i grandi del jazz, da Chet Baker a Lionel Hampton, ma rifiuta le offerte americane perché ha paura dell’aereo. Si rintana a Bologna, dove si esibisce al “Settimo Cielo” e in altri locali, finché la sua orchestra non diventa la più richiesta in radio. Nel 1968 Louis Armstrong, invitato a suonare al festival di Sanremo, chiede che ad accompagnarlo sia l’orchestra di Henghel Gualdi. Da allora è tutto un susseguirsi di successi. Woody Allen, anche lui clarinettista, nel 1996 lo cercò per chiedergli consigli. Noi lo ascoltiamo ora nella divertente “Jazz Band”.

Henghel Gualdi: Jazz Band.

 Altro clarinettista, ma dilettante, era Pupi Avati, che a metà degli anni Cinquanta fondò in un locale della parrocchia di San Giuseppe in via Saragozza la “Criminal” band, che poi avrebbe mutato nome in Doctor Chick, perché a suonare la tromba era uno studente italoamericano, Chick Di Pippo. La band del futuro regista si sarebbe poi fusa con la band rivale, la “Panigal”, dando vita nel 1959 alla Rheno Dixieland Band. Queste vicende Pupi Avati le racconta in un suo film per la tv, “Jazz Band”. Nel 1978 Pupi Avati realizza un film ambientato nella pianura bolognese, “Le strelle nel fosso”. La colonna sonora la scrive insieme all’amico Henghel Gualdi. Eccola, e buon ascolto.

 Pupi Avati – Henghel Gualdi: Le strelle nel fosso.

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