15 febbraio 2011
Abbiamo visto, di Claudio Cesari, pittore parmense, una bella mostra l’anno passato, al Palazzetto Eucherio Sanvitale compreso nel parco ducale di Parma. “Pittore lieve, luminoso e numinoso, sottile evocatore di apparizioni”, ha scritto di lui Marzio Dall’Acqua, presidente dell’Accademia Nazionale di Belle Arti di Parma, che “da autentico pittore postmoderno, si muove altalenando dalla figurazione all’astrazione, alla pittura materica, a esiti di action painting, in un labirinto di opere e di cronologie che hanno perduto qualsiasi valore di percorso, qualsiasi identità di mappa di un itinerario personale: proprio perché è la pittura, nella quale l’anima stessa si raffrena e si sperde, quasi si annulla e scioglie”.
La sua, scrive ancora Marzio Dall’Acqua, è la “messa in scena di un’idea di natura che in realtà è ormai tradizione pittorica, visivo-cromatica, luogo comune dell’occhio, conclusione di un percorso secolare artistico che si appalesa nella magia di un affioramento, di una apparizione: la memoria della bellezza che ritorna leggera e incorporea per la brama dell’occhio. Un occhio però che è pittoresco, che annulla la figurazione per risolvere tutto in una percezione estetica più che estatica, che non è un approdo in un percorso, ma un frammento visionario sperimentale, una manipolazione segreta della mano che opera attraverso i colori”.
Tiziano Marcheselli sulla Gazzetta di Parma ha letto la mostra parmense di Cesari alla luce di tutto il suo percorso artistico. «Dopo aver insegnato tecnica fotografica (a Colorno e a San Secondo) e aver realizzato eleganti volumi tra fotografia e liriche, pur sempre innamorato dei più remoti angoli fluviali di Po e Taro (anfratti, di quest’ultimo, che ha frequentato personalmente fin da ragazzo, accanto a gente come Cattani e Marchetti), ha avvertito la necessità di scoprire nuove atmosfere e nuovi materiali, magari provenienti da attività completamente differenti (si vedano, ad esempio, i recenti grandi pannelli astratti, dal rilievo di polistirolo, e le piccole sculture di animali realizzate con metallo e plastica di recupero, in questa mostra non presenti, ma in attesa di proporsi in futuro).
Il percorso di questa ricca rassegna antologica è scorrevole e coerente: parte dal paesaggismo dei primissimi anni Sessanta, attraverso una personale «nuova figurazione», dagli eleganti grigi e dalle piccole luci improvvise, per passare attraverso le lanche del Po, ricche di colore e di vita sotterranea, degli anni Settanta; poi il capitolo delle piante e fiori, caratterizzato dai grandi alberi incombenti, che sfociano nella serie di complessi pannelli dedicati al bosco (…). Quindi, il paesaggio si è trasformato, per cercare atmosfere e luci anziché riferimenti precisi con la realtà, all’insegna del «vero, verosimile, virtuale»; infine, il bisogno di accostare la pittura ai temi letterari e alla poesia dei grandi del passato con divagazioni attraverso l’invincibile cavaliere (Don Chisciotte) o sulla strada dei pellegrini (Francigena)».