6 settembre 2011
Cinque paesi della “bassa”: una piccola comunità a nord-est di Bologna, negli anni tra il 1880 e il 1912. Castel Maggiore e Castenaso, più vicini alla città capoluogo e dotati di fabbriche e piccole aziende, riuscirono a sfuggire alla sorte toccata a Budrio, Medicina e Molinella, dove la crisi dell’agricoltura provocò l’esodo verso le Americhe di oltre duemila persone. Nonostante la pianura bolognese fosse una terra fertile, i contadini erano affamati. L’11 giugno 1878 davanti al municipio di Molinella c’erano seicento braccianti e mondine che gridavano “Pane e lavoro!”. A questo primo sciopero ne seguirono altri causati dal crollo del prezzo del riso, l’“oro bianco” che dagli inizi del secolo aveva determinato la ricchezza di questa terra, disegnandone insieme il paesaggio, fatto di un’ordinata rete idraulica di canali e scoli.
La riduzione delle risaie causò la disoccupazione di migliaia di risaioli e l’intervento dei comuni, che utilizzarono le loro scarse risorse per distribuire cibo alle famiglie più povere. Molinella era tutto un susseguirsi di manifestazioni, cui partecipavano in massa anche le donne: scioperi lunghissimi, sempre interrotti dall’intervento della forza pubblica. L’esercito presidiava il paese e arrivò a schierarvi fino a diecimila soldati.
Intanto, gli agenti di emigrazione battevano le campagne alla ricerca di manodopera a basso costo da far partire per l’America. Distribuivano opuscoli di propaganda che promettevano il paradiso in Brasile. Il primo esodo di massa da Molinella si ha nell’ottobre 1888: 215 tra braccianti e loro familiari diretti nella provincia di San Paolo.
Il picco delle partenze si raggiunge negli anni 1890-95. Nel ’95 emigrano in Brasile oltre 400 persone da Budrio, altrettante da Molinella e 331 da Medicina. Brasile e Argentina sono le mete principali, seguite dagli Stati Uniti, verso cui s’indirizzano in particolare gli abitanti di Medicina. In Brasile, la gente di Budrio e Molinella si dirige verso il Minas Gerais, quelli di Medicina scelgono San Paolo. A determinare la meta sono gli “atti di chiamata” ufficiali che garantiscono la gratuità del viaggio o la più frequente catena migratoria: chi è già emigrato e si è in qualche modo sistemato, chiama a sua volta familiari e compaesani.
Il libro della ricercatrice Lorenza Servetti, “Trenta giorni di nave a vapore. Storie di emigrazione dalla Valle dell’Idice (1880-1912)”, ha ricostruito questa diaspora frugando tra archivi comunali e parrocchiali, della prefettura e della questura, liste di sbarco e censimenti, e attraverso interviste e contatti in rete con parenti e discendenti di là dall’Oceano.
Gli italiani andarono in Brasile a sostituire i neri nelle piantagioni di caffè dopo l’abolizione della schiavitù. Se i bambini erano felici tra caschi di banane, siepi fitte di mandarini e sacchi di caffè ammassati nei granai, i coloni nella fazenda dovevano sopportare i soprusi del fazendeiro, il caldo soffocante, i lavori pesanti, l’isolamento dovuto alla lontananza delle piantagioni dai centri abitati.
Tra i 500 di Budrio, Medicina e Molinella emigrati nel 1895 nel Minas Gerais, c’erano i Cesari: mamma Maria, ogni sera, ispezionava i piedini dei suoi sei bambini per accertarsi che non fossero infestati dai parassiti chiamati bichos do pè, “le bestioline che venivano dalla foresta”. E c’era chi, come Luigi Franceschi, da una fazenda di Ouro Fino supplicava in una lettera del gennaio 1891 il parroco di Budrio di levarlo “da queste siberie”, trovandogli in patria un lavoro da contadino che gli permettesse di lasciare “questi luoghi stranieri, dove da molte sorte di insetti siamo trucidati”. Andò meglio al medicinese Cesare Panzacchi, sbarcato in Brasile nel 1898 con la moglie e tre figlie. Dopo alcuni anni passati nelle fazendas di caffè, sfruttò il matrimonio della figlia maggiore per trasferirsi a São João del Rei, nel Minas Gerais, dove insieme ai suoceri si dedicò con successo alla coltivazione degli ortaggi. Come i Panzacchi, anche le famiglie Forlani e Giovannini rimasero in Brasile contribuendo allo sviluppo della nuova patria. Insieme avevano aperto una panetteria e poi una falegnameria nel Minas Gerais. La morte per polmonite di Luigi Forlani a 33 anni nel 1905 fece ripiombare nelle difficoltà la moglie Teresa, rimasta sola con sei figli piccoli. Quando la figlia tredicenne Alma si sposò con un bravo artigiano della zona, la sorte cambiò di nuovo. Dal loro matrimonio nacquero 13 figli, che ebbero la possibilità di studiare e di affermarsi: il nome del secondogenito, Victor Pereira Forlani (1911-2004), dirigente del ministero dell’agricoltura, è scolpito nel mausoleo eretto a Brasilia a ricordo dei pionieri della nuova capitale.
In generale, le cose andarono meglio agli emigrati in Argentina, dove i problemi per i coloni erano la lontananza del campo da coltivare dai centri abitati, la diversità del paesaggio (l’immensa pampa senza alberi) e la convivenza nelle estancias con i gauchos, da cui erano chiamati gringos del campo per l’attaccamento alla terra. Tuttavia, rispetto al Brasile l’Argentina è più ricca di storie di successo, come quella dei figli di Pietro Chiodini da Budrio, che agli inizi del Novecento arrivarono a comprarsi due cinematografi a Buenos Aires. O come quella dei fratelli Bollini di Medicina, tornati a casa negli anni Cinquanta con tanti soldi (nascosti nei materassi, si raccontava) da potersi comprare uno stabile e un laboratorio a Bologna.
Dalle risaie della “bassa” bolognese ai campi di cotone del Mississippi, il passo è lungo. I primi a tentare l’avventura del cotone negli Stati Uniti furono i Mascagni da Medicina, sbarcati a New Orleans nel 1895. Oggi a Greenville, “la regina del Delta”, vivono ancora i loro discendenti. Qui, “Frank” Mascagni, il primogenito del pioniere Enrico, diventò amministratore della piantagione di Plum Ridge e poi dirigente della Compagnia Latticini. Dal 1902 al 1907 sono documentate 200 partenze, la maggior parte con destinazione Vicksburg sul Mississippi, il resto diretto a Mound in Louisiana. Anche nelle terre del cotone sparse nel Delta tra gli stati Mississippi, Arkansas e Louisiana, una dura realtà aspettava i coloni: case di legno simili a tuguri, clima insalubre, zanzare, lavoro durissimo, debiti crescenti e razzismo nei confronti degli italiani, considerati una sorta di “neri dalla pelle bianca”. Tuttavia, qualcuno ce l’ha fatta. Come i Noè di Medicina: i fratelli Alfonso e Fortunato arrivano a Vicksburg nel 1903 e poi si disperdono tra Mississippi, Tennessee e Colorado. I discendenti di Fortunato sono oggi proprietari di vaste piantagioni di cotone e soia a Clarksdale, nel Mississippi.
A Vineland, tra i frutteti del New Jersey, troviamo i discendenti dei contadini italiani provenienti dal Delta e chiamati qui a coltivare la vite, come i Sasdelli di Medicina e i Lelli di Molinella. Anthony, medico ad Alliston (Alabama) è l’ultimo anello della catena della famiglia Fava di Molinella, che fino al 1959 gestiva ristoranti a Greenville. I discendenti dei Gardini di Budrio vivono a San Paolo del Brasile e a Dallas, in Texas. Per tutti loro, non vale l’imprecazione della vedova tornata dal Brasile a Budrio con le figlie, contro la statua di Cristoforo Colombo a Genova: Colombo, azidant a tè e a quant t’è dscuert la Merica!