24 ottobre 2008
La rivista dell’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC) racconta, da trent’anni, un’esperienza unica in Italia. Oggi un volume raccoglie, a cura di Valeria Cicala e Vittorio Ferorelli, una selezione di testi tratti dall’archivio di IBC, offrendo l’occasione di ricomporre la storia culturale di questa regione, dagli anni Settanta a oggi. Questo testo di Cino Pedrelli, poeta e storico della letteratura italiana, è stato pubblicato per la prima volta nel n. 1/1998 della rivista “IBC”.
Esame di coscienza per una strada
di Cino Pedrelli
Sollecitato, e diciamo pure allarmato, da certe notizie apparse da qualche tempo sulla stampa locale di Cesena, relative alla via Malatesta Novello; da certe colate di cemento che ne avrebbero ricoperto alcuni tratti; da certi progetti di un nuovo tipo di pavimentazione da realizzarsi nel corrente anno 1998; ho voluto rendermi conto di persona, intanto, del suo stato attuale. E qui – premesso che non mettevo piede da quelle parti da qualche anno – ho incontrato la sorpresa: dalla ex caserma Ordelaffi in su, la via non si presenta più, nella carreggiata centrale, interamente acciottolata in grossi sassi di fiume come in passato, bensì, o sfigurata da toppe più o meno estese di robusto cemento, o, nella parte più alta, ricoperta da un manto dello stesso cemento per una larghezza di 4 e più metri, e per una lunghezza di forse 150-200 metri, fino alla Porta Montanara e oltre.
Non ci sarebbe gran che di riprovevole, in ciò, se si trattasse di una qualunque strada anonima. Il guaio è che si tratta, invece, di una strada “storica” (la parola è ormai abusata, ma non ha ancora perduto del tutto il suo significato); ossia di un “bene culturale”, per quanto anomalo, per quanto non ufficializzato. Da conservare, e tutelare, e valorizzare.
Una strada forse medievale, malatestiana, che, partendo dalla piazza maggiore, conduceva, come conduce, sia alla Rocca, sia alla Porta Montanara? Può darsi. Ma non è questo il punto. La data “storica” a cui ci riferiamo è assai più vicina. Sono gli ultimi giorni del marzo 1915. I giorni in cui nasce, come ideazione se non come compiuta realizzazione, l’Esame di coscienza di un letterato: quello che è stato definito il “testamento spirituale” di Renato Serra, il suo “congedo dal mondo”.
I lettori dell’Esame sanno che Serra, mentre dialoga silenziosamente con sé stesso, con la storia, con la filosofia della storia, con gli intellettuali che discutono pubblicamente, in quei giorni convulsi, intorno alle opposte motivazioni della neutralità o dell’intervento dell’Italia nel conflitto, scoppiato in Europa circa otto mesi prima, non è seduto alla sua “brutta scrivania” nello “studiolo” della Malatestiana; è fuori da quelle mura, sta camminando in un esterno. Un paesaggio si materializza all’improvviso: “Un passo dietro l’altro, su per la rampata di ciottoli vecchi e lisci con un muro alla fine e una porta aperta sul cielo; e di là il mondo…”.
Quali “ciottoli”, quale “muro alla fine”, quale “porta aperta sul cielo”? Stiamo percorrendo con Serra l’ultimo tratto, appunto, della via Malatesta Novello. I “ciottoli” sono i grossi sassi di fiume che fino a ieri pavimentavano la salita. Il “muro alla fine” è la sezione delle mura cittadine in cui si iscrive la Porta Montanara, la “porta aperta sul cielo”. La “passeggiata” di Serra, peraltro, non finisce alla Porta Montanara. Oltrepassata questa, ci sono almeno altri due punti topografici che richiamano l’attenzione del nostro viandante. Il primo è costituito da quella che si presenta oggi come la seconda casa sulla sinistra. Era la prima, nel 1915: “E quella casa là di fronte improvvisa, come uno squillo; la facciata coll’intonaco crepato, e le finestrine buie; una pennellata d’oltre mare, così crudo, così fresco”. Oggi, l’intonaco non è più crepato. E la tinteggiatura della facciata non è più di color oltremare, cioè azzurro intenso, bensì di color paglierino; e la casa è occultata in gran parte da un folto di alberi di alto fusto.
Proseguendo la lettura dell’Esame, ecco l’altro flash di Serra sul paesaggio. Egli si sofferma a contemplare Cesena dall’alto, e precisamente dal breve spiazzo che sovrasta il Tunnel, quello che noi cesenati chiamiamo familiarmente é Fór, il traforo: “[…] le casette della mia cittadina, raccolte laggiù in una immobilità di pietra tagliata a secco, senza toni e senza intervalli; e tutto così piccolo, così fermo!”. E qui finisce, almeno sembra, la “passeggiata”.
Ma lasciamo stare la casa oltremare, e la veduta panoramica della città. E torniamo ai “ciottoli vecchi e lisci” di via Malatesta Novello, e alla Porta Montanara, la “porta aperta sul cielo”. L’atmosfera che circondava, fino a ieri, questi luoghi, per chi avesse letto e fatto proprio l’Esame, non era immemore dei pensieri e dei sentimenti che tumultuavano nell’animo di Renato Serra in quegli ultimi giorni di marzo: “passione”, “angoscia”, “speranza”. I pensieri e i sentimenti, cioè, di un italiano che caldeggiava l’intervento dell’Italia nel conflitto europeo: in difesa della civiltà latina gravemente minacciata, e insieme per la liberazione delle terre irredente: Trento, Trieste. Certo: era presente anche un’istanza nobilmente personale di Serra, come di tanti suoi coetanei: l’impulso verso un’impresa che desse un nuovo e più alto significato alle loro vite. “Scrivere non è necessario”, aveva asserito Serra in qualche occasione. Più generoso atto mettere in gioco la vita per una causa superiore agli individui e alle generazioni: “fra mille milioni di vite c’era un minuto per noi; e non lo avremo vissuto”. Così Serra nei momenti in cui si persuade che l’intervento non ci sarà.
Passione, angoscia, speranza: per un forte ideale. Un’atmosfera che va ripristinata, ripristinando i luoghi così come erano ai tempi di Serra. Anche se i ciottoli non sono altrettanto percorribili come l’asfalto, o il cemento, o altro. Vanno dunque ripensati i progetti di cui sentiamo parlare: quelli che, per migliorare la transitabilità della via Malatesta Novello, vorrebbero che, entro quest’anno, la via stessa venisse pavimentata al centro, per tutta la larghezza della carreggiata (cinque metri), con grandi lastre di alberese; mentre sulla sinistra, per chi sale, si renderebbe libera una fascia di tre metri per il parcheggio delle auto, lastricato con cubetti, ancora, di alberese; e sulla destra si ricaverebbe un marciapiede largo un metro e mezzo, selciato con scaglie di sasso di fiume (a questo si ridurrebbe la presenza degli storici ciottoli).
Ripristinando le cose come erano ai tempi di Serra, anche se con ciottoli meno vecchi e meno lisci, e ricolmando gli eventuali avvallamenti, i letterati, gli studiosi, i laureandi, le persone amanti delle patrie memorie, che ogni tanto, visitando Cesena, chiedono di vedere “la passeggiata dell’Esame di coscienza”, non si sentirebbero traditi nella loro aspettativa; come non si sentirebbero traditi i cesenati per i quali il nome di Renato Serra e i suoi ideali rappresentano ancora qualcosa.
Fresco di letture liceali, in anni ormai lontani, volli recarmi a Recanati, per meglio sintonizzarmi con la poesia di Leopardi, alla quale non ero rimasto indifferente. Non potei accedere al Palazzo Leopardi, chiuso, almeno quel giorno, ai visitatori. Mi consolai percorrendo le strade e le piazze del “natìo borgo selvaggio”. E fu per me una lieta sorpresa quella di scoprire, in vari punti del centro urbano, altrettante targhe marmoree che, campeggiando sulle facciate degli edifici, recitavano versi del Poeta, ispirati, in qualche misura, a quei luoghi, e ai personaggi che li avevano animati. E una ricordava le brevi evasioni del giovane conte Giacomo dalle “sudate carte”; il suo affacciarsi ai “veroni del paterno ostello”; il suo porgere l’orecchio “al suon della tua voce”, la voce di Silvia, che gli giungeva dagli spazi vicini. E un’altra richiamava il vento che viene “recando il suon dell’ora dalla torre del borgo”. E un’altra ancora riudiva il “lieto romore” dei ragazzi che giocavano e si rincorrevano “su la piazzuola in frotta”. Onnipresente, così, il Leopardi, nella cittadina di Recanati, fino a confondersi con essa, anima con anima, nonostante la nota scarsa simpatia di lui per la città natale.
Anche dalle pagine di Renato Serra – il nostro poeta in prosa – si potrebbe raccogliere un florilegio di epigrafi da apporre nei luoghi a lui cari di Cesena: la Malatestiana, il Ponte Vecchio, lo Sferisterio… Per ora, dopo avere ripristinato i luoghi, ci sembrerebbe venuto il tempo di collocare, accanto all’arco di Porta Montanara, una targa marmorea che perpetuasse la frase che ben conosciamo: “Un passo dietro l’altro, su per la rampata di ciottoli vecchi e lisci, con un muro alla fine e una porta aperta sul cielo; e di là il mondo…”. Con le debite autorizzazioni, naturalmente.