30 novembre 2013
Musica. Nina Zilli: Per sempre.
Una canzone di Nina Zilli apre la puntata di oggi, cari ascoltatori, perché ci troviamo a Piacenza, e Nina – grande voce alla Mina – è piacentina. E poiché “la vita non è che un perdersi in mezzo a allucinazioni varie”, come scrisse il nostro grande “narratore delle pianure” Gianni Celati, noi entriamo oggi in una bella allucinazione, che è quella di circa duecento persone a Piacenza che, sulla spinta di una ventina di giovani professionisti, musicisti, video maker, illustratori, tecnici di registrazione del suono, hanno messo in piedi un progetto di amore per la città, tra cui una canzone, “Noi”, dedicata a tutti i piacentini del mondo. Sono stati coinvolti esattamente 210 tra cantanti e musicisti, di cui 180 solo per il grande coro. Una grande mobilitazione delle forze creative della città per ribadire un concetto: Piacenza non è solo di chi la abita, ma anche di chi se n’è andato, in tempi recenti o lontani, e continua ad amarla dall’estero, o l’ha onorata con la sua stessa vita, come Pietro Marubi ed Ermanno Stradelli, di cui vi parleremo dopo la canzone.
Musica. Carlo Cantore – Johnny Pozzi: Noi.
Marubi, Stradelli: li avete mai sentiti nominare? Sono due dei tanti piacentini che all’estero hanno fatto parlare di sé, come Frank Forlini, uno dei più noti ristoratori italiani di New York, o l’altro newyorchese Paul Draghi, chiamato “il poliziotto d’America”, o ancora Lazzaro Ponticelli, morto nel 2008 a 109 anni, l’ultimo a restare in vita tra i soldati della prima guerra mondiale, combattuta per la Francia. Persone audaci, come il “Comandante Diavolo”, soprannome di Amedeo Guillet, detto anche “il Lawrence d’Arabia italiano”, veterano della conquista d’Etiopia e poi diplomatico, scomparso in Irlanda nel 2010 a 101 anni, una celebrità in Gran Bretagna. E un altro ultracentenario, morto in Argentina a 101 anni (ma come sono longevi i piacentini all’estero!), è il ciclista Attilio Pavesi. Il suo nome è scolpito nel bronzo all’ingresso del Memorial Coliseum di Los Angeles per la medaglia d’oro vinta alle Olimpiadi del 1936. L’avventura, i piacentini ce l’hanno nel sangue, come appare evidente dalle biografie cui abbiamo appena accennato. E tra i campioni dell’avventura abbiamo anche uno che a metà Ottocento fu il primo fotografo d’Albania. Da Piacenza ci trasportiamo allora in questa terra con la musica: Ginevra Di Marco interpreta un antico canto albanese che racconta la storia di Ali Pasha, il crudele capo che lottò per l’indipendenza del suo popolo dall’impero ottomano, e finì con la testa tagliata ed esposta all’ingresso del serraglio di Costantinopoli.
Musica. Ginevra Di Marco: Ali Pasha.
Era un po’ una testa calda, il piacentino Pietro Marubi, garibaldino, rivoluzionario, forse non estraneo all’omicidio del sindaco di Piacenza, e per questo costretto a rifugiarsi all’estero nel 1856. Marubi, che era anche architetto e pittore, un creativo, insomma, scelse come luogo d’esilio l’Albania. A Scutari aprì il primo studio fotografico del paese, che si trovava allora sotto l’impero ottomano. Pietro, divenuto Pjetër Marubi, fu colui che portò la fotografia in Albania. Morì nel 1904, lasciando lo studio e il nome al suo collaboratore Kel Kodheli. Lo studio Marubi fu uno dei più importanti dei Balcani. Kel divenne fotografo ufficiale della corte del Montenegro e la sua attività fu continuata dal figlio Gegë, che negli anni Venti del Novecento studiò in Francia presso i fratelli Lumière. L’archivio fotografico Marubi, custodito nel Museo di Scutari, è patrimonio dell’Unesco e conserva 100 mila negativi di grande importanza documentaria. Ma adesso ci spostiamo in un’altra parte del mondo, in Venezuela, dove ci portano le imprese di un altro piacentino, il conte Ermanno Stradelli, nato più o meno negli anni in cui il garibaldino Marubi scappava in Albania. Stradelli amava già da bambino i libri di viaggio, “lo stupore delle foreste vergini, dei deserti silenziosi, degli indios incomprensibili, degli animali favolosi”, come scrisse un suo biografo. Il suo chiodo fisso era scoprire le sorgenti dell’Orinoco, lungo due volte l’Italia, il secondo fiume d’America per portata d’acqua, sulle cui rive qualcuno ora canta questa canzone.
Musica. Rincon Morales: Orinoco.
Quando arrivò a Belém in Brasile, nel 1879, Ermanno Stradelli aveva 27 anni. Da lì proseguì per Manaus, perché l’Amazzonia era sempre stata il suo sogno. Fotografa uccelli, impara la lingua degli indigeni, il nheengatu, e ne traduce le voci per il primo vocabolario nheengatu-portoghese. Insieme a un gruppo di botanici nel 1881 esplora la zona del rio Vaupés in Colombia, apprende da un’india la leggenda di Yuruparí , il mito fondante della comunità indigena, che trascrive per il Bollettino della Società Geografica Italiana. Nel 1888 s’inoltra nell’Alto Orinoco ma non riuscirà a scoprire per primo le sorgenti del fiume; in compenso, gode del sincero affetto degli indios del Rio Negro che lo chiamano Mayra Raira, il figlio del grande serpente. Nel 1890 è di nuovo nel Vaupés e si spinge fino alle cascate di Yuruparí. Stradelli, il più importante esploratore italiano dell’Amazzonia, ama quella selva vergine, la rigogliosa foresta pluviale e i grandi fiumi che fanno impallidire il piccolo e lontano Po, dalle cui rive i parenti piacentini lo chiamano perché almeno trascorra in mezzo alla civiltà gli ultimi anni della sua vita. Ma lui no, rimane in Brasile, dove morirà in un lebbrosario di Manaus tra le sue carte, le mappe e i manoscritti. Uomo di grande apertura mentale, Stradelli era un innamorato dell’altrove, come Marubi, Guillet, e tutti i piacentini che hanno fatto fortuna a Londra e New York come ristoratori, o che hanno faticato negli anni Trenta dentro le fabbriche della banlieue parigina. A tutti loro, dedichiamo questa canzone del cantautore padano Sergio Bassi.
Musica. Sergio Bassi: Piacenza