Salta al contenuto principale
23 Agosto 2011 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

Gli emiliano-romagnoli che portarono nel mondo il Risorgimento

Rondizzoni, Panizzi, Zucchi, Saffi, Caldesi, Illica: nomi quasi dimenticati, ma da non dimenticare

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

23 agosto 2011

La mano anonima che, il 17 marzo 2001, ha posto un fiore sul Monumento Italiano di Piazza Italia a Santiago del Cile, voleva ricordarci il contributo dell’emigrazione all’unificazione del nostro Paese, in occasione del 150° anniversario. Negli anni immediatamente successivi all’Unità, le partenze erano incoraggiate dai problemi economici che colpivano numerose regioni italiane. Alcuni sostengono che la coincidenza temporale tra emigrazione di massa e unificazione d’Italia sia la prova che quest’ultima non portò vantaggi alla popolazione. In realtà, i flussi migratori erano già iniziati e avevano contribuito a mescolare, dentro e fuori l’Italia, popolazioni di diversa provenienza che si spostavano per ragioni differenti. Ancor prima dell’Unità d’Italia, era stata costituita a Buenos Aires da emigrati provenienti da varie regioni italiane la società di mutuo soccorso “Unione e Benevolenza”.

Era il 1858 e i sette emigrati fondatori adottarono come simbolo il tricolore. Sempre nelle Americhe, è noto il ruolo avuto dalle comunità italiane nel sostenere, anche finanziariamente, le imprese di Giuseppe Garibaldi. Nel 1853 Giuseppe Garibaldi sbarcò alla Caleta Abarca, nei pressi di Valparaíso, dove fu accolto dalla colonia italiana lì residente, di cui faceva parte il generale capo di stato maggiore Giuseppe Rondizzoni Cànepa, nato in provincia di Parma, che contribuì in modo determinante al processo di indipendenza del Cile. La magnifica bandiera italiana di seta grezza cucita dalle donne italiane di Valparaíso, discendenti dei primi coloni liguri, avrebbe poi accompagnato Garibaldi e le sue camicie rosse nelle battaglie per l’indipendenza d’Italia, sventolando a Quarto, a Palermo, al Volturno. Nell’epico scontro di Calatafimi del 1860, un capitano della marina genovese perse la vita per difendere la “bandiera dei Mille”, e per questo è ricordato, insieme agli altri “caduti attorno alla bandiera di Valparaíso”, nella targa del monumento ai caduti eretto sul luogo della battaglia.

L’Uruguay garibaldino, la Londra mazziniana e gli altri luoghi di esilio risorgimentale, sono la culla della nostra indipendenza. Sognata, vagheggiata, costruita nei lunghi giorni e nelle “amare ore di un esilio nato da quelle stesse miserie della patria” che, “nel dolore e nella povertà”, dettarono a Dante “le sue pagine immortali” – scrisse il patriota forlivese Aurelio Saffi. Amico ed erede politico di Giuseppe Mazzini, con il quale condivise la sfortunata esperienza della Repubblica Romana del 1849, Saffi trascorse il suo esilio prima in Svizzera e poi in Gran Bretagna. Nel 1853, dopo il difficile periodo londinese durante il quale sopravvisse dando lezioni private di italiano, fu chiamato a insegnare letteratura italiana al Taylor Institution di Oxford, dove tenne lezioni su Dante, considerato dai patrioti risorgimentali il precursore dell’unità nazionale. Eletto deputato nel 1861 nel primo Parlamento del Regno d’Italia, Saffi tornò a vivere a Londra dal 1864 al 1867, per concludere quindi la sua vita nella quiete della campagna di Forlì. La sua città natale gli ha dedicato la piazza principale.

Parigi e poi Londra ospitarono un altro esiliato romagnolo di rango, Vincenzo Caldesi, nato a Faenza nel 1817 da agiata famiglia liberale. Fu un instancabile organizzatore di complotti che quasi mai andarono a buon fine, come l’attentato progettato a Imola a danno di tre cardinali. Sempre sulle barricate, a Comacchio proclamò una fantomatica repubblica. A Londra, dove restò dalla caduta della Repubblica Romana al 1859, divenne punto di riferimento per gli esuli italiani, che aiutò economicamente grazie al suo avviato laboratorio fotografico. In Sicilia nel 1860 si aggregò a Garibaldi che lo nominò aiutante di campo. In Romagna lottò per la liberazione di Roma. Morì sfiancato da tanto attivismo, come un leone indomito, nel 1870. Giosuè Carducci gli dedicò una poesia – Per Vincenzo Caldesi – in cui lo chiama “leon di Romagna”.

A Londra trascorse la maggior parte della sua vita un altro esule risorgimentale dalla biografia intrigante. Nato a Brescello (Reggio Emilia) nel 1797, laureato in legge, Antonio Panizzi approdò nella capitale inglese sulla scia dei moti carbonari che l’avevano reso sospetto agli occhi della polizia estense. Riparò dapprima a Lugano, dove pubblicò un convinto atto d’accusa contro il regime del duca di Modena, e nel 1823 a Londra. Qui frequentò Ugo Foscolo e s’inserì nell’ambiente culturale diventando l’esponente di spicco del Risorgimento, sempre attento a suscitare simpatia per i moti rivoluzionari italiani nella classe dirigente e nell’opinione pubblica inglese. Nel 1855 acquistò una nave per liberare alcuni prigionieri politici condannati all’ergastolo nel Regno delle Due Sicilie. Ma la nave, prima di essere affidata a Garibaldi, affondò facendo fallire il progetto. L’anno seguente, diventato principal librarian, cioè direttore generale, del British Museum, portò a termine il progetto della grandiosa Reading Room, la sala di lettura ispirata al Pantheon romano, da lui immaginata e fatta edificare, che ancora oggi è uno dei monumenti più visitati a Londra. Nel 1868 fu nominato senatore del Regno d’Italia e nel 1869 ottenne il titolo di Sir dalla Regina Vittoria.

Condusse invece la sua esistenza all’altro capo del mondo l’esule – anche lui reggiano – Carlo Zucchi, carbonaro e massone, che subì il fascino esotico del Rio de la Plata. Descritto dal suo primo biografo come “bizzarro all’eccesso”, “d’animo irrequieto e stravagante”, alla ricerca di “una vita avventurosa e piuttosto romantica”, quando la pena gli fu commutata in esilio Zucchi scelse l’Argentina, dove nel 1828 ebbe un incarico come ingegnere-architetto per il governo della Provincia di Buenos Aires. Attraversò poi il Rio de la Plata per assumere – lui che a Reggio Emilia faceva l’incisore e forse anche lo scenografo – l’incarico di architetto di igiene e opere pubbliche per il governo dell’Uruguay. Il suo nome resta legato al più importante teatro della nazione, il Solis di Montevideo, inaugurato il 25 agosto 1856 con l’opera Ernani di Giuseppe Verdi. A Zucchi si deve il disegno originale, nello stile di un neoclassicismo repubblicano. Al restauro del Teatro Solis, riaperto nel 2004 dopo due anni di chiusura, ha contribuito la Regione Emilia-Romagna.

Dall’altra parte del fiume, anche il celebre Teatro Colón di Buenos Aires, progettato da un architetto italiano, fu inaugurato con un’opera di Verdi, l’Aida, il 25 maggio 1908. Nel lungo e mai interrotto travaso culturale dall’Italia all’Argentina, la nostra regione ha una parte importante. Pochi sanno, forse, che l’autore del “Saluto alla bandiera” – quello che gli studenti delle scuole argentine intonano durante le feste e le manifestazioni patriottiche – è il piacentino Luigi Illica, nato a Castell’Arquato nel 1859 e noto per essere stato il librettista dell’Andrea Chénier di Umberto Giordano e soprattutto, in collaborazione con Giuseppe Giacosa, delle più fortunate opere di Giacomo Puccini, La Bohème, Tosca e Madama Butterfly. Illica conobbe a Milano nel 1908 il compositore Héctor Panizza, cui il governo argentino aveva affidato il compito di realizzare un’opera patriottica. Il libretto fu scritto da Illica insieme con un altro argentino, Héctor Cipriano Quesada. L’opera Aurora, scritta interamente in italiano come usava allora, debuttò al Teatro Colón il 5 settembre 1908. Nel 1945 l’opera fu ripresentata al Teatro Colón tradotta in spagnolo. L’aria dedicata alla bandiera nazionale piacque tanto, che da allora, per decreto del governo, la Canción a la Bandera, o semplicemente Aurora, viene intonata dagli scolari all’alzabandiera.

Brano corrente

Brano corrente

Playlist

Programmi