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13 Settembre 2012 | Racconti d'autore

Il filo di seta

Di Piero P. Giorgi, Perdisa Editore, Bologna 2007 (seconda puntata)

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri

13 settembre 2012

Piero P. Giorgi, nato a Bologna nel 1941, ha alle spalle studi di biologia ed esperienze di docente e ricercatore, da Parma all’Australia. Si è occupato di storia della medicina e dirige la rivista di studi italiani “Convivio”.
“Il filo di seta” è un romanzo storico ambientato nella Bologna medievale: è la storia di Alessandra, che studia medicina sotto le sembianze di un uomo, e del suo rapporto con la giovane scuola accademica bolognese. Alessandra usa il trampolino delle conoscenze naturalistiche ricevute dalla “scientia” segreta femminile per tuffarsi nella scienza ufficiale maschile, generando scandalo quando il dibattito verte su storia e medicina, filosofia naturale e psicologia. L’autore non nasconde l’ispirazione marcatamente femminista del romanzo: la storia della medichessa medievale stimola anche un confronto tra le opinioni antiche e quelle attuali circa l’eredità, scoprendo come, dopo settecento anni, il contributo della donna sia ancora sottovalutato.

Il mondo sano
Settima Parte

Dove Imelda si sposa e Alessandra scopre la gravità degli intrighi politici di Bologna, le debolezze di Mondino e i propri limiti come insegnante (aprile 1320).

La corte in mezzo alle case dei Galluzzi è stata ripulita e decorata a festa. Festoni di tessuto colorato scendono dalle finestre, ghirlande di fiori ornano balconi e altane. I lastroni di pietra che pavimentano la corte sono stati lavati con la cenere e tutti gli animali sono stati chiu­si nelle stalle, anche cani e gatti. Grandi tavolacci sono stati trasportati fuori, riposti sui cavalletti, sgurati con spazzoloni duri e coperti con tovaglie bianche. Anche il personale armato ha lasciato spade ed archi nella torre per dare una mano. Due cantori fanno musica agli an­goli lontani della corte, mentre i famigli indaffarati nei preparativi fanno eco alla musica dei liuti con gioiose stonature.

Un carrettiere di passaggio lungo la strada che va alla Porta di San Procolo sbircia all’interno della corte «Chi si sposa fra i Galluzzi in questa mattina di primavera?».

Una ragazza con un fiore tra i capelli gli indica lo sposo «Non è un Galluzzi. E un associato della famiglia: Pietro Villola, il cartolaio. Guarda com’è bello, laggiù vicino alla torre, circondato dai suoi donzelli; è quello vestito di verde, con i ricami d’oro. Non è bellissimo?».

Pietro è tutto sorrisi ed inchini. Il giorno del suo ma­trimonio con Imelda è finalmente arrivato, ed i suoi amici Galluzzi gli hanno fatto il regalo di una festa nella corte delle loro case. L’idea è stata appoggiata anche dai Liuzzi, la famiglia- della sposa, e dai Caccianemici Picco­li, anche loro sostenitori della fazione dei Lambertazzi ed associati in affari con le due famiglie.

Ora entrano nella corte i Liuzzi con i loro famigli. Il medico Mondino, con una lunga gabbana rossa ed il collo di pelliccia dei maestri dello Studio, dà il braccio ad Imelda, vestita in seta bianca e cotone bianco con piccoli ricami colorati. Il velo è un regalo di Alessandra, che la segue sostenendolo per impedire che si rovini toccando per terra. Tanti fili di seta uniscono in questo momento le due amiche che stanno per separarsi.

Madonna Giovanna cammina dietro al marito con un cestino pieno di frutta. Si dirigono subito nella cappella dei Galluzzi, dove la sposa attenderà lo sposo in mode­sta preghiera, lontana dall’ambiente sguaiato della piaz­zetta in festa. Solo quando sarà sposata potrà unirsi ai fe­steggiamenti anche lei, sotto la protezione del marito.

Lasciata Imelda alle cure delle donne, Mondino esce dalla cappella per ricevere gli omaggi dello sposo che s’affretta a baciargli la mano «Maestro, grazie a voi sono un uomo felice».

«No, non grazie a me: Imelda ti renderà felice. L’ab­biamo adottata quando era una piccola orfanella del­le Clarisse, ed è diventata come una vera figlia per noi. Sono sicuro che sarà un’ottima moglie. Fate tanti figli, e della buona carta per i nostri libri».

Un suonatore di liuto interrompe i salamelecchi con una canzone un po’ volgare; i donzelli gli saltellano at­torno ridendo, e Pietro fa conto di disapprovare per al­lontanarsi e vedere cosa succede nella cappella.

Tutto sembra pronto: il prete è arrivato, le decorazio­ni sono a posto, e lui può raggiungere la sua sposa di fianco all’altare. Alessandra si siede sul lato delle donne, la campanella chiama alla messa, i capi delle tre famiglie entrano assieme: Brunello de’ Galluzzi, Braccioforte de’ Caccianemici Piccoli e Mondino de’ Liuzzi s’inchinano uno dopo l’altro davanti all’altare e si siedono sul lato degli uomini, seguiti da tutti gli altri invitati importan­ti. Il sacerdote inizia la cerimonia nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo, ma Alessandra li se­gna tutti e tre come donne sulla fronte, sul cuore e sulle spalle.

Dopo la cerimonia religiosa la corte de’ Galluzzi di­venta un grande banchetto di gioia. Le personalità si sono tolte i vistosi copricapi d’occasione, e la sposa ha sostituito il velo con una ghirlanda di fiori, così lo sposo può finalmente baciarla in pubblico. Musica, vino e ca­pretti arrosto santificano questa bella giornata di aprile e di amore. Ma prima di abbandonarsi ai piaceri convi­viali c’è ancora qualche tradizione da rispettare.

Pietro Villola fa segno ai musicanti di far silenzio e richiama l’attenzione degli invitati con tre colpi sul tam­buro del tavolo di centro. Ha in mano un libretto rile­gato in pelle, che ora stringe sul petto. Si rivolge a Mon­dino «Maestro, questo è il mio regalo di matrimonio. Ve lo presento con infinita gratitudine, ma anche con grande vergogna. Sì, vergogna, perché il regalo dello sposo al padre della sposa dovrebbe essere un oggetto di valore, una cosa preziosa. Questo è soltanto un libro, ed è anche piccolo. Ma tutti sanno che non sono ricco, soltanto un’artigiano ambizioso e innamorato. La stes­sa immodestia che mi spinse a chiedervi Imelda mi fa ora sperare che questo piccolo oggetto possa in qualche modo diventare una cosa preziosa per voi. Ho preparato la carta più fine e bella possibile; poi ho comandato un bravo copista per trascrivere il testo ed un miniaturista di valore per decorarlo; ho poi chiesto al mio migliore rilegatore di montare questo libretto in pelle per voi. Si tratta di un lavoro del vostro grande maestro, Taddeo, il libello per conservare la sanità del corpo. Lo rimetto nelle vostre mani–sperando che possa suggellare un’al­leanza fruttuosa tra le nostre famiglie, un’unione basata sulla scientia, sull’arte teorica e pratica, sui libri e, natu­ralmente, la salute. Mi auguro che Dio preservi la vostra per tanti anni a venire».

Mondino ha capito il simbolismo importante di quel regalo, e la commozione gli permette solo poche parole «Grazie, Pietro. Seguirò con cura i consigli del mio mae­stro… perché devo tenermi in buona salute per poter insegnare medicina a vostro figlio».

Le donne hanno gli occhi umidi.

Fortebraccio ha invece già bevuto un po’ troppo vino «E noi altri? Come faremo noi a vivere a lungo senza una copia del libello?». Ma si guadagna solo una manata sulle spalle da parte di Brunello dei Galluzzi «Tu non vi­vrai certo a lungo, se continui a stuzzicare i tuoi parenti Grandi… ».

«Non è vero,. sono loro che ci provocano sempre. E poi i Caccianemici Grandi non sono grandi, sono solo più numerosi. Ma solo per poco… ».

«Buono, buono. Guarda che bell’arrosto hai davanti a te. Goditelo e stai tranquillo, altrimenti ci ritroviamo tutti e due banditi a Faenza».

«Saranno invece loro a …».

Questa volta è Imelda che si alza e picchia sul tamburo tre volte con sicurezza, e i due azzittiscono. Alessandra ha già notato quanto sia cambiata l’amica da quando si è tolta il velo. Non fa certo finta di essere cretina adesso. Fuori dalla chiesa si rivolgeva al marito con la sicurezza di una saggia padrona di casa. Si guardava attorno a te­sta alta, e salutavia gl’invitati con un piccolo cenno del capo. Ora non intende certo lasciare che due omacci d’armi disturbino la sua festa con le loro trame di guer­ra. Raccoglie il cestino di frutta dalle mani di madonna

Giovanna e parla a voce alta «Scusatemi, nobili signori. Ora è il mio turno di presentare i regali. Anch’io ho oggetti modesti, ma dati con tutto il cuore. Questi frutti sono per voi, carissimo marito: è una promessa e una speranza per il futuro della nostra unione. Questo rega­lo è tradizionale, e quasi dovuto da parte mia; nel mio caso però è accompagnato anche da un forte sentimen­to di amore e di rispetto. Ma non voglio fare solo un gesto tradizionale; ho un altro regalo da fare, un regalo fuori dall’ordinario per una persona straordinaria» così dicendo toglie dal cestino un vasetto che era rimasto nascosto sotto la frutta «Vorrei regalare questo ad una cara amica, quasi una sorella, che mi è stata molto vicina in questi ultimi tempi. Questo vasetto di erbe medicinali è per Alessandra Zilliani, ora dei Liuzzi, che mi ha inse­gnato ad essere donna, mentre io le insegnavo a ricono­scere le erbe. Ora sarà lei a continuare il mio lavoro in farmacia».

Alessandra va subito a ritirare il suo regalo, e mentre abbraccia Imelda le sussurra «Grazie, grazie. Ma che co­s’è?».

«Erbe per una pozione d’amore. Usale con parsimo­nia: sono semplici caldi in primo grado».

I festeggiamenti continuano durante tutto il pomerig­gio, con musica, balli e buon cibo bolognese. Verso l’ora decima Imelda recita la sua ultima commedia di mode­stia; si tratta di una farsa tradizionale, ma l’esperienza di anni le permette di eseguirla molto bene.

E giunto per gli sposi il momento di lasciare la festa e iniziare la loro vita in comune. Imelda comincia a sma­niare e far finta di aver paura dello sposo, come vuole la tradizione. Allora i donzelli trascinano via Pietro, e ma­donna Giovanna consola la sposina assicurandole che lui se n’è veramente andato. Poi Mondino e sua moglie accompagnano Imelda ancora in singhiozzi in un luogo sicuro. Al loro ritorno riassicurano gli invitati che tutto va per il meglio ‘é 1a sposina si è fatta una ragione dei propri doveri coniugali. Non li vedranno più per qual­che giorno.

La festa per il matrimonio di Pietro ed Imelda conti­nua fino al mattino. Mondino e la sua famiglia si sono però ritirati di buon’ora. Brunello è rientrato nelle sue stanze al sopraggiungere della notte; non ha più l’età per queste cose. Braccioforte è invece restato a far bal­doria fino all’apparire del sole sui merli delle mura orientali. Ora i suoi famigli lo sollevano dal tavolo, lo issano sulla sella del cavallo, e partono per raggiungere le loro case nella parrocchia di Sant’Antolino. Ma lungo la via Salaria un gruppo di armati li attacca di sorpresa. Gli assalitori operano rapidamente, prima che le vittime mezze ubriache possano opporre la minima resistenza: abbattono due uomini che cavalcano a fianco di Brac­cioforte, pugnalano a morte il nobile bolognese, e fug­gono tra le viuzze della città ancora addormentata.

«Maestro, alzatevi. C’è un messaggero alla porta. Sem­bra molto urgente. Deve essere una questione grave. Al­zatevi, presto» il famiglio che l’ha svegliato è molto ecci­tato «Scusatemi maestro, ma credo che dobbiate andare a sentirlo al più presto».

«Ma chi lo manda?».

«Non lo so. È vestito bene ed ha la croce bolognese sul petto…».

«Un messo del podestà. Digli che vengo subito». Mondino s’infila la palandrana e scende lungo la sca­la di legno che porta al piano terreno. Il messo gli con­segna una piccola pergamena: deve presentarsi davanti al Podestà all’ora terza. Poche parole, senza una ragione per quest’urgente convocazione.

Mondino torna in camera con il viso abbuiato, e co­mincia a vestirsi per andare all’appuntamento. Tanta urgenza e così poche parole lo preoccupano; i ricordi del periodo giovanile passato da bandito in Romagna gli tornano alla mente come un brutto presagio. Due anni tristi, lontano dalla protezione della famiglia; la paura di non sapere chi ti è amico e chi ti è nemico. Da quando è arrivato da Città di Castello, Zono de’ Tebaldi sembra però essersi comportato da podestà imparziale, senza molestare quelli della parte dei Lambertazzi. Ma negli ultimi tempi c’è stato in Bologna il solito aumento della tensione tra le fazioni, come capita ogni volta che i ghibellini rialzano la testa in Italia. Lucca è di nuovo la causa dei conflitti, da quando Castruccio si è alleato con i pisani e con i Visconti di Milano per far guerra a Fi­renze. I bolognesi hanno subito mandato cento armati in aiuto dei fiorentini, e Lanza de’ Garisendi è stato no­minato Vicario di Re Roberto per il territorio di Pistoia, dove si scontrano di solito lucchesi e fiorentini. Ma per­ché non lasciano in pace un onesto medico come lui, che si occupa solo dei propri affari?

Poco dopo la partenza di Mondino, un famiglio dei Caccianemici Piccoli entra di corsa nella corte dei Liuz­zi e s’imbatte in Alessandra che si sta avviando verso la farmacia «Madonna, brutte notizie, gran brutte notizie. Dov’è il vostro maestro?».

«È uscito per andare dal Podestà».

«Allora sa già cos’è successo?».

«Non credo, è stato solo convocato d’urgenza. Cos’è successo?».

«Hanno assassinato messer Braccioforte».

«Accidenti! Ma chi l’ha ucciso?».

«I suoi parenti di parte geremea, sicuramente. Appe­na abbiamo saputo che il Podestà convocava i capi delle famiglie vicine a noi, siamo corsi ad avvisarvi di non an­dare. Ma è troppo tardi. Che disastro! ».

«Perché Mondino non avrebbe dovuto andare?».

«La parte dei Geremei e della Chiesa ha sparso la di­ceria che noi Lambertazzi stiamo tramando per conse­gnare la città nelle mani dei milanesi…».

«Ma è vero?».

Il giovane riprende fiato e si guarda attorno, ma nella corte c’è solo il cane Bruto vicino alle cucine che rosic­chia un osso della sera prima «Forse… ma non ha im­portanza. Se il Podestà si lascia convincere che l’accusa è vera, ci bandisce tutti; o prende i capi famiglia come ostaggi, nel caso la città venga assediata… Ma devo cor­rere ad avvisare gli altri. Scusatemi, me ne vado».

Alessandra rimane sola e stupefatta. Guarda Bruto go­dersi il suo osso con calma, una scena di pace e sempli­ce piacere. La giovane medichessa ha l’intuizione che Mondino non sia veramente in pericolo. Tutti sanno che si occupa solo di medicina; ha rapporti d’affari con diverse famiglie bolognesi appartenenti ad ambedue le fazioni. E vero, è iscritto alla società d’armi dei Toschi, ma solo per tradizione di famiglia, non per ambizioni politiche. Se il Comune non si fidasse di lui, non l’avreb­bero incluso nell’ambasceria che quattro anni fa andò a scusarsi presso il figlio di Re Roberto per l’incidente con i suoi legati.

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