13 settembre 2012
Piero P. Giorgi, nato a Bologna nel 1941, ha alle spalle studi di biologia ed esperienze di docente e ricercatore, da Parma all’Australia. Si è occupato di storia della medicina e dirige la rivista di studi italiani “Convivio”.
“Il filo di seta” è un romanzo storico ambientato nella Bologna medievale: è la storia di Alessandra, che studia medicina sotto le sembianze di un uomo, e del suo rapporto con la giovane scuola accademica bolognese. Alessandra usa il trampolino delle conoscenze naturalistiche ricevute dalla “scientia” segreta femminile per tuffarsi nella scienza ufficiale maschile, generando scandalo quando il dibattito verte su storia e medicina, filosofia naturale e psicologia. L’autore non nasconde l’ispirazione marcatamente femminista del romanzo: la storia della medichessa medievale stimola anche un confronto tra le opinioni antiche e quelle attuali circa l’eredità, scoprendo come, dopo settecento anni, il contributo della donna sia ancora sottovalutato.
Il mondo sano
Settima Parte
Dove Imelda si sposa e Alessandra scopre la gravità degli intrighi politici di Bologna, le debolezze di Mondino e i propri limiti come insegnante (aprile 1320).
La corte in mezzo alle case dei Galluzzi è stata ripulita e decorata a festa. Festoni di tessuto colorato scendono dalle finestre, ghirlande di fiori ornano balconi e altane. I lastroni di pietra che pavimentano la corte sono stati lavati con la cenere e tutti gli animali sono stati chiusi nelle stalle, anche cani e gatti. Grandi tavolacci sono stati trasportati fuori, riposti sui cavalletti, sgurati con spazzoloni duri e coperti con tovaglie bianche. Anche il personale armato ha lasciato spade ed archi nella torre per dare una mano. Due cantori fanno musica agli angoli lontani della corte, mentre i famigli indaffarati nei preparativi fanno eco alla musica dei liuti con gioiose stonature.
Un carrettiere di passaggio lungo la strada che va alla Porta di San Procolo sbircia all’interno della corte «Chi si sposa fra i Galluzzi in questa mattina di primavera?».
Una ragazza con un fiore tra i capelli gli indica lo sposo «Non è un Galluzzi. E un associato della famiglia: Pietro Villola, il cartolaio. Guarda com’è bello, laggiù vicino alla torre, circondato dai suoi donzelli; è quello vestito di verde, con i ricami d’oro. Non è bellissimo?».
Pietro è tutto sorrisi ed inchini. Il giorno del suo matrimonio con Imelda è finalmente arrivato, ed i suoi amici Galluzzi gli hanno fatto il regalo di una festa nella corte delle loro case. L’idea è stata appoggiata anche dai Liuzzi, la famiglia- della sposa, e dai Caccianemici Piccoli, anche loro sostenitori della fazione dei Lambertazzi ed associati in affari con le due famiglie.
Ora entrano nella corte i Liuzzi con i loro famigli. Il medico Mondino, con una lunga gabbana rossa ed il collo di pelliccia dei maestri dello Studio, dà il braccio ad Imelda, vestita in seta bianca e cotone bianco con piccoli ricami colorati. Il velo è un regalo di Alessandra, che la segue sostenendolo per impedire che si rovini toccando per terra. Tanti fili di seta uniscono in questo momento le due amiche che stanno per separarsi.
Madonna Giovanna cammina dietro al marito con un cestino pieno di frutta. Si dirigono subito nella cappella dei Galluzzi, dove la sposa attenderà lo sposo in modesta preghiera, lontana dall’ambiente sguaiato della piazzetta in festa. Solo quando sarà sposata potrà unirsi ai festeggiamenti anche lei, sotto la protezione del marito.
Lasciata Imelda alle cure delle donne, Mondino esce dalla cappella per ricevere gli omaggi dello sposo che s’affretta a baciargli la mano «Maestro, grazie a voi sono un uomo felice».
«No, non grazie a me: Imelda ti renderà felice. L’abbiamo adottata quando era una piccola orfanella delle Clarisse, ed è diventata come una vera figlia per noi. Sono sicuro che sarà un’ottima moglie. Fate tanti figli, e della buona carta per i nostri libri».
Un suonatore di liuto interrompe i salamelecchi con una canzone un po’ volgare; i donzelli gli saltellano attorno ridendo, e Pietro fa conto di disapprovare per allontanarsi e vedere cosa succede nella cappella.
Tutto sembra pronto: il prete è arrivato, le decorazioni sono a posto, e lui può raggiungere la sua sposa di fianco all’altare. Alessandra si siede sul lato delle donne, la campanella chiama alla messa, i capi delle tre famiglie entrano assieme: Brunello de’ Galluzzi, Braccioforte de’ Caccianemici Piccoli e Mondino de’ Liuzzi s’inchinano uno dopo l’altro davanti all’altare e si siedono sul lato degli uomini, seguiti da tutti gli altri invitati importanti. Il sacerdote inizia la cerimonia nel nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo, ma Alessandra li segna tutti e tre come donne sulla fronte, sul cuore e sulle spalle.
Dopo la cerimonia religiosa la corte de’ Galluzzi diventa un grande banchetto di gioia. Le personalità si sono tolte i vistosi copricapi d’occasione, e la sposa ha sostituito il velo con una ghirlanda di fiori, così lo sposo può finalmente baciarla in pubblico. Musica, vino e capretti arrosto santificano questa bella giornata di aprile e di amore. Ma prima di abbandonarsi ai piaceri conviviali c’è ancora qualche tradizione da rispettare.
Pietro Villola fa segno ai musicanti di far silenzio e richiama l’attenzione degli invitati con tre colpi sul tamburo del tavolo di centro. Ha in mano un libretto rilegato in pelle, che ora stringe sul petto. Si rivolge a Mondino «Maestro, questo è il mio regalo di matrimonio. Ve lo presento con infinita gratitudine, ma anche con grande vergogna. Sì, vergogna, perché il regalo dello sposo al padre della sposa dovrebbe essere un oggetto di valore, una cosa preziosa. Questo è soltanto un libro, ed è anche piccolo. Ma tutti sanno che non sono ricco, soltanto un’artigiano ambizioso e innamorato. La stessa immodestia che mi spinse a chiedervi Imelda mi fa ora sperare che questo piccolo oggetto possa in qualche modo diventare una cosa preziosa per voi. Ho preparato la carta più fine e bella possibile; poi ho comandato un bravo copista per trascrivere il testo ed un miniaturista di valore per decorarlo; ho poi chiesto al mio migliore rilegatore di montare questo libretto in pelle per voi. Si tratta di un lavoro del vostro grande maestro, Taddeo, il libello per conservare la sanità del corpo. Lo rimetto nelle vostre mani–sperando che possa suggellare un’alleanza fruttuosa tra le nostre famiglie, un’unione basata sulla scientia, sull’arte teorica e pratica, sui libri e, naturalmente, la salute. Mi auguro che Dio preservi la vostra per tanti anni a venire».
Mondino ha capito il simbolismo importante di quel regalo, e la commozione gli permette solo poche parole «Grazie, Pietro. Seguirò con cura i consigli del mio maestro… perché devo tenermi in buona salute per poter insegnare medicina a vostro figlio».
Le donne hanno gli occhi umidi.
Fortebraccio ha invece già bevuto un po’ troppo vino «E noi altri? Come faremo noi a vivere a lungo senza una copia del libello?». Ma si guadagna solo una manata sulle spalle da parte di Brunello dei Galluzzi «Tu non vivrai certo a lungo, se continui a stuzzicare i tuoi parenti Grandi… ».
«Non è vero,. sono loro che ci provocano sempre. E poi i Caccianemici Grandi non sono grandi, sono solo più numerosi. Ma solo per poco… ».
«Buono, buono. Guarda che bell’arrosto hai davanti a te. Goditelo e stai tranquillo, altrimenti ci ritroviamo tutti e due banditi a Faenza».
«Saranno invece loro a …».
Questa volta è Imelda che si alza e picchia sul tamburo tre volte con sicurezza, e i due azzittiscono. Alessandra ha già notato quanto sia cambiata l’amica da quando si è tolta il velo. Non fa certo finta di essere cretina adesso. Fuori dalla chiesa si rivolgeva al marito con la sicurezza di una saggia padrona di casa. Si guardava attorno a testa alta, e salutavia gl’invitati con un piccolo cenno del capo. Ora non intende certo lasciare che due omacci d’armi disturbino la sua festa con le loro trame di guerra. Raccoglie il cestino di frutta dalle mani di madonna
Giovanna e parla a voce alta «Scusatemi, nobili signori. Ora è il mio turno di presentare i regali. Anch’io ho oggetti modesti, ma dati con tutto il cuore. Questi frutti sono per voi, carissimo marito: è una promessa e una speranza per il futuro della nostra unione. Questo regalo è tradizionale, e quasi dovuto da parte mia; nel mio caso però è accompagnato anche da un forte sentimento di amore e di rispetto. Ma non voglio fare solo un gesto tradizionale; ho un altro regalo da fare, un regalo fuori dall’ordinario per una persona straordinaria» così dicendo toglie dal cestino un vasetto che era rimasto nascosto sotto la frutta «Vorrei regalare questo ad una cara amica, quasi una sorella, che mi è stata molto vicina in questi ultimi tempi. Questo vasetto di erbe medicinali è per Alessandra Zilliani, ora dei Liuzzi, che mi ha insegnato ad essere donna, mentre io le insegnavo a riconoscere le erbe. Ora sarà lei a continuare il mio lavoro in farmacia».
Alessandra va subito a ritirare il suo regalo, e mentre abbraccia Imelda le sussurra «Grazie, grazie. Ma che cos’è?».
«Erbe per una pozione d’amore. Usale con parsimonia: sono semplici caldi in primo grado».
I festeggiamenti continuano durante tutto il pomeriggio, con musica, balli e buon cibo bolognese. Verso l’ora decima Imelda recita la sua ultima commedia di modestia; si tratta di una farsa tradizionale, ma l’esperienza di anni le permette di eseguirla molto bene.
E giunto per gli sposi il momento di lasciare la festa e iniziare la loro vita in comune. Imelda comincia a smaniare e far finta di aver paura dello sposo, come vuole la tradizione. Allora i donzelli trascinano via Pietro, e madonna Giovanna consola la sposina assicurandole che lui se n’è veramente andato. Poi Mondino e sua moglie accompagnano Imelda ancora in singhiozzi in un luogo sicuro. Al loro ritorno riassicurano gli invitati che tutto va per il meglio ‘é 1a sposina si è fatta una ragione dei propri doveri coniugali. Non li vedranno più per qualche giorno.
La festa per il matrimonio di Pietro ed Imelda continua fino al mattino. Mondino e la sua famiglia si sono però ritirati di buon’ora. Brunello è rientrato nelle sue stanze al sopraggiungere della notte; non ha più l’età per queste cose. Braccioforte è invece restato a far baldoria fino all’apparire del sole sui merli delle mura orientali. Ora i suoi famigli lo sollevano dal tavolo, lo issano sulla sella del cavallo, e partono per raggiungere le loro case nella parrocchia di Sant’Antolino. Ma lungo la via Salaria un gruppo di armati li attacca di sorpresa. Gli assalitori operano rapidamente, prima che le vittime mezze ubriache possano opporre la minima resistenza: abbattono due uomini che cavalcano a fianco di Braccioforte, pugnalano a morte il nobile bolognese, e fuggono tra le viuzze della città ancora addormentata.
«Maestro, alzatevi. C’è un messaggero alla porta. Sembra molto urgente. Deve essere una questione grave. Alzatevi, presto» il famiglio che l’ha svegliato è molto eccitato «Scusatemi maestro, ma credo che dobbiate andare a sentirlo al più presto».
«Ma chi lo manda?».
«Non lo so. È vestito bene ed ha la croce bolognese sul petto…».
«Un messo del podestà. Digli che vengo subito». Mondino s’infila la palandrana e scende lungo la scala di legno che porta al piano terreno. Il messo gli consegna una piccola pergamena: deve presentarsi davanti al Podestà all’ora terza. Poche parole, senza una ragione per quest’urgente convocazione.
Mondino torna in camera con il viso abbuiato, e comincia a vestirsi per andare all’appuntamento. Tanta urgenza e così poche parole lo preoccupano; i ricordi del periodo giovanile passato da bandito in Romagna gli tornano alla mente come un brutto presagio. Due anni tristi, lontano dalla protezione della famiglia; la paura di non sapere chi ti è amico e chi ti è nemico. Da quando è arrivato da Città di Castello, Zono de’ Tebaldi sembra però essersi comportato da podestà imparziale, senza molestare quelli della parte dei Lambertazzi. Ma negli ultimi tempi c’è stato in Bologna il solito aumento della tensione tra le fazioni, come capita ogni volta che i ghibellini rialzano la testa in Italia. Lucca è di nuovo la causa dei conflitti, da quando Castruccio si è alleato con i pisani e con i Visconti di Milano per far guerra a Firenze. I bolognesi hanno subito mandato cento armati in aiuto dei fiorentini, e Lanza de’ Garisendi è stato nominato Vicario di Re Roberto per il territorio di Pistoia, dove si scontrano di solito lucchesi e fiorentini. Ma perché non lasciano in pace un onesto medico come lui, che si occupa solo dei propri affari?
Poco dopo la partenza di Mondino, un famiglio dei Caccianemici Piccoli entra di corsa nella corte dei Liuzzi e s’imbatte in Alessandra che si sta avviando verso la farmacia «Madonna, brutte notizie, gran brutte notizie. Dov’è il vostro maestro?».
«È uscito per andare dal Podestà».
«Allora sa già cos’è successo?».
«Non credo, è stato solo convocato d’urgenza. Cos’è successo?».
«Hanno assassinato messer Braccioforte».
«Accidenti! Ma chi l’ha ucciso?».
«I suoi parenti di parte geremea, sicuramente. Appena abbiamo saputo che il Podestà convocava i capi delle famiglie vicine a noi, siamo corsi ad avvisarvi di non andare. Ma è troppo tardi. Che disastro! ».
«Perché Mondino non avrebbe dovuto andare?».
«La parte dei Geremei e della Chiesa ha sparso la diceria che noi Lambertazzi stiamo tramando per consegnare la città nelle mani dei milanesi…».
«Ma è vero?».
Il giovane riprende fiato e si guarda attorno, ma nella corte c’è solo il cane Bruto vicino alle cucine che rosicchia un osso della sera prima «Forse… ma non ha importanza. Se il Podestà si lascia convincere che l’accusa è vera, ci bandisce tutti; o prende i capi famiglia come ostaggi, nel caso la città venga assediata… Ma devo correre ad avvisare gli altri. Scusatemi, me ne vado».
Alessandra rimane sola e stupefatta. Guarda Bruto godersi il suo osso con calma, una scena di pace e semplice piacere. La giovane medichessa ha l’intuizione che Mondino non sia veramente in pericolo. Tutti sanno che si occupa solo di medicina; ha rapporti d’affari con diverse famiglie bolognesi appartenenti ad ambedue le fazioni. E vero, è iscritto alla società d’armi dei Toschi, ma solo per tradizione di famiglia, non per ambizioni politiche. Se il Comune non si fidasse di lui, non l’avrebbero incluso nell’ambasceria che quattro anni fa andò a scusarsi presso il figlio di Re Roberto per l’incidente con i suoi legati.