7 marzo 2011
Il Gioiellino è l’ultima fatica del regista Andrea Molaioli, un lungometraggio che propone una rilettura del “Caso Parmalat”. In una dimensione inconsueta tra cronaca e narrazione, senza riferimenti precisi ai nomi e ai luoghi della vicenda di Callisto Tanzi e Fausto Tonna, bensì utilizzando le verità acquisite di questa storia e con qualche aggiunta romanzata, Molaioli fa un ritratto della “provincia italiana” considerata il contesto ideale per il lento diffondersi di una cancrena fatta di finanza senza scrupoli, di incompetenza, di attenzione alle apparenze, di scarsa lungimiranza, di familismo, di poche opportunità per i giovani più preparati.
I bravi attori coinvolti in questa difficile prova (Remo Girone e Toni Servillo su tutti), sono stati all’altezza della situazione: senza farsi condizionare dal ricco materiale di cronaca disponibile dalle cronache di stampa, radio e Tv, hanno portato sullo schermo personaggi credibili e “universali”, uomini disponibili a negoziare la vergogna e il senso di colpa appellandosi alla tradizione, alla religione e alle consuetudini sedimentate… senza accorgersi di come le cose stiano cambiando intorno a loro.
Il pubblico internazionale ritroverà in questo film una storia italiana per quanto attiene le ambientazioni, le atmosfere goderecce, il mangiare e il bere bene… ma il livello di racconto è immediatamente esportabile e comprensibile per gli spettatori di tutti i Paesi che hanno a che fare con i crack finanziari e con le inevitabili e ingiuste ricadute sui risparmiatori che hanno affidato i loro risparmi e la loro fiducia ad un sistema “malato” e senza scrupoli.
“Lo spunto iniziale di questo film – spiega Molaioli nelle sue note di regia e sceneggiatura (scritta a sei mani insieme a Ludovica Rampoldi, Gabriele Romagnoli) – nasce dall’interesse, insieme ad una certa inquietudine, che nel corso degli ultimi anni ho nutrito verso i sistemi che regolano la finanza. Sistemi che appaiono inaccessibili alla comprensione dei più, ma che investono drammaticamente la quotidianità di tutti i cittadini quando, fallimenti e buchi neri, quasi sempre in modo inaspettato, vengono scoperti e finiscono con lo sconvolgere l’economia reale. Ho cercato di dar vita ad una storia che potesse essere in qualche modo paradigmatica di quelle condotte imprenditoriali, spregiudicate e sprezzanti di ogni regola, che si sono affermate e sono state tollerate nel corso degli anni; partendo dal presupposto che dietro gli intricati percorsi della finanza si affacciano uomini non sempre all’altezza dei ruoli che ricoprono. Per questo la scelta è stata quella di raccontare una storia di perdizione e di fallimento entrando dentro gli uffici e inseguendo i comportamenti di chi si è reso protagonista di quegli eventi.
Come era già accaduto per La ragazza del lago, il racconto mi ha portato nella provincia italiana che, anche in questo caso, è stata muta spettatrice di un crimine. Ne Il Gioiellino però, a differenza di quanto accadeva nel mio primo film, non c’è nessun assassino da scoprire, nessuna confessione. Sin da subito sappiamo chi sono i colpevoli, li seguiamo mentre, accecati dall’ossessione del lavoro e dal culto dell’azienda da salvare a tutti i costi, mettono in atto quella che è una vera metodologia criminale di cui mai chiaramente sembrano avvertire tutto il peso e la responsabilità sino all’ultimo istante, sino all’inevitabile epilogo. La realtà molto spesso non segue le regole della drammaturgia. Così se da un lato il film si ispira al caso Parmalat e ad altri crac finanziari verificatisi negli ultimi anni, dall’altro si allontana consapevolmente dal realismo della cronaca per tentare di andare oltre. Inoltre non volevamo solo raccontare la vicenda di Parmalat, come se quel crac da 14 miliardi di euro fosse un evento eccezionale in un sistema invece sano e limpido. Leda (non a caso acronimo di Latte e Derivati Alimentari) rappresenta tutte quelle aziende, italiane e non, che hanno fatto del debito una strategia e del falso in bilancio uno strumento, che hanno scisso l’economia reale dalla finanza, che con una gestione creativa e disinvolta hanno truffato migliaia di risparmiatori. Non volevamo fare un film di denuncia né d’inchiesta, ma raccontare personaggi, indagare i loro rapporti e capire il fondamento delle loro scelte. Abbiamo cercato di guardare il mondo con gli occhi dei nostri protagonisti, una banda di manager di provincia proiettati sulla scena della finanza mondiale, armati solo di un diploma in ragioneria e di una buona dose di spericolatezza nella gestione aziendale, capaci di tenere in scacco i mercati mondiali grazie a un conto finto realizzato con scanner e bianchetto. Cialtroni come i giocatori di poker da bar, sempre pronti a rilanciare anche con niente in mano. Capaci di muovere miliardi ma relegati in vite grigie, impiegatizie. Con una fiducia cieca, paradossale, nel lavoro, nell’azienda e nel suo patrono. Sono queste contraddizioni che abbiamo voluto esplorare per tramutare una vicenda finanziaria in un racconto di uomini abituati a stare sull’orlo del precipizio. Contraddizioni al limite della schizofrenia, come dimostra una frase attribuita a Tanzi che ha ispirato il titolo del nostro film: “A parte quei 14 miliardi di buco, l’azienda è un gioiellino”.
Anche dal punto di vista pubblicitario Leda è stata trattata come un’azienda a tutti gli effetti tanto che nei mesi scorsi è nato il sito www.latteleda.it che proponeva i prodotti e la storia aziendale. Nel film viene ricostruita tutta la storia del marchio trattandolo come un brand popolare a tutti gli effetti (visibile sui muri della città, negli stadi, sugli autobus, e nelle occasioni sportive). È stata inoltre realizzata una campagna di social media marketing su Facebook e Twitter che ha contribuito ad aumentare la visibilità del marchio. Il sito Leda è tuttora consultabile e accessibile anche attraverso il sito ufficiale del film www.corriere.it/ilgioiellino/
Il Gioiellino è una coproduzione italo-francese Indigo Film – Babe Films, in collaborazione con Rai Cinema e BIM distribuzione. Le musiche sono di Teho Teardo.