19 agosto 2008
Anche la storia che vi leggiamo oggi è tratta da “Imolians”, la rubrica dedicata agli imolesi che vivono all’estero de “Il Nuovo Diario Messaggero”, settimanale e sito web di Imola, cittadina a 30 km da Bologna. Raccontata in prima persona, la vicenda di Riccardo Soglia è stata raccolta da Maria Adelaide Martegani.
Che ci faccio qui? – sembra dirci Riccardo Soglia in questa sua testimonianza dalla Cina. Capire questa cultura non è facile, ma se si superano le prime difficoltà, si scopre un mondo con cui è necessario confrontarsi
“Quando sono arrivato qui mi sono sentito come un pesce fuor d’acqua. Di cinesi, o comunque di orientali, ne avevo visti parecchi nella mia vita, ma sentirmi in minoranza, visto che gli unici occidentali che mi ricordi eravamo solo io, il mio ’capo’ e il mio collega, mi ha lasciato senza parole. Uscendo dall’aeroporto poi, non vi dico. Sentire tutte queste persone parlare, anzi cantare (visto che all’inizio, non capendo nulla di ciò che dicevano, pensavo cantassero!) mi ha creato un notevole imbarazzo.
Il mio primo pensiero è stato: “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Ricordo ancora come se fosse oggi il traffico ipercongestionato dovuto alla neve che in quel giorno cadeva pesantemente. Subito sono stato accompagnato al mio nuovo appartamento, in modo che mi potessi sistemare. Freddo, senza acqua calda e con le istruzioni per accendere i termosifoni…ovviamente in cinese. Iniziamo bene!
La domanda a questo punto può sorgere spontanea. Ma perché sei andato fino in Cina? Semplice. Per il lavoro. La ‘3elle’, azienda che produce porte, serramenti e portoncini di sicurezza, per cui lavoro ormai da 10 anni, mi ha offerto la grande opportunità di accrescere il mio bagaglio culturale e lavorativo. Sono stato mandato a Pechino per incrementare la nostra presenza sul mercato orientale con vendita di materiale completamente ‘made in Italy’, che i cinesi sembrano gradire molto.
Tornando al mio impatto con la Cina, devo dire che è stato davvero duro, specialmente all’inizio, quando non conoscendo nessuno e soprattutto non conoscendo la lingua uscivo di casa solo per andare al lavoro. Fortunatamente, la pattuglia italiana in territorio pechinese è abbastanza consistente e, grazie al mio collega, sono stato immediatamente ‘acquistato’ dalla squadra di calcio a cinque creata dai ragazzi italiani. Col passare del tempo, grazie anche al mio carattere, sono riuscito ad entrare in pianta stabile nella comunità italiana a Pechino, facendo diverse nuove conoscenze.
La cultura cinese è completamente diversa dalla nostra e tante cose che per i cinesi sono normali, noi non ci sogneremmo nemmeno di farle. Facendo il turista per la città, ti accorgi del reale stato in cui vivono parecchie persone. Negli “hutong”, i tipici vicoli cinesi in cui possono vivere (‘vivere’ è un eufemismo, per lo stato in cui si trovano) anche migliaia di persone in poche centinaia di metri, gli alloggi sono in uno stato di totale decadenza: non hanno il bagno al loro interno, e se ti svegli nel cuore della notte devi per forza uscire e utilizzare i bagni pubblici. E vi lascio immaginare lo stato in cui questi si trovano.
Col passare del tempo ho imparato anche ad accettare parecchi loro comportamenti, non del tutto raffinati, che comunque fanno parte della loro cultura. Anche dal punto di vista lavorativo all’inizio ho incontrato parecchie difficoltà.
I cinesi hanno una cultura della casa completamente diversa dalla nostra, per loro la casa è solo ed esclusivamente un luogo in cui dormire. Mangiano quasi sempre nei ristoranti, che forse è meglio definire bettole. Si possono trovare persone che abitano negli “hutong”, ma che fuori hanno l’Audi A6 ultimo modello. Per loro l’importante è apparire, non essere: meglio la macchina che la casa.
Sto iniziando a parlare un po’ il cinese. Dopo aver imparato i termini necessari per sopravvivere, ho capito che la lingua mi piaceva e da un po’ di tempo ho iniziato un corso che mi sta facendo amare sempre più il cinese.
La cosa che mi pesa maggiormente è, come ben si può immaginare, la distanza dalla mia famiglia: rientro in Italia periodicamente, ogni 3 mesi, e sia mia moglie sia i miei genitori sono venuti a trovarmi qui. Io e mia moglie stiamo per avere un bambino e, ogni giorno che passa, la lontananza si fa sentire maggiormente. Lo sapevamo anche quando abbiamo accettato di vivere così distanti per un lungo periodo, perciò cerchiamo di sopportare questa situazione al meglio, ma è dura! Bisognerebbe fare un monumento all’inventore di Skype, che è l’unico modo che ho per rimanere in contatto visivo con la mia famiglia. Fortunatamente, quando a fine gennaio mio figlio nascerà sarò a casa e potrò godermelo. Per concludere, consiglio a tutti una visita a questa terra, ma non con i viaggi organizzati: se la Cina la si vuole conoscere davvero, anche se solo per pochi giorni, bisogna farlo senza lo scadenziario che impongono i tour-operators. La Cina bisogna respirarla per poterla un poco capire e non averne paura.
‘Xie xie. Zai Yidali jian’. Grazie, e ci vediamo in Italia”.
Riccardo Soglia