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5 Aprile 2008 | Archivio / Lo sguardo altrove, storie di emigrazione

Il piacentino che trovò l’acqua nel deserto più asciutto del mondo

Lo sguardo altrove: storie di emigrazione

Lettura di Fulvio Redeghieri
5 aprile 2008
Questo mucchio di parole sorge dai pensieri lasciatici in piccoli quaderni dal nostro caro nonno, crediamo il primo Calatroni arrivato in Cile. Attraverso di essi, ha tentato di farci conoscere i suoi sentimenti, la sua vita… Una vita intensa, con momenti di dolore,  assenza, solitudine, finiti quando nel Cile formò la sua famiglia”.
Così scrive Ivan Moyano Calatroni del nonno Renato, nato a Piacenza e morto a Malloco, ricordato per aver trovato l’acqua nel deserto più asciutto del mondo.
Ringraziamo Pietro Bianchini, presidente dell’Associazione Emilia-Romagna Valle Aconcagua, per averci inviato questa testimonianza. La storia è stata pubblicata anche sul giornale “La Libertà” di Piacenza da Gianfranco Scognamiglio.

Giulio Renato Calatroni Bortolotti è nato a Roncarolo di Caorso, in provincia di Piacenza, il 14 settembre 1926, circondato da un paesaggio contadino, descritto da lui come una zona di splendida vegetazione che copre la sua amata Pianura Padana: vegetazione formata soprattutto dalla abbondante produzione di uva, grano, frutta, bonificata e benedetta dalle acque del fiume Po.
Gli sforzi dei suoi genitori, Alberto e Emma, fecero sì che gli anni d’infanzia del nostro nonno e dei suoi fratelli maggiori non fossero completamente minacciati dalla mancanza di cibo e dalla scarsezza dovuta ai difficili momenti economici che attraversava l’intera Europa.

Finita la scuola elementare, Renato Calatroni frequentò a Piacenza quella preziosa scuola di avviamento professionale che portava il nome di Spartaco Coppellotti. Ottenuta la licenza, fu ammesso ad un corso biennale per tecnici perforatori. Il primo corso, teorico, si svolse alla Coppellotti. Il secondo, pratico, nel cantiere dell’Agip a Podenzano. I suoi lavori già da adolescente nella ditta Massarenti come perforatore nella ricerca di petrolio e di gas metano, sommati agli studi di specializzazione, erano i primi passi per le opere che più tardi avrebbe svolto al di là dell’Atlantico.
Una volta terminati gli studi superiori a Podenzano, ottenne il titolo di capo perforatore: la seconda guerra mondiale, però, gli impedì di svolgere la sua professione. Mentre lavorava nella trattoria di suo padre, lesse sul “Corriere della Sera” un avviso che invitava giovani professionisti della sua specialità a lavorare nella ditta “Hidrosonda” in Cile. La sua mente e il suo cuore lottarono fortemente: da una parte la mancanza di lavoro in Italia si contrapponeva ad un futuro economico che si prefigurava splendido nel Cile; dall’altra, il grande affetto verso la sua famiglia, gli amici, il Po, si scontrava con la paura dell’ignoto, della separazione, della solitudine. La decisione diventò meno dura quando il suo amico, Giulio Maserati, capo perforatore anche lui, decise di accompagnarlo.

Il viaggio da Genova a Buenos Aires sulla nave Santa Cruz, che già aveva trasportato centinaia di giovani e famiglie con i loro sogni di prosperità, fu molto pesante. Dal 1950  fino al 1972, Giulio Calatroni lavorò come capocantiere e ispettore di perforazione nella sezione “Aguas subterraneas” del dipartimento di Risorse Idrauliche presso la “Corporaciòn de Fomento de la Producción”, guadagnandosi il rispetto di superiori e di subalterni .
La sfida più grande per il nonno avvenne quando aveva trenta anni, era sposato con una bella ragazza di nome Carmen e aveva un figlio, Alberto. A questo emigrato di Roncarolo venne affidato il cantiere di San Pedro di Atacama, nel deserto più arido del mondo, allo scopo di cercare le acque sotterranee di quella regione inospitale. Calatroni, consapevole di affrontare una tappa difficilissima e dura per la sua famiglia, ne parlò con Carmen. Lei gli disse: “sono tua moglie e ti accompagnerò perchè la tua vita è pure la mia vita”. Insieme sistemarono solo le cose indispensabili, nella stessa valigia che il nonno aveva usato per viaggiare in Cile quasi sette anni prima.
Quando arrivarono a San Pedro di Atacama si trovarono in condizioni durissime: si trattava di un paesino poverissimo, in un paesaggio molto diverso dalle terre fertili da cui provenivano, Piacenza nel caso del nonno e Casablanca, un borgo vicino a Santiago, nel caso di nonna. Lo spirito guerriero di Calatroni e il senso umoristico e creativo di sua moglie contagiarono gli uomini che dovevano lavorare con lui, alcuni della zona e altri provenienti da diversi posti del Cile.

L’opera del cantiere si protrasse per due anni e mezzo. La famiglia Calatroni condivideva con gli operai i disagi, vivendo nel primo periodo in un ricovero per pecore infestato da zecche e insetti. A San Pedro non c’erano farmacie e l’ospedale più vicino si trovava a più di cento chilometri di strade quasi impraticabili. I rifornimenti e i materiali di cantiere giungevano in camion su piste in terra battuta. Quando un automezzo tardava, bisognava andargli incontro: spesso si trovava in avaria e in attesa di soccorso. Gli strumenti di perforazione pesavano tonnellate, e l’ingegno e il lavoro di gruppo sostituivano la mancanza di gru e altre macchine .
Ma più passava il tempo, e più arrivavano le comodità. Persino un piccolo orto fu capace di far crescere l’entusiasta “Carmelita”. E per migliorare il rapporto all’interno del gruppo e dare uno sfogo a tanto lavoro, Giulio Calatroni formò una squadra di calcio che fece storia nella zona. Un altro passatempo erano i giochi da tavolo. Tutti modi per mantenere lontano la sua squadra dal vizio del bere. In questo ambiente nacque Ana Maria, la seconda figlia di nonno Calatroni e nonna Vásquez. Insieme a loro quella sera si trovava un grande consigliere e amico: Gustavo Le Paige, prete e archeologo arrivato dal Belgio e molto rispettato dai locali.

Il lavoro affidato a Calatroni si tradusse in sei pozzi di differenti profondità. Quello indicato con il numero tre, perforato in sei mesi, dall’aprile all’ottobre del ‘57, si rivelò il più difficile e allo stesso tempo il più interessante: due falde sorgive furono avvistate tra 187 e 191 metri di profondità la prima, a 202 la seconda, con una portata complessiva di 150 litri al secondo. Questo pozzo arriva a 222 metri di profondità. Ancora oggi, l’acqua scorre tiepida e cristallina, forma una piscina naturale che ha dato vita ad un’oasi nel deserto più arido del mondo. Inoltre ha migliorato la qualità di vita di molte generazioni. La zona richiama turisti da tutto il Cile e anche dall’estero.
Il risultato della perforazione diretta da nostro nonno è ritenuto eccezionale, e l’avvenimento è stato pubblicato su diversi giornali dell’epoca. Il pozzo si trova a 2.450 metri di altitudine con temperature di dieci gradi sotto zero d’inverno e di 48 gradi all’ombra d’estate. Le piogge sono di breve durata ma violente tra dicembre e febbraio. In certi anni non si registra alcuna precipitazione .
È ammirabile l’opera realizzata da un gruppo di uomini comandati da un leader sicuro e fiero in momenti difficili, e accogliente e umano in momenti di debolezza, con un senso dell’uguaglianza e della giustizia sempre presenti. Virtù che Calatroni riteneva “costruite” dal deserto.
Terminati i lavori a San Pedro, il nonno fu trasferito ad Arica, una città al nord del Cile al confine con il Perù. Lì lavorò per lo sfruttamento delle acque sotterranee della provincia fino al 1963, anno in cui nacque Giulio, il terzo figlio che vive a Piacenza.
Infine fu trasferito a Santiago dove nacque l’ultimo figlio Paolo. Sempre al servizio della corporazione, svolse lavori di grande responsabilità fino all’età della pensione. La passione per la sua professione gli ha procurato altre offerte, di imprese private del Cile e persino del Ministero dell’Agricoltura del Perù, per nuovi progetti, rifiutati perché non voleva allontanarsi dalla famiglia. L’agitazione politica di quegli anni in Cile fecero sì che Calatroni tornasse a vivere gli ultimi anni della sua vita a Malloco, vicino a Santiago, con la moglie e l’ultimo figlio, Paolo. Periodo di pace, in cui passava il tempo coltivando l’orto e scrivendo le pagine del suo diario. Dal Po di Roncarolo alle Ande, da piazzale Torino di Piacenza dove visse da ragazzo, a San Pedro di Atacama dove ha fatto scaturire l’acqua dal deserto. Certamente l’opera anonima di nonno Renato in Cile supera il riconoscimento pubblico. Nelle sue opere c’è l’umiltà di chi riconosce la ricchezza e la generosità che offre la natura per il benessere di tutti. Lui ci ha trasmesso il valore che ha la vita quando si mette al servizio degli altri. Perchè? Semplicemente perchè così deve essere.
Grazie nonno Renato, grazie nonna Carmen.

Ivan Moyano Calatroni

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