4 ottobre 2008
Maurizio Matta si occupa di impianti petroliferi e ama Houston, dove ha scelto di vivere. L’unica cosa che teme sono gli uragani.
La storia che vi leggiamo oggi è tratta da “Imolians”, la rubrica dedicata agli imolesi che vivono all’estero de “Il Nuovo Diario Messaggero”, settimanale e sito web di Imola, cittadina a
Ho avuto la fortuna di sperimentare in prima persona ciò che non si può apprendere da Tv, libri, documentari o facendo il turista. Oggi interpreto questo privilegio come una ricchezza che nessuno riuscirà a portarmi via. Ho trascorso parte della mia infanzia in Nigeria, Algeria, Siria, Turchia e, prima di approdare a Imola, a 12 anni, avevo trascorso alcuni periodi a Torino, Napoli e sulle Murge pugliesi. Dopo un’attenta valutazione da parte dei miei genitori, Imola è stata la città prescelta per fermarci a vivere un’esistenza più tradizionale: niente più foreste, deserti, lingue diverse, guerriglie. La scelta è caduta su una città dove tutti hanno una storia, una famiglia, nonni, cugini e amici a due passi da casa.
Dopo la maturità tecnica all’Istituto Alberghetti, sono rimasto a Imola cercando di vivere una vita normale, ma non ha funzionato. Ho cercato un compromesso: la libera professione con disponibilità a trasferte estere. Ciò mi ha portato a fare esperienze in Germania, Francia e Giordania, ma non era ancora la formula giusta.
Quando ho conosciuto la ragazza imolese che sarebbe diventata mia moglie, è arrivata la decisione di lasciare insieme l’Italia. Prima le Filippine, poi
E’ stato molto bello per me riuscire a comunicare apprendendo sul campo lo spagnolo, il francese, un po’ di cinese mandarino e il tedesco. Coincidenze e occasioni mi hanno visto di nuovo in Africa, Germania e poi nel Texas. Ora vivo a Houston con mia moglie e quattro figli, uno nato in Cina, tre a Imola. Mi occupo di impianti petroliferi on-shore per un’azienda texana.
Trovo la vita qui in Texas più equilibrata rispetto all’Europa, forse perché a popolare gli States sono in gran parte figli di emigranti giunti da ogni dove, spinti dai più vari motivi o costrizioni. Molte persone di prima generazione sono diventate americane e parecchie hanno storie simili alla mia. Il Texas è la casa di persone che hanno il “vento nel cuore” e sentono il desiderio di appartenere a una comunità che ha una visione del mondo particolare. Unica, ad esempio, è l’efficienza del diritto: la giustizia è veloce e le leggi, chiare e uguali per tutti, proteggono i cittadini onesti dai furbi. Non c’è perdono per chi è recidivo e per chi non pone l’onestà tra i sui valori. Il rispetto per il prossimo è presente ovunque. Le tasse sono giuste. Lo Stato contribuisce ad alleviare la vita dei meno abbienti grazie a meccanismi di supporto pubblico e privato. La solidarietà è parte del Dna dei texani: non è raro vedere famiglie che “adottano” altre famiglie di razza e provenienza diversa, anche senza l’impulso emotivo di emergenze come l’uragano Katrina. L’assistenza sanitaria è in via di miglioramento, persone e famiglie con redditi deboli sono comunque assistiti. Il rispetto e la considerazione per la famiglia sono una priorità per la comunità. Il senso di appartenenza di ognuno agli Usa è impressionante: l’unità fa la forza e le solide risorse economiche disponibili rendono il paese temibile.
Non tutti si trovano bene, soprattutto se decidono di vivere qui per rimanerci. La cucina è così così e il clima è particolare: tornado, uragani e piogge tropicali sono eventi così violenti da toglierti ogni entusiasmo.
Noi siamo felici di vivere in Texas. I nostri figli frequentano la scuola statale e in circa tre anni hanno acquisito la padronanza della lingua, compatibilmente con la loro età.
Noto con tristezza che l’Italia sta perdendo la sua identità: la famiglia non ha la considerazione che merita e i figli sono spesso visti come un inconveniente, tanto che spesso, in Italia, mi è successo di essere criticato per avere quattro figli.
In Italia la giustizia ha un corso lento e complicato, non sempre uguale per tutti; il senso di responsabilità della gente è minato dall’insicurezza cagionata da individualismi e assenza di leggi di protezione. Vedo uno Stato che è un’entità distinta rispetto agli individui: uno contro gli altri. Il rispetto in generale e tra le persone ha subito una caduta di stile. L’appartenenza ad una nazione come l’Italia è un privilegio che i nostri padri, nonni e bisnonni hanno guadagnato con sacrificio e talvolta con la morte, è un dono che non onoriamo con il giusto spirito. L’italiano medio tende a respingere la sua appartenenza, tanto che il connazionale che incontri in un Paese lontano arriva a negarti il più semplice dei gesti, il saluto. Mi rattrista che chi vive un periodo all’estero faccia poi fatica a rientrare in Italia e trascorrervi una vita felice. Ma Imola fa eccezione, perché aziende e persone imolesi sono spesso protagoniste di iniziative che onorano il nostro Paese. Questo mi riempie di orgoglio spingendomi, nel mio piccolo, a rendere onori alla mia città.