Water Melon: Etruscan.
Mi zavenusa venú u(…)ús uskva tharmis in (…)utum uneithás … Ma che lingua è, cari ascoltatori? E’ la lingua che si parlava in Emilia-Romagna tra il VI e il V secolo avanti Cristo, circa 2.600 anni fa. Lungo la valle del Reno, la città di Kainua, oggi Marzabotto. Sul mare Adriatico, il porto di Spina per i commerci con la Grecia. E il fulcro di questa nuova rete di commerci, la città di Velzna, da cui Felsina, il nome etrusco di Bologna. Avete capito, cari amici, che stiamo parlando degli Etruschi. Questi nostri antenati sono tornati alla ribalta quest’anno per la mostra a loro dedicata dal Museo della Storia di Bologna, intitolata “Il viaggio oltre la vita. Gli Etruschi e l’aldilà tra capolavori e realtà virtuale”. Inoltre, alcuni articoli di stampa hanno dipinto questa civiltà come amante dei piaceri della vita più di tutte le altre culture antiche. E l’unica – sembra – dove la donna non fosse considerata inferiore all’uomo: tant’è che i Romani, forse invidiosi della bellezza e della libertà delle donne etrusche, le dipingevano come sfrontate, poco serie e anche poco vestite. Ma ora chiudiamo gli occhi, sogniamo: ci troviamo a un banchetto etrusco, sdraiati mollemente con una coppa di vino in mano, la fanciulla là in fondo dagli occhi neri si chiama Lavinia …
Francesco Landucci: Banquet (da “Etruscan Soundscapes”, 2011).
Sempre i Romani, probabilmente per propaganda, dipingevano gli Etruschi come smidollati, più portati per le feste, la musica, i banchetti, i giochi, l’eros, che per la guerra. In tempi di fondamentalismi rinascenti, come si fa, cari ascoltatori, a non amare una civiltà come l’etrusca? La nostra terra fu la loro per circa due secoli e mezzo, più o meno fino al 350 a.C., quando dal nord arrivarono i Celti e Felsina fu conquistata dalla tribù dei Galli Boi da cui la città prese il suo nuovo e definitivo nome, latinizzato in Bononia dai Romani. Un nome che per i Romani era di buon auspicio. Sono passati i secoli e le generazioni, da quando gli Etruschi dal porto di Spina commerciavano con i Greci, cui vendevano, in cambio delle raffinate ceramiche attiche, i prodotti di quella che sarebbe diventata la terra degli emiliano-romagnoli: grano, vino e le carni di maiale salate, che erano gli antenati dei nostri prosciutti. Ci riporta a quel tempo la musica evocativa di Marco Schiavoni.
Marco Schiavoni: Venivano da Oriente (Da “Notturno Etrusco”, 2014).
No, ci sbagliamo. La ragazza accanto alla quale ci siamo sdraiati nel banchetto etrusco non è Lavinia, ma si chiama Rakvi Satlnei. Era una bolognese etrusca: i suoi resti si sono dissolti nella polvere e nel fogliame degli attuali Giardini Margherita, dov’è stata ritrovata la stele che riporta il suo nome: Rakvi Satlnei. Il suo segnacolo funebre la mostra avvolta nel mantello, calato anche sulla testa, mentre si dirige verso una meta annunciata da grandi foglie d’edera, dietro le quali forse si nasconde Dioniso, il dio del vino e del delirio mistico, della fertilità e della morte: il dio che unisce la vita e la morte. La morte porterà la nostra antenata Rakvi a una metamorfosi, a un cambiamento di forme simboleggiato dal delfino posto nella lunetta superiore della stele che la ricorda. Intanto, la musica dionisiaca risuona nelle note del compositore Carlo Faiello.
Carlo Faiello: Ela Dionisé (da “Le Danze di Dioniso”, 2001).
Ma cos’era la morte per gli Etruschi? Qui il discorso si fa interessante. La morte è un viaggio pericoloso, un viaggio per mare tra isole erranti contro le quali si può andare a sbattere, in mezzo a onde in tempesta e mostri marini insidiosi. Ma – com’è raffigurato nella Tomba della Nave di Tarquinia – quando finalmente la nave col defunto giunge nell’Aldilà, ecco che appare un corteo di danzatori, entrano i musici, i banchettanti hanno già posto i loro calzari su un piccolo tavolo: tutti sono pronti a mangiare, a bere, suonare e danzare per accogliere il defunto. A riceverlo, abbracciarlo e banchettare con lui sono i suoi avi, gli antenati. Come può la morte far paura se saranno i nostri cari ritrovati a festeggiare con noi? Ma … silenzio! La musica è già cominciata …
World Music Scene: Etruscan Dancers (da “Ancient Etruscan Sounds”, 2013)