Stephan Holstein Trio: Via Emilia.
Ariminum – Caesena – Forum Popili – Forum Livi – Faventia – Forum Corneli – Claterna – Bononia – Mutina – Regium Lepidi – Tannetum – Parma – Fidentia – Placentia … Ecco, cari amici, come un antico romano avrebbe letto, sulla sua rudimentale carta geografica, i nomi delle città poste sulla Via Emilia, una strada lunga 2.200 anni e 175 miglia, cioè 260 km. I nomi delle città comprese tra Ariminum e Placentia, tra Rimini e Piacenza, sono gli stessi di oggi: Forum Livi, Forlì; Forum Popili, Forlimpopoli; Mutina, Modena; Regium Lepidi, Reggio Emilia … La Via Emilia è la spina dorsale della nostra regione, l’asse generatore della centuriazione, una tecnica di organizzazione del territorio che ha permesso la bonifica e lo sfruttamento dei terreni, e che ancora oggi è perfettamente leggibile nel suolo della pianura emiliana. Ma prima dei Romani, qui c’erano gli Etruschi, come ci ricordano i coltelli per tagliare la carne, gli spiedi, gli incensieri, le anfore di bronzo, le fibule, gli anelli e i fusi usati dalle donne, ritrovati nella tomba di via Zucchi a Bologna.
Nicola Alesini: Aninas (Da “Notturno Etrusco”, 2014).
In una stele della fine del V secolo a.C. ritrovata a Bologna, è raffigurata un’imbarcazione con uno scafo molto alto, in un mare abitato da mostri come l’ippocampo e il serpente marino. Il tema del viaggio per mare verso l’isola dei Beati è antichissimo. Ricordiamo Omero nell’Odissea: «Morte dal mare ti verrà, / molto dolce a ucciderti / vinto da una serena vecchiezza. / Intorno a te popoli beati saranno». La morte, dunque, come passaggio verso un’altra dimensione, nella quale il defunto entra in contatto con demoni che lo strappano dalla vita per accompagnarlo nell’oltretomba. Qui, come aveva fantasticato Omero, il defunto incontra i suoi stessi avi, e il drammatico distacco dal mondo dei vivi si scioglie nell’ingresso in una comunità in fondo serena, amica. Per entrare nel movimento solare, occorre attraversare la notte, il mare in tempesta, l’immenso spazio acquatico: tuffarsi in mare trasformandosi in delfino capace di sopravvivere nell’aria e nell’acqua, di scendere in profondità e riemergere; come nell’atto amoroso, ci si inabissa, si entra in trance e si torna coscienti; come nel mondo del dio Dioniso, l’ubriachezza, il delirio, il furore, lasciano intravedere la speranza di una vita oltre la morte.
Carlo Faiello: Mnemosyne (da “Le Danze di Dioniso”, 2011).
Fantastici, questi uomini dell’Etruria padana. Pensate che quando i Romani avevano appena iniziato a familiarizzarsi con la scrittura, gli Etruschi conoscevano già l’alfabeto, ereditato dai Greci. Questo popolo ha spesso affascinato gli artisti, dallo scrittore inglese Lawrence, che ne ammirava la vitalità, il ritmo di danza impresso alla vita, allo scultore svizzero Giacometti, che si è ispirato alla loro arte. Prendiamo la sua famosa “Ombra della sera”, quella statuetta allungata che gli Etruschi ponevano nella culla dei neonati per farli crescere in fretta, e che Giacometti ha trasformato, conservandone l’aspetto magico e simbolico, in un’icona della solitudine contemporanea. La statuetta etrusca è veramente meravigliosa, rappresenta una figura maschile nuda dal corpo filiforme, allungato, realizzata da un bronzista di Volterra. Fu il poeta Gabriele D’Annunzio a darle il nome di “Ombra della sera” perché gli ricordava le lunghe ombre del tramonto.
Emiliano Branda: L’ombra della sera.
Cancellato dalla faccia della terra, il popolo etrusco riemerge dall’abisso delle sue tombe quasi a dimostrare l’immortalità nella quale aveva creduto. Terminiamo il nostro omaggio agli Etruschi, cari ascoltatori, con un brano del compositore e cantautore spagnolo Amancio Prada, che ha messo in musica i versi scritti nel 1976 da Antonio Colinas durante una permanenza in Italia. Il poema di Colinas s’intitola «Sepulcro en Tarquinia» e racconta di una visione davanti alle tombe etrusche più belle e famose, quelle di Tarquinia, appunto. «I cancelli sono stati aperti durante la notte, / sono arrivati i cavalli di notte, / campo di ghiaccio, di stelle, di violini, / la notte sommerse seni e rose, /notte matura avvolta nella neve / dopo il sogno lento dell’autunno, / dopo un lungo sorso di autunno, / dopo l’uragano di stelle, / dell’autunno con alberi d’oro, /con torri bruciate e colonne (…)».
Amancio Prada: Llama de amor viva / Sepulcro en Tarquinia.