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27 Gennaio 2011 | Racconti d'autore

Il vicino

di Vittorio Ferorelli e Marco Pizzoli, racconto illustrato vincitore del Premio letterario “Navile – Città di Bologna” 2010

A cura di Claudio Bacilieri. Lettura di Fulvio Redeghieri.

Il Premio letterario “Navile – Città di Bologna”, nato nel 1988 dalla passione del libraio Marino Capacci, seleziona racconti e poesie inediti, inviati rigorosamente sotto pseudonimo per garantire l’imparzialità della giuria. Tra le novità della XIII edizione si segnala un riconoscimento speciale per la narrativa illustrata, un genere che, grazie ai grandi maestri della graphic novel, si va affermando sempre più.
Il racconto che si è aggiudicato il premio è stato scritto e illustrato a quattro mani. Le fotografie scattate nell’abitazione di un vicino di casa (uno come tanti, come se ne possono trovare a ogni latitudine del mondo) sono la traccia per un intenso monologo interiore, in cui parole e immagini si inseguono, al ritmo irregolare del ricordo. Per ribadire, alla fine, il desiderio di vivere, nonostante tutto.

Vittorio Ferorelli, autore del testo, lavora come caporedattore di “IBC”, la rivista dell’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna. Curatore di varie pubblicazioni, ha esordito come scrittore con il racconto Pelè facci sognare, finalista al concorso “MARE – Movimento Arte Racconto Espressione” del 2008.
Marco Pizzoli, autore delle immagini, ha studiato all’Accademia di Belle Arti di Bologna. All’attività di grafico affianca una personale ricerca fotografica sull’immagine digitale, che tratta come se fosse un testo, ovvero una tessitura pixel bianchi o neri.

Me lo dicevano sempre quand’ero piccolo.
Studia, tu che puoi.
Che solo così si diventa qualcuno…
Ma io non ci riuscivo. 
I libri a me non mi son mai piaciuti.
Preferivo camminare.
Mi piaceva andar lontano.
Andarmene via.
Già da allora.
  Adesso però cammino poco.
Dovrei stare più tranquillo, dice il dottore.
“Se ne stia alla finestra,
guardi bene la TV”, mi fa.
Ma che ne sa, lui, di quello che c’ho qui dentro?
A star fermo mi vien male…
Mi sembra già di crepare.
  E invece sono ancora vivo.
A volte ho dei ricordi così forti
che mi pare di tornare indietro,
di essere di nuovo com’ero prima,
quand’ero giovane…
Sono proprio un incosciente, lo so.
Ma non è che si possa cacciar via tutto.
Non si può dimenticare.
Siamo sempre quelli di prima.
Solo un po’ più stanchi.
Anche la campagna, per esempio…
Una volta la odiavo.
Non potevo neanche vederla.
I miei sempre lì a lavorare, a spezzarsi la schiena,
e io che dovevo andare a scuola.
Non era giusto.
Per molti anni è stato così:
mi vergognavo di venire da quei posti.
Di venire dalla terra, insomma.
Poi, un giorno, son tornato.
Non è che laggiù poi ho fatto fortuna,
si capisce.
Però sono andato avanti.
Quello che ho avuto mi è costato tanto.
Andar via dal paese,
anni e anni lontano da casa,
non vedere più nessuno dei miei amici…
A volte mi sentivo come una pianta senza più vaso.
Hai voglia a metterci l’acqua…
  Ma non pensavo a chi stava qui.
Non mi mettevo a ricordare il passato.
Ho capito che tanto è peggio.
Così ho fatto finta di niente.
E piano piano ho cominciato a dimenticare.
Quello che ero…
Da dove venivo…
Pure la mia lingua.
Ero diventato un altro.
E stavo meglio così.
  Poi la mia vita è cambiata.
È bastato guardarsi,
senza troppe parole.
Straniera anche lei, sì.
Ma ci siamo capiti bene,
anche se parlavamo un’altra lingua.
“C’è tanto tempo per imparare, amore mio”.
Diceva così.
E penso che aveva ragione.
 

Adesso, da quando son solo,
è tutto così strano.
Quello che ho passato,
tutto il tempo che ho vissuto,
non sembra più vero.
Le facce, le case,
le città, i lavori che ho fatto…
Tutti i posti dove sono stato,
tutti i vestiti che ho avuto,
non lo so più…
Non so se li ho avuti davvero.

  Anche questa città, poi…
mi sembra quasi di non conoscerla.
Dove sono le facce di prima?
Chi è tutta questa gente?
Quello che dicono non lo capisco.
Mi pare una lingua tutta diversa,
ma le parole io non le so.
  E allora me ne sto in casa,
quasi tutto il tempo.
Ma mica per il dottore, eh!
Perché qui ci sto bene.
Anche se non vedo più nessuno.
Qui ci sono tutte le mie cose:
dove me ne dovrei andare?
Finché posso, io ci rimango.
  Uno di questi giorni devo pulirci, qui intorno.
Le piante non si potano da anni,
me lo ha detto il vicino.
Mi piace il mio vicino,
è uno di poche parole.
Ogni tanto il suo gatto passa di qua:
basta un salto.
Quando lui se ne accorge non lo chiama,
fa soltanto un piccolo fischio.
E quello, dopo un po’, ritorna a casa.
  Abbiamo circa la stessa età,
ma non lo avevo mai visto prima.
Viene da un altro paese pure lui, non so da dove.
Proprio come me.
Forse è per questo che ci capiamo.
Chissà se è uno che ha studiato…
Anche lui, magari, nella vita ha soltanto lavorato.
Una volta o l’altra, quasi quasi, glielo chiedo.

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