8 maggio 2012
Ci è capitato recentemente di vedere un bel quadro, “La sera romagnola” dipinta da Ubaldo Oppi nel 1925, un nudo di donna con le mani alla nuca sullo sfondo di un paesaggio al tramonto che trasmette calma e sensualità. Ci sono venuti in mente i versi della poesia “La mia sera” di Giovanni Pascoli, scritta nel 1903: “Il giorno fu pieno di lampi; / ma ora verranno le stelle, / le tacite stelle. Nei campi / c’è un breve gre gre di ranelle. / Le tremule foglie dei pioppi / trascorre una gioia leggera. / Nel giorno, che lampi! Che scoppi! / Che pace, la sera! (…)”. E ci è venuta voglia di saperne di più sul pittore, che vide la luce a Bologna nel 1889, per morire a Vicenza nel 1942.
Ubaldo Oppi da Bologna si trasferì a Vicenza che era ancora un bambino: un bambino curioso, portato dal padre commerciante in viaggio per l’Europa, dove si riveleranno essenziali per la sua formazione il soggiorno a Vienna nel 1906, e quello in Europa orientale tra il 1908 e il 1909. A Vienna, frequenta lezioni di anatomia all’Università e segue all’Accademia i corsi di Klimt, la cui influenza sulla cultura dell’epoca è facilmente intuibile se solo andiamo in questo periodo a Venezia al Museo Correr per vedere la mostra dedicata a lui, a Hoffmann e alla Secessione viennese.
Nel 1910 Oppi esordisce come pittore proprio a Venezia, dove va a stabilirsi, con una mostra a Ca’ Pesaro. L’anno successivo – abbandonata definitivamente ogni attività commerciale – si trasferisce a Parigi, dove diviene amico di Severini e Modigliani, studia al Louvre la pittura italiana quattrocentesca e vede le opere del “periodo blu” di Picasso. Poi, la prima guerra mondiale lo vede sul fronte come ufficiale degli alpini. Oppi vive la drammatica esperienza del prigioniero, dalla quale nasce una serie di acquerelli e disegni che hanno come protagonisti figure affilate e attonite. Alla fine della guerra torna a Parigi e vi rimane fino al 1921, l’anno in cui espone al Salon des Indépendants e in cui la sua pittura imbocca decisamente la strada del “neoclassico” sostituendo calme e serene visioni alle forme allucinate e gracili del periodo precedente. Al ritorno in Italia, si stabilisce a Milano e nel 1922 fonda il “gruppo del Novecento” insieme a Sironi, Marussig, Soffici e Guidi. Per tutti gli anni Venti continua a lavorare al programma classicista che recupera la tradizione pittorica italiana del Quattro e Cinquecento, con alcuni notevoli ritratti femminili. L’appartenenza alla corrente classicista non gli impedisce nel 1924 di esporre in autonomia con una sala personale alla Biennale di Venezia, in occasione della quale presenta ben 25 dipinti. Nel 1926 partecipa alla prima mostra del gruppo Novecento alla Permanente di Milano con tre dipinti tra i quali “La sera romagnola”.
Verso la metà degli anni Venti avviene nella vita e nel lavoro di Oppi una svolta mistica che accentua sempre più il distacco dal gruppo del Novecento e troverà un riscontro profondo nelle opere di tema sacro e religioso che lo impegneranno fino agli ultimi anni di attività. Nel 1928 partecipa alla Secessione di Monaco ed è presente alla Biennale di Venezia con un solo quadro, il “Ritratto della signora Alma Giovi Leone”. Nel 1930 gli viene consacrata una personale del suo periodo pre-novecentista presso la Galleria del Milione. Dalla fine del decennio si dedica anche alla decorazione murale. Nel 1932, dopo l’ultima Biennale, si ritira definitivamente a Vicenza per vivere in un isolamento meditativo gli ultimi anni della sua vita, lontano dai furori dell’arte e dalle polemiche che sempre accompagnano il lavoro dell’artista.