Franco Battiato: Strade dell’est.
Eccoci di nuovo, cari amici, sulle tracce degli “orientalisti”, i pittori che nell’Ottocento viaggiavano lungo le strade dell’est per fissare su carta e su tela, con i loro pennelli e matite, le meraviglie e le stranezze che incontravano. Questi pittori erano in qualche modo dei ribelli. L’esotismo era una tensione verso l’altrove. Come le “illuminazioni” di Rimbaud, la cui “Bohème”, che ascoltiamo cantata dal grande Léo Ferré, potrebbe essere l’inno dei poeti vagabondi, dei sognatori girovaghi, di tutti coloro che si mettono sulla strada con le scarpe sfondate. E le lunghe carovane nel deserto che impressionavano gli occidentali nei paesi arabi, erano percepite dai pittori come il parmigiano Alberto Pasini, come una marcia verso le stelle. «La mia locanda era sull’Orsa Maggiore. / Nel cielo le mie stelle facevano un dolce fru-fru. /Le ascoltavo, seduto sul ciglio delle strade …».
Léo Ferré: Ma bohème (di Arthur Rimbaud).
Questi versi di Rimbaud potrebbero essere fatti propri da ogni vero viaggiatore: «Me ne andavo, i pugni nelle tasche sfondate /E anche il mio cappotto diventava ideale / Andavo sotto il cielo, Musa!, ed ero il tuo fedele. /Oh, quanti amori splendidi ho sognato! ». Da dove nasce il desiderio di “andarsene sotto il cielo”, da dove viene il desiderio dell’altrove? Nasce, cari ascoltatori, in un mondo sempre più uguale, globalizzato, uniforme, che mortifica la differenza. L’altrove è l’inaccessibile che sogniamo, è la sete d’infinito presente in ognuno di noi. “Sete d’infinito” è un concetto romantico, che esprime la nostalgia del legame tra l’uomo e la natura. La perdita di questo legame ci condanna all’erranza, alla ricerca di ciò che abbiamo perduto. Momenti di preghiera nel deserto, la tratta delle schiave, i vasti paesaggi del Nilo, il ballo dell’ape nell’harem, i suk, le marce nel deserto, i caffè, gli ambienti obnubilati dal fumo delle fumatrici d’oppio: la tavolozza dei pittori orientalisti si riempie di colori e immagini inedite, di visioni accarezzate solcando in lungo e in largo il Mediterraneo. Nel 1855 Alberto Pasini, in missione in Persia con il ministro francese, con l’incarico di disegnatore, soggiornò dieci mesi a Teheran. Per il viaggio di ritorno nel 1856 passò per il nord della Persia e l’Armenia arrivando fino a Trebisonda, da cui s’imbarcò per l’Europa. Alla fine del 1859 ripartì per l’Oriente, andò al Cairo, nel deserto arabico, nel Sinai, in Libano. E chissà quante volte avrà ascoltato musica araba, con quelle melodie dilatate che infiorettano, ricamano e abbelliscono sempre le stesse note, ripetendosi in improvvisazioni senza fine e non arrivando mai alla fine!
Donya Batma: Hob Eih (feat. Oum Kalthoum).
Al rientro in Italia, Pasini sposò una ragazza di Borgotaro (Parma) con cui andò a vivere a Parigi, dove nacque Claire, la loro unica figlia. Nel 1867 si mise nuovamente in viaggio diretto a Istanbul, dove l’aveva chiamato il nuovo ambasciatore di Francia. A Istanbul rimase nove mesi producendo 51 studi. A Parigi lavorò ai quadri commissionatigli dal sultano Abdul Aziz, quindi affrontò un nuovo viaggio sul Bosforo per consegnarglieli. Nel 1870 la guerra in Francia lo risospinse in Italia, da dove ripartì nel 1873 per il terzo viaggio in Turchia, dove visitò in particolare l’Anatolia. Vi sarebbe stato anche un quarto viaggio nel 1876 se la tragica morte del suo protettore, il sultano Aziz, e le violenze che ne derivarono, non l’avessero bloccato a Vienna. Al ritorno da Vienna si fermò a Venezia, se ne innamorò e con essa sublimò la mancanza d’Oriente. A poco a poco, Venezia sostituì la folla del mercato di Costantinopoli, i bagni turchi, i beduini a dorso di cammello, la pietrosa Persia del sud, le carovane nel deserto, i costumi delle donne. «Questa rosa del deserto /In ognuno dei suoi veli, una promessa segreta / Questo fiore del deserto / Nessun dolce profumo mi ha mai torturato più di questo / E così come lei si muove / Nello stesso modo muove la logica di tutti i miei sogni / Le fiamme bruciano
Mi rendo conto che niente è come sembra». Sono le parole di Desert Rose di Sting.
Sting: Desert Rose.
Una vita errante fu anche quella dell’altro orientalista parmigiano, Roberto Guastalla, nato nel 1855 e chiamato “il pellegrino del sole» per le tante strade carovaniere percorse in terre sconosciute, tradotte in una vasta produzione pittorica. Sulle strade dell’est, Guastalla portò non solo tavolozza, cavalletto e pennelli, come gli altri pittori, ma anche la novità della macchina fotografica. Tra il 1886 e il 1908 Guastalla viaggiò in Egitto, Tunisia, Numidia, Marocco, Siria, riportando a casa disegni, bozzetti, fotografie, così che la sua opera pittorica può considerarsi un grande reportage di viaggio. Altri pittori viaggiatori emiliani che possiamo far rientrare sotto la sigla dell’orientalismo sono il modenese Augusto Valli, che negli anni Ottanta dell’Ottocento fu in Africa Orientale, ad Addis Abeba, in Eritrea e nell’Harrar, e di cui si può ammirare nel museo civico di Modena una sensualissima Semiramide morente; e un grandissimo paesaggista, il reggiano Antonio Fontanesi, che dal 1876 al 1878 soggiornò in Giappone, dove insegnò in una scuola d’arte a Tokyo. Stavamo dimenticando il bolognese Fabio Fabbi, che viaggiò in Egitto, si arruolò tra gli orientalisti nel 1886 e dipinse soprattutto mercati affollati, harem, odalische e schiave. E’ arrivato il momento di lasciarci, cari amici. Tanti saluti dalle strade dell’est.
Daniele Sepe: Sulle strade dell’Est.