È tempo di stelle comete e sogni di felicità, da realizzare magari durante il nuovo anno. Originario della bassa ferrarese e trapiantato in quella mantovana, lo scrittore Davide Bregola ha vinto il premio “Chiara” 2017 con una raccolta di racconti senza titoli, in cui protagonista, sullo sfondo, è la pianura: una terra in cui, in mancanza d’altro, la gente sogna di più e finisce per costruire ciò che ha sognato.
A Ruggero veniva da battere furiosamente la palpebra destra solo quando qualcosa attorno lo faceva agitare.
Sulle prime, Marco, grande saldatore provetto, senza esitazione aveva suggerito a Sergio: “Se Ruggero vuole una meteora, non c’è alcun problema! La faccio, poi simuliamo la sua caduta dal cielo”. I due erano andati in officina e avevano attaccato il saldatore per costruirne una.
“Le meteoriti olosideriti basta farle con ferro e nichel” spiegava Marco. “Si fa scaldare il metallo con la fiamma del saldatore fino a far diventare il pezzo nero come la pece”.
“Sì, una bella meteora per il nostro amico Ruggero” diceva Sergio.
Quando il pezzo si raffreddò somigliava in tutto a una di quelle meteore viste in foto sui manuali di astronomia, una di quelle esposte ai musei e trovate nel Nebraska o anche solo a Finale Emilia.
“Bene, la cosa è fatta” dissero.
Ora Marco e Sergio dovevano architettare il modo per fare arrivare dal cielo il pezzo olosideritico. Pensarono a varie soluzioni; la più semplice ed efficace sembrava quella dell’appostamento nel fossato senz’acqua vicino alla casa di Ruggero.
“Basta attenderlo. Aspettare il suo passaggio e lanciare nei modi e nei tempi giusti il pezzo” concordarono.
Così si erano dati appuntamento al tramonto sulla strada e sopraggiunto il buio si erano stesi a pancia in giù nel fossato tra erbe e canne fittissime. Chi li avrebbe visti lì?
Quando passava qualcuno alzavano velocemente il collo e appena s’accorgevano che non si trattava di Ruggero si rimettevano in posizione strategica. Sembravano degli stupidi soldati in trincea, invece erano lì per uno scherzo.
Dopo un’ora, quando ai ragazzi iniziavano a far male le ossa per la posizione scomoda, passò finalmente Ruggero. Stava andando verso casa. Guardava in su, quasi volesse scrutare l’infinito negli anfratti più nascosti; se avesse trovato un ceppo lungo il percorso, sarebbe inciampato senza nemmeno sapere in che cosa.
Ruggero si avvicinava a passo costante al nascondiglio dei due amici. Si avvicinava, si avvicinava, si avvicinava.
I due amici sapevano già che, appena fossero stati superati, dovevano lanciare in alto il pezzo di ferro. Dovevano lanciarlo a parabola, per simularne la caduta dall’alto nel modo più veritiero possibile. Ma chi avrebbe lanciato il “sogno” di Ruggero?
Solo ora, a pochi secondi dal lancio, si erano accorti di non aver deciso nulla.
Con un breve scambio di gesti Sergio aveva preso in mano la situazione. Toccava a lui fare il lancio, perché i compiti si dovevano suddividere equamente. Marco aveva fatto il pezzo. Lui, per pareggiare il conto, doveva lanciarlo.
Ruggero procedeva nella sua camminata, era ormai vicinissimo e il lancio doveva avvenire nel giro di niente. Al momento giusto Sergio roteò il braccio in cui teneva il ferro. Lo lanciò dal basso verso l’alto e aprì la mano da vero prestigiatore facendo volare la falsa meteora in quella sua semiorbita a parabola. La vide salire lentamente, ma con decisione e, quando la spinta che le aveva impresso si esaurì, iniziò la caduta.
Il pezzo di ferro cadde vicino all’amico con una velocità da vero meteorite. Sì, insomma, convennero che ci si poteva cascare sul serio.
Ruggero si guardò attorno con uno scatto del collo. Subito aveva creduto si trattasse di una pietra o di un volatile colpito da chissà quale proiettile. Si abbassò a guardare quella cosa nera. Guardò in alto, poi in terra e ancora in alto e il sorriso comparve sul suo volto. Prese tra le mani il meteorite e corse trafelato verso casa.
Sergio e Marco attesero qualche minuto, poi con cautela risalirono dal fossato. Si accertarono che in giro non ci fosse nessuno, e finalmente poterono ghignare. Prima una semplice risatina, poi qualcosa via via sempre più irrefrenabile. Ci saranno voluti dieci minuti buoni perché la smettessero, infine tornarono a casa ad attendere gli eventi.
“Lo scherzo è riuscito perfettamente!” urlava Sergio sicuro di non essere sentito che da Marco.
Ruggero era fuori di sé per la gioia di aver trovato un meteorite. Quasi non riusciva a credere di essere stato lui, tra sei miliardi di persone al mondo, il solo ad essere stato sfiorato da quel pezzo di cielo nel mezzo di una strada. In quegli istanti si sentiva il ragazzo più fortunato e felice del mondo: quel meteorite proveniva da lontanissimo, era qualcosa di talmente antico che la terra, nell’attimo della sua creazione, forse non esisteva ancora. Aveva un frammento di universo tra le mani e si chiedeva se, per il bene della scienza e dell’astronomia, non sarebbe stato più utile dare il reperto a qualche museo o consegnarlo a qualche centro di studi astronomici. Ora però voleva godersi la gioia di possedere il meteorite. Solo questo. E soprattutto condividerla con Marco e Sergio. Così corse dagli amici. Prima da Sergio, appena dentro casa lo abbracciò stretto.
“Ho una notizia strepitosa, tieniti forte. Sai cos’ho qui in tasca?”.
“No, cos’hai?”.
A Sergio veniva da ridere nel vedere Ruggero così felice mentre lo stringeva a sé.
“Senti, non ti dico subito di cosa si tratta, dà un colpo di telefono a Marco e digli di venire subito qui”. Ruggero iniziò ad avere il suo tic nervoso alla palpebra e nulla l’avrebbe fatto fermare.
Sergio prese il telefono per chiamare l’amico.
Adesso erano tutti e tre in casa. Ruggero fuori di sé per la contentezza, gli altri due pronti a trovare il momento opportuno, quando la storia sarebbe diventata troppo vera e bella, per dirgli come stavano veramente le cose. Crudelmente. Ora però bisognava farlo gioire.
“Venite, andiamo al tavolo, voglio raccontarvi tutto. Stavo tornando a casa, era già buio, però la luna piena emanava quella sua luce soffusa che permette di vedere anche senza lampioni…”.
“È vero!” avevano detto Sergio e Marco all’unisono. “Proprio così”.
“Bene, dicevo, il cielo era pieno di stelle, sapete, avete presente, non dico… Sapete che i meteoriti possono cadere ogni giorno, in ogni momento dell’anno. Magari sì, esistono periodi in cui sono più frequenti. Ma non c’è nessuna teoria a vietare loro di cadere giù e arrivare fino a terra, no?!”.
“Ohhh!” avevano accennato meravigliati i due malvagi.
“Ecco, questo per dirvi che ieri sera, a pochi centimetri dalla mia testa…”. Ruggero mise la mano in tasca, estrasse velocemente il pezzo di nichel e ferro e lo mise sul tavolo. Era nero come lo straccio usato da un meccanico, tant’è che si era perfino tinto la mano.
“Vicinissimo a me è caduto questo meteorite”.
“No, non è possibile. Fammi vedere!” esclamarono i due imbroglioni.
“Ma è fantastico!”.
“Ehi, questa sì che è fortuna!” incalzò Sergio che cercava di trattenere la risata.
“Be’ sì, è stata una bella fortuna” ammise gongolante Ruggero. “Però come avete visto, sono stato attentissimo, o meglio: non so se qualcuno poco o nulla interessato alle cose dello spazio si sarebbe accorto di cosa gli era precipitato tra i piedi. No, dico, è un pezzo di storia dell’universo, questo. Avete presente di cosa siamo testimoni? Pensare che subito lo credevo un volatile. O una pietra!” diceva sempre più esaltato.
Marco, nel vedere l’amico così motivato, si era quasi pentito della bravata.
Provò a immaginare la faccia e l’umore di Ruggero quando, dopo una grossa risata, gli avrebbero detto la verità.
Anche Sergio pensava che forse, ma solo forse, erano stati troppo crudeli. E gli dispiaceva.
“Comunque,” continuò, “voglio chiedervi una cosa. Cosa fareste voi al mio posto? Lo terreste il meteorite o, che ne so, lo dareste a un laboratorio? Sapete, mi è già venuto questo dubbio. Ci ho pensato. È una questione da affrontare. Non so se sono all’altezza di meritarmi un pezzo di infinito, non so se sono in grado di capire tutto per meritarmi un pezzo di quel tutto”.
“Ma non saprei, e comunque non esagerare, insomma Rugg…”.
Ma l’amico proseguì convinto: “Nel pensiero dei ricercatori si è insediata in mezzo alle teorie la parola ‘creazione’. Qualche astronomo afferma di andare alla ricerca di Dio, come ente assoluto o come legge, e ciò è visto come la più sorprendente evoluzione del pensiero astronomico. Sapete cosa comporta, quale responsabilità mi è data nel possedere questo meteorite?”.
I due amici annuirono spiazzati. Solo, non risposero alla domanda.
Si vergognavano un poco per quello che avevano fatto. Si guardavano negli occhi a intervalli di secondi.
Guardavano Ruggero e la solita palpebra sinistra che batteva furiosamente come le ali di un colibrì. La cosa si stava mettendo veramente male.
Sergio emise un grande sospiro. “Senti Ruggero,” iniziò a dire. Poi si fermò un attimo, guardò ancora una volta Marco che aveva gli occhi fissi sul pezzo di ferro annerito e proseguì: “Secondo me quel meteorite dovremmo tenerlo noi. Cosa ne pensi, Marco?”.
Alla domanda Marco alzò di scatto il viso.
“Quando vuoi che ci capiti un’altra occasione del genere?”.
Erano rimasti a parlare quasi fino all’alba tutti e tre, con il meteorite sul tavolo o tra le mani di Ruggero che al momento di congedarsi aveva detto: “E se fosse radioattivo?”.
“Ma nooooo, non può essere” lo rassicurarono i due amici.
Poi si salutarono.
Ruggero si diresse verso casa con in tasca il pezzo di ferro lanciato da Sergio e costruito da Marco.
La notte fece sogni bellissimi.