Cari ascoltatori,
oggi siamo a Bologna, a palazzo Pallavicini, dove fino al 9 giugno potete ripercorrere la storia di una delle più grandi fotografe del Novecento. Si tratta dell’americana Lee Miller, classe 1907, donna di straordinaria bellezza, prima modella di per Vogue, poi impavida corrispondente di guerra ma soprattutto fotografa di grandissimo talento.
La sua vita è un susseguirsi di appuntamenti con il destino. Il primo, nel 1927, a New York, quando rischia di essere investita da un auto. Ad afferrarla e salvarla niente di meno che il proprietario di Vogue e Vanity Fair, il mitico Condè Nast, che subito le propone di diventare la donna immagine di Vogue. Animo irrequieto, Lee Miller non si accontenta. Dirà: “preferisco fare una foto che essere una foto”.
Ed ecco il secondo appuntamento con il destino. Vuole conoscere Man Ray, tra i più importanti fotografi dell’epoca. Arriva a Parigi e corre nel suo studio con una lettera di presentazione di un altro grande fotografo, Edward Steichen. E’ sicura di sé e vuole diventare la sua allieva. Ma le dicono che Man Ray è partito pochi minuti prima per un viaggio di un mese. E’ disperata, vuole ubriacarsi. Entra in un bar lì vicino e chi incontra? Man Ray! E ne diviene la musa ispiratrice . Con lui sperimenta tecniche, realizza alcune delle foto “surrealiste” più belle (per tempo si disse che erano tutte di Man Ray, ma non era così). Apre uno studio a Montparnasse frequentatissimo da una clientela internazionale. Ma anche questa avventura finisce, sempre per sua volontà. Torna a New York e anche qui apre uno studio fotografico.
Qui, sempre per caso o per colpa del solito destino, incontra l’imprenditore egiziano Aziz Bey, già conosciuto a Parigi. Si frequentano e sis posano. Va al Cairo con lui. Inquieta ed esuberante, si stanca di quella vita e torna a parigi dove, colpo di fulmine, incontra Roland Penrose, un celebre collezionista d’arte. Vuole scappare con lui ma arriva la guerra. Lee Miller fa richiesta di accreditamento alle forze armate Usa come corrispondente di guerra, su suggerimento di David Scherman, fotografo di Life, e suo amico, amante e compagno di viaggio per tutti gli anni tragici del conflitto.
Le immagini della coppia diventano leggendarie. E terribili. Come quelle dai campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. Alle foto la Miller non aggiunse commenti, solo una sola frase: “Vi imploro di credere che tutto questo è vero”. Di quei giorni è anche l’immagine forse più celebre di Lee Miller: lei nuda nella vasca dentro il bunker del Furher. Un’immagine che fa ancora oggi discutere, tanto che non è riproducibile se non con la stretta autorizzazione della fondazione Lee Miller, a causa dell’uso criminale fatto da alcuni gruppi neonazisti, anche nel recente passato.
Dopo la guerra Lee Miller accusò un grave crollo psicologico. Fu aiutata da Sherman e, soprattutto, da Roland Penrose, nelle braccia del quale morì nel luglio del 1977.
Abbiamo chiesto a Vittoria Mainoldi, una delle curatrici della mostra, come hanno raccontato a Palazzo Pallavicini la storia di questo grande personaggio
Intervista a Vittoria Mainoldi
Trovate tutte le informazioni per la mostra sul sito www.palazzopallavicini.com Potete seguire la visita anche attraverso la App “Pallavicini Lee Miller”, basta richiedere il codice in biglietteria:
Un saluto da Carlo Tovoli