Cari amici e care amiche di RadioEmiliaRomagna, oggi il ruolo di protagonista è affidato a un personaggio volutamente ambiguo. Un uomo per il quale i confini tra lecito e illecito erano varchi piuttosto elastici. Truffatore per alcuni, collezionista sopraffino per altri. Tra le poche cose sicure che se ne possono dire, è che ebbe una vita decisamente avventurosa. Ma cominciamo dall’inizio.
Nato a Reggio Emilia nel 1860, da una famiglia di braccianti, Luigi Parmiggiani inizia a lavorare ancora bambino nella bottega di un calzolaio. Crescendo, cambia mestiere più volte, impiegandosi prima in una tipografia, poi in un laboratorio di bigiotteria. Scarpe, inchiostri e pietre che luccicano. In questi tre simboli si può leggere già un destino: una vita fatta di viaggi, tante parole e oggetti preziosi (preziosi davvero o per finta).
A 19 anni, Luigi scappa in Francia per evitare il servizio militare. Il suo nome è già piuttosto noto agli sbirri, per via di certe simpatie anarchiche, che non nasconde affatto. Sei anni dopo, a Parigi, la sua casa è un punto di riferimento per i fuoriusciti e gli estremisti italiani presenti in città, e lui è uno dei più accesi animatori degli “Intransigenti”, un gruppo di agitatori che si pone fuori dal movimento anarchico ufficiale e teorizza il furto come strumento di lotta alla borghesia (una teoria che, forse, diventa anche una pratica).
Parmiggiani cambia nome e diventa “Parmeggiani”, ma non è una “e” a salvarlo dalla polizia francese, che adesso gli dà la caccia. Scappa a Bruxelles e poi a Londra. Nel 1889 è di nuovo in Italia, dove insieme ad Achille Vittorio Pini – reggiano come lui, e come lui scalmanato – mette a segno una serie di aggressioni ai danni di esponenti socialisti, minacciando da vicino anche un concittadino illustre, il mite Camillo Prampolini. L’attentato per fortuna fallisce e i due riparano ancora una volta all’estero.
Qualche anno dopo, a Londra, furoreggia un antiquario francese dai baffetti irresistibili. Si chiama Louis Marcy e rappresenta una galleria parigina che vende oggetti d’arte antica, ma altri non è che Luigi Parmeggiani. I suoi clienti sono collezionisti americani senza scrupoli, come John Pierpoint Morgan, ma anche musei rispettabili come il Victoria and Albert o addirittura il British. A tutti, Marcy rifila dei falsi: armi e oreficerie disegnati dall’esperto della Maison nonché marito della proprietaria, il pittore spagnolo Ignacio Leon y Escosura. Copie, sì, ma di fattura mirabile, realizzate da artigiani francesi di grande livello.
Ai primi del 1900, morto Escosura, Parmeggiani prende il suo posto nel cuore della ricca proprietaria della Maison Marcy, la sposa e continua i suoi traffici, anche se sul suo conto, nel mondo delle aste e dei musei, cominciano a girare i primi sospetti. Venti anni dopo, quando gli affari sono irrimediabilmente compromessi, decide di tornare in Italia. Nel frattempo, mescolando ancora una volta sentimenti e interessi, ha sposato la nipote di Madame Marcy, Anna, figlia del pittore spoletino Cesare Detti.
Insieme, a Reggio Emilia, i due coniugi fanno costruire un palazzo in stile gotico in cui sistemano i pezzi più pregiati della loro collezione: mobili, costumi, tessuti e dipinti. E qui, Parmeggiani mette a frutto, per l’ennesima volta, il suo talento per la persuasione. Convince il comune ad acquisire la raccolta, ottenendo in cambio un vitalizio per la vecchiaia. Non a caso qualcuno lo ha definito un “ingegnoso farabutto”.
Quel palazzo, oggi, è un museo e può essere visitato. Dai suoi angoli, in forma di mostri, spuntano i sette vizi capitali, ma a tenerli a bada ci pensano le statue di Raffaello, Michelangelo e Leonardo. L’arte, forse, redime dal male? Il sorriso baffuto di Luigi Parmeggiani sembra dire anche altro: male che vada, può aiutare a vivere meglio.
[Per approfondire la conoscenza di Luigi Parmeggiani e della Galleria che ne porta il nome a Reggio Emilia: podparmeggiani-musei.comune.re.it]