“Tu sei nato molti secoli prima della tua nascita”: è questa la frase che, sbucata a sorpresa alla fine di un videogioco, dà inizio alla storia di Dario, il protagonista del romanzo del modenese Massimo Bernardi. Un divertente viaggio della fantasia, in cui luoghi e personaggi appaiono e scompaiono come nei màndala tibetani, ghirigori colorati lasciati al vento che li soffia via.
Il coniglio dal cilindro
Mentre tornava verso la stazione dei treni di Bologna, Dario ripensò alle circostanze fortuite, e non poco singolari, che tre anni prima lo avevano portato a conoscere Sissi. In quel periodo era un venditore scapestrato alle prime armi che piazzava termometri e detersivi alle rezdore, le vecchie cuoche delle osterie fuori porta e dei ristoranti, dove si recava con il pretesto delle normative igieniche per poi praticamente obbligarle a comprare i suoi prodotti. Era un fottuto ingannatore, che sapeva benissimo quanto i suoi prodotti, che lui spacciava per i migliori sul mercato, fossero in realtà i più scadenti. I due fratelli albanesi, che la sua ditta teneva praticamente come schiavi in quello squallido capannone, passavano il tempo a mescolare sostanze chimiche a casaccio, senza nessuna competenza (oltre che nessuna sicurezza). La sua ditta era sulla cresta dell’onda, perché i bastardi come lui sapevano fare il loro sporco lavoro mascherandosi dietro sorrisi ipocriti a denti stretti, e le povere rezdore compravano quei prodotti persuase e convinte di aver fatto un’ottima scelta. Guadagnava anche bene, Dario, in quei giorni di primavera. E questo nonostante la crisi, quella crisi globale che attanagliava già molti dei suoi amici e conoscenti, che con vergogna e incredulità gli raccontavano di cassa integrazione, orari ridotti e turni di lavoro a rotazione.
Dario, quel mattino di tre anni prima, era appena uscito dal ristorante Al Gatto Matto di Porretta Terme, dove aveva piazzato tre termometri elettronici per freezer e uno stock di detergenti alla camomilla, quando vide Valeria per la prima volta. Quella donna sulla quarantina era decisamente affascinante. Aveva un magnetismo erotico che lo colpì all’istante, mettendo subito alla prova l’elasticità dei suoi nuovi slip (che ressero brillantemente). I capelli scomposti le davano un’aria da porca di periferia, gli occhi magnetici attiravano sguardi e oggetti metallici da ogni direzione. E poi quel vestito così insolito era una vera provocazione in un posto così tranquillo, frequentato soprattutto da vecchi con problemi di diuresi.
Dario incontrò Sissi in una piazza di Porretta Terme, di fronte a un negozio di antiquariato, mentre stava girando uno spot pubblicitario insieme a una piccola troupe di creativi. Era uno spot vegetariano che voleva porre l’attenzione sul massacro ingiustificato degli animali a scopi alimentari. Per questo Sissi indossava un vestito attillato di vera carne di manzo, con tanto di muscoli e grassi in evidenza (pochi mesi dopo, la star del pop Lady Gaga avrebbe copiato la sua idea agli MTV Video Music Awards). Nei venti secondi dello spot, che provò più volte, camminava avanti e indietro con le mani sui fianchi come sopra una passerella di alta moda, per poi fermarsi all’improvviso e, con lo sguardo fiero rivolto in camera, esclamare la battuta: “Se mi spogli con gli occhi vuol dire che hai fame, non che mi desideri.”
Dario si era fermato nel capannello dei curiosi e seguiva la scena, lei soprattutto, con molto interesse. Del resto poteva permetterselo, non aveva altri appuntamenti da lì a un paio d’ore. Mentre guardava le riprese passò un tizio in bicicletta che gridò a gran voce una specie di profezia: “Le vie del Signore sono finite! Trovate un posto a sedere! Lo spettacolo della fine del mondo è in arrivo!”.
I curiosi, compreso Dario, gli dedicarono pochi secondi di attenzione per poi tornare a farsi ammaliare dalla provocante donna di carne che continuava a provare la scena, e nelle pause elargiva sorrisetti ammiccanti e occhiolini a tutti i presenti. Dario avrebbe voluto farsela, non c’era alcun dubbio. Ma il problema era come avvicinarla, visto che a lui la carne di manzo cruda dava la nausea. Molti anni prima, all’asilo, un suo amichetto gli aveva lanciato per scherzo un pezzetto di carne bovina sull’occhio destro e lui aveva vomitato dallo schifo per quattro giorni. Quell’episodio isolato ebbe poi l’effetto di fargli odiare la carne bovina, e in quel frangente costituiva pure un ostacolo alla sua potenziale azione seduttiva. Ma come nei migliori film d’oltreoceano arrivò un coniglio dal cilindro, un inaspettato imprevisto che in qualche modo lo fece uscire dalla stallo. Forse in collegamento con la profezia del pazzoide in bicicletta di poco prima, all’improvviso sulla piazza dove giravano lo spot si creò un vortice d’aria paragonabile ai peggiori tornado americani. Dario e Sissi furono sollevati in aria insieme a qualche vecchietto con problemi di diuresi e oggetti vari, tra cui una scacchiera dalle pedine di cristallo e un grammofono con la tromba d’ottone tutta ossidata (pezzi rari e pregiati, provenienti dal negozio di antiquariato). Volteggiarono insieme per alcuni istanti, che sembrarono eterni, sopra i tetti delle case di Porretta Terme. Poi il ciclone perse di intensità e i loro corpi cominciarono a precipitare in caduta libera.
Per un caso fortuito, o forse per volere di un qualche dio minore, atterrarono entrambi sulla folta chioma di un platano del parco cittadino, che attutì molto l’impatto. Riportarono solo alcune escoriazioni guaribili in pochi giorni. Il forte vento, poi, ebbe l’effetto di strappare via tutti i pezzi di carne dal corpo di Sissi, che rimase praticamente nuda, avvinghiata ai rami del platano. Dario, che era atterrato pochi rami sopra di lei, passata la paura ebbe anche il coraggio di sorriderle, e superato all’istante il problema della carne di manzo cruda, poté cominciare senza indugi la sua opera di seduzione. Di argomenti per parlare ne avevano, hai voglia se ne avevano. A partire da quello strano fenomeno naturale, davvero insolito a quelle latitudini, che li aveva fatti incontrare.
Prime sequenze cinematografiche dalla vita di Dario Huller
Durante il volo nell’occhio del ciclone, a Dario – come succede a tutti quelli che vedono la morte in faccia – passò davanti in pochi istanti tutta la sua vita. Era una sequenza di brevi scene cinematografiche che si susseguivano l’una dopo l’altra senza soluzione di continuità. Ma Dario, che era avvezzo a manipolare la sua memoria a piacimento, riuscì a dilatare quelle sequenze fino a farle diventare praticamente un lungometraggio. Dopo i titoli di testa, con la scritta cubitale VITA DI DARIO HULLER e i nomi degli attori protagonisti, per prima cosa rivide se stesso in quel mattino d’inverno, mano nella mano a nonno Augusto quando – mentre scendevano i primi fiocchi di neve e i bambini più grandi pattinavano sul laghetto ghiacciato, e i cacciatori dall’alto della collina scrutavano l’orizzonte in fondo al bosco per scorgere qualche preda da catturare – Dario trovò appiccicato con lo scotch alle vetrine di un negozietto di giocattoli il manifesto del Parcurdo, il Magico Parco dell’Assurdo. Era una locandina scolorita con qualche strappo qua e là, risalente a qualche mese prima se non addirittura alla passata stagione estiva. Ma il proprietario del negozietto di giocattoli si era scordato di toglierla. La cosa che colpì subito l’immaginazione del Dario bambino guardando il manifesto furono i coniglietti bianchi che squittivano dentro i grammofoni, una tenera parodia di quei dischi a settantotto giri che ascoltava suo nonno (in quei dischi, però, era un cane ad abbaiare nel grammofono). Sopra ai coniglietti, l’inquietante ombra della marionetta assassina in controluce brandiva un’accetta sporca di sangue, e nonno Augusto – scorgendo sulle pupille del nipotino un velo di paura – deviò subito la sua attenzione verso lo sfondo con i mulini galleggianti e la giostrina in basso a destra, quella dei cavallini con le teste a tappo di sughero. Sul volto di Dario comparve un sorriso rassicurante.
“Domani ti ci porto, al Parcurdo” disse il nonno.
Nella sequenza successiva, più o meno mentre Dario stava volando a dieci metri da terra sopra il parco pubblico di Porretta Terme, si rivide con nonno Augusto davanti all’ingresso del Parcurdo: una finta grotta in cartongesso, che ricordava da vicino le strutture posticce in voga nelle fiere campionarie di inizio Novecento. Pagato il biglietto, i due gendarmi con i pennacchi di guardia all’ingresso si scostarono facendo passare nonno Augusto e Dario bambino. Il nonno, attraversando la grotta che poi continuava in una fitta selva oscura, ebbe la sensazione di essere già stato lì in una vita precedente, o forse in un sogno lontano. Mentre Dario, ancora inconsapevole, viveva quei momenti come se fossero davvero nuovi di zecca. La selva oscura, che ricordava la famosa intro dantesca, si diramava poi in un labirinto con diverse strade: una portava al Regno di Oz, un’altra al Paese dei Balocchi di Pinocchio, mentre quella che presero loro conduceva, dopo molte svolte, al palco del Pop Festival di Monterey del 1967.
“Voglio vedere i coniglietti che squittano nei gramofani” implorò Dario con una certa impazienza e approssimazione linguistica, e il nonno dovette chiedere informazioni al primo personaggio che passava di lì, la marionetta assassina.
“Vedete quei mulini galleggianti là in fondo, dove lo Stregatto di Alice si sta grattando la coda?” disse la marionetta assassina.
“Ma sì, certo che li vedo” replicò nonno Augusto.
“Ebbene, i coniglietti sono da tutt’altra parte. Ma è inutile andarci, perché li ho già sgozzati tutti quanti!” aggiunse con un ghigno, mostrando le gocce di sangue sopra la sua accetta.
Le conseguenze di quello shock sulla psiche di Dario, da quel giorno, furono in sostanza due:
1) non volle mai più andare a vedere gli spettacoli di marionette;
2) ogni volta che vedeva un coniglietto bianco, scoppiava in un pianto dirotto.
(Molti anni dopo, raccontando il raccapricciante episodio a un amico fumettista, gli diede inconsapevolmente l’ispirazione per creare la fortunata serie di volumi a fumetti dei Coniglietti suicidi).
Il nonno pensò che quel diavolo di posto, spacciato come luogo dei divertimenti, non fosse poi così adatto per un bambino di quattro anni, e decise di uscire da lì immediatamente. Appena trovò un buco nel terreno, senza farsi troppe domande, vi si calò insieme a Dario. Quando riemersero, dall’altra parte Dario vide un sottomarino giallo che volava sopra le nuvole. C’era dentro qualcuno, perché da lassù si sentivano alcune voci maschili unite in un coro, che fischiettavano un allegro motivetto.