16 febbraio 2012
Cari ascoltatori, oggi nella nostra rubrica non ascolterete la lettura di un racconto o di pagine di un romanzo: vi leggeremo poesie. Il nostro autore è Max Mazzoli, nato a Parma nel 1963 e da molti anni residente in Inghilterra, prima a Londra, dove si è laureato in Letteratura Italiana e Linguistica presso la University College London, poi a Cambridge, dove lavora come insegnante.
Mazzoli ha già pubblicato cinque raccolte di poesie, tutte per Book Editore. Dopo l’esordio con “In La minore” nel 1989, ha scritto le liriche di “Dissepolta polvere” nel 1992, quindi è uscita nel 2005 la raccolta di “Nella flagranza dell’istante” e, nel 2007, “L’altra metà del Tempo”. Nel 2009, infine, sono uscite in edizione bilingue le “Poesie del Bosforo” (The Bosphorus Poems).
La prima poesia che ci legge l’autore è Bayswater. Il commento musicale alla fine è composto e interpretato dallo stesso Mazzoli, che ci spiegherà anche il senso di questo continuo andare oltre la linea dell’orizzonte, di un nomadismo che si preciserà ancora meglio nella seconda lirica.
Bayswater – L’acqua di questa baia
Quante volte poi abbiamo risalito il fiume
o ci siamo lasciati trascinare
dal fluire della lenta corrente,
fosse questo l’Orinoco o il Tamigi,
fosse il Tevere, l’Arno o il Mississipi;
piangendo sulle rive del Lemano.
O quando poi siamo tornati a perderci
e a camminare sotto i portici di Bologna
o a trastullarci nei caffè di Queensway,
dove ancora vedo gente uscire a frotte
dalle scale sotterranee di Bayswater,
inseguendo un niente che si sposta sempre più avanti;
la stessa gente che ho visto muoversi uguale
per anni, incartata nella propria solitudine,
in quell’ostentato distacco dal mondo
che costituiscono e annullano simultaneamente;
ciascuno lontano e per sempre perduto
nel proprio idioma distante.
Bayswater – acqua di questa baia, centro di un universo
brulicante di solitudini;
la mia cultura è il mio esilio,
la mia ricchezza è la mia miseria –
ora che so di essere
e, per questo, di non appartenere,
poiché quello che sono
non lo posso e ovunque;
come il tempo non è fatto di sempre,
ma di effimeri tocchi,
e il dove non è che un insieme di frammenti
raccolti tra altri detriti in uno spazio breve.
Max Mazzoli ci legge ora la seconda poesia Guardando a ritroso, un invito, ci sembra, ad assecondare il desiderio di fuga alimentato dall’immaginazione: basta un pezzo di carta e della china per tracciare i contorni dei luoghi verso i quali vogliamo andare, o dai quali veniamo, andando a ritroso nel tempo.
Guardando a ritroso
Guardando a ritroso, ponendomi prima dei fatti occorsi,
ignaro ancora di quanto sarebbe successo;
perscrutando e inseguendo la lingua dell’amore,
indagando la lingua dei sogni e della sofferenza,
evocando la lingua dell’ardore
e delle insperate rivelazioni;
la lingua della domande, la lingua dell’incontro;
inconsapevole delle tortuose pieghe
che avrebbe assunto il destino: la strada già prescritta,
non ancora pienamente percorsa –
scelsi di eleggere a migliore compagnia dell’anima
e dell’uomo questa carta e questa china.
Quale ebbrezza vedere avanti a me
i luoghi non ancora posseduti, solo sfiorati:
le lande di Spagna, l’estrema secchezza fulva di Badajoz,
la porta della Lusitania Atlantica;
il mare di Catalunya;
l’ondulata campagna della vergine Inghilterra;
la lavanda di Provenza; i legni di Svezia;
i fiordi di Norvegia.
E indietro, prima di ed oltre di me,
il selciato dei piccoli cubi di porfido
della mia infanzia letteraria
accanto al duomo di Parma.
Il delirio e l’inquietudine,
come farina ed acqua; l’esilio e la solitudine
e la prigionia di questa immobilità impotente.
La mia patria è la lingua che ci unisce;
la mia patria non ha lingua
perché tutte le contempla.
Sentiamo ora un breve commento dell’autore, anche in merito alla musica scelta.
Siamo arrivati all’ultima lettura, un sonetto che è un’immensa preghiera d’amore, di straziante felicità. Il sonetto fa parte di un progetto di cui si cpiega Mazzoli. Anche qui, il commento musicale è stato composto e interpretato dall’autore.
Sonetto 16
Incombeva l’intero firmamento
su di noi e le nostre mani congiunte
invocanti un’ulteriore preghiera
sulla distesa notturna del grano.
Giacendo con la sete della vita
tra l’aroma dei giacigli di fieno
proclamavi la tua eterna vittoria
nei segni e nelle luci della notte.
Indagando le striature del buio
appesa ad un amore sovrastante
rispecchiavi le immagini degli astri.
Fosse all’improvviso caduto il cielo
su di noi e le nostre mani congiunte
ci avrebbe assorbito quell’universo.
Concludiamo con una domanda a Max Mazzoli. Le Poesie del Bosforo sono state scritte in inglese durante un soggiorno di ricerca in Turchia e poi tradotte in italiano dall’autore. La cifra stilistica è diversa rispetto alle liriche scritte in italiano?
Ci viene in mente Milan Kundera, che in un’intervista diceva che il suo primo romanzo scritto direttamente in francese anziché in ceco, la sua lingua natale (ci sembra “La lentezza”), era diverso dagli altri, perché anche la struttura narrativa risentiva della “nuova” lingua: più ordinata, cartesiana, geometrica, com’è il francese rispetto al ceco. E forse l’inglese rispetto all’italiano.