Il 27 febbraio 2015 Mirella Freni ha compiuto ottant’anni. Al Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena si è svolta una serata in suo onore. Molte sono le cose in comune tra il grande soprano e il grande tenore: il luogo di nascita, Modena; l’anno di nascita, il 1935; il lavoro delle mamme, operaie nella stessa Manifattura Tabacchi; la stessa balia, per cui Mirella e Luciano possono considerarsi fratelli di latte; e infine il successo nei teatri di tutto il mondo, la stessa incisione della Bohème con Karajan, dischi memorabili che fanno la storia della musica, una carriera che non ha eguali, il modo di cantare solare e il modo di chiamarsi affettuoso, con nomignoli: Luciano per Mirella era «Nano», e Mirella per Luciano era «Nana».
«Non c’è stato nessun calcolo all’inizio – ha raccontato la Freni per spiegare la sua carriera. Non mi sono mai detta “voglio diventare una grande artista”, ho cominciato da un grande amore per la musica, per la voce umana, da quando ero bambina. Io adoro la voce, non solo la mia, adoro sentire cantar bene». Mirella Freni cominciò come enfant prodige della musica lirica e con cinque anni di studi severi sotto la guida dei maestri Luigi Bertazzoni ed Ettore Campogalliani. Debuttò non ancora ventenne al Teatro Comunale di Modena nella Carmen di Georges Bizet nel ruolo di Micaela. Era il 3 febbraio 1955. La parabola ascendente della Freni comincia, dunque, con l’interpretazione di ruoli del soprano lirico nel genere sentimentale o patetico-giocoso, nelle Nozze di Figaro e nel Don Giovanni di Mozart, nell’Elisir d’amore e nella Figlia del Reggimento di Donizetti, ne L’amico Fritz di Mascagni, fino alla Nannetta. In mezzo, le creature femminili del teatro di Puccini, di Gounod, di Massenet, che hanno fatto della Freni l’interprete ideale dei personaggi di Manon, Marguerite e le altre eroine del repertorio francese; e di Mimì, Liù, Madama Butterfly della giovane scuola italiana, particolarmente di Puccini. E prima tra tutte la Bohème che, firmata da Karajan e Zeffirelli alla Scala, consacrerà la Freni come la maggiore interprete mondiale di Mimì nella seconda metà del Novecento.
Aveva 30 anni la cantante modenese, quando esordì al Metropolitan di New York nella parte di Mimì nella Bohème. Scrisse di quella interpretazione d’esordio il critico del New York Times Harold Schonberg: “Un’attrice cantante assolutamente superiore. Miss Freni non ha tenuto fede alla fama che l’ha preceduta qui, ha fatto di meglio”. Da allora la sua carriera al Met annovera 13 ruoli di primo piano, con tante altre Mimì e una spumeggiante Elisabetta nel Don Carlos di Verdi.
Herbert von Karajan – ricorda la Freni – «mi chiamava sempre Mirellina… allora ero magra e giovane. Amava la mia voce, amava la mia musicalità, il mio sentimento del fraseggio. Alla prima della Carmen, a Salisburgo, arrivata alla mia aria, “Je sais que rien ne m’épouvante”, lui ha detto ai Filarmonici di Vienna, “seguite lei!”, e poi ha allargato le braccia e le ha appoggiate alla balaustra, con tutto il pubblico che vedeva. E si è goduto il canto a occhi chiusi. E cantare con quel velluto d’orchestra era come fare all’amore!».
Tanti successi per le sue eccezionali qualità, che il giornalista Ronald Blum ha così riassunto: “Ha sempre avuto presenza, voce, abilità di recitazione, tenerezza e una capacità di comunicazione con il pubblico tale da suscitare emozioni”. Secondo lo scrittore Luca Fontana, la Freni fu «la più radiosa, corposa, splendente voce di soprano lirico che si sia mai udita, stilizzazione compiuta della liquidità vocalica della lingua italiana». Una galleria di personaggi – quelli interpretati da Mirella – che, nei primi dodici anni della carriera, si completa con I Puritani di Bellini e con la Traviata data alla Scala. Entrata alla Scala a ventisei anni vi interpreta la Nannetta del Falstaff. È l’inizio della sua intensa presenza sulla scena del celebre teatro milanese, presso il quale si contano di lei otto inaugurazioni e un pacchetto di titoli di straordinaria rilevanza eseguiti, nelle parti primarie, dal 1962 alle soglie del terzo millennio: Falstaff, Serse, Carmen, Elisir d’Amore, La Bohème, Faust, Turandot, Don Giovanni, Le nozze di Figaro, L’amico Fritz, La Traviata, Manon, La Figlia del Reggimento, Otello, Simon Boccanegra, Don Carlo, Ernani, Evgenij Onegin, Adriana Lecouvreur, La dama di picche, Fedora. Alla Freni dei primi anni succede poi la seconda fase di un percorso che si apre al Festival di Salisburgo con la Desdemona dell’Otello verdiano nel 1970, diretto da Herbert von Karajan.
È il passaggio dai ruoli della prima maniera, ai personaggi di altra statura nella dimensione vocale, nelle inflessioni espressive, nelle valenze drammatiche. Ed ecco Simon Boccanegra, Don Carlo, Ernani, Aida, la Manon di Puccini, Adriana Lecouvreur, preannuncio della terza fase, quella delle opere russe. La trilogia di Tchajkovskij: Evgenij Onegin (1984), La dama di picche (1990), La pulzella d’Orleans (2002). È la vita di un’artista che ha cantato con le più alte personalità della musica operistica e da concerto sulle massime scene del mondo: Karajan e Giulini, Visconti e Jean Louis Barrault, Kleiber e Abbado, Strehler e Ronconi, Prêtre e Gavazzeni, Jean Vilar e Zeffirelli; Levine, Solti, Sinopoli, Bartoletti, Muti, Ozawa. Impossibile elencarli tutti, come i teatri, del resto, che ricordiamo nelle loro principali espressioni, dalla Scala al Metropolitan; le massime scene della Mitteleuropa e dell’area austro-tedesca; Londra e Parigi, Madrid e Buenos Aires, Mosca e Tokio. L’unica contestazione Mirella Freni la ebbe nella Traviata del 1963 di Zeffirelli e Von Karajan, dove steccò nella cabaletta “Sempre libera” e si presentò stizzita con le mani sui fianchi a prendersi i fischi.
Mirella Freni sta oggi scrivendo la storia della scuola italiana dell’opera lirica: Insegna ai suoi giovani allievi la tecnica e la tradizione del bel canto italiano. Dei cantanti d’opera delle nuove generazioni si dice che non abbiano più le voci del passato: in realtà ci sono voci bellissime, ma è molto difficile trovare bravi maestri. Mirella Freni è solita ripetere ai suoi allievi che “per fare un bravo cantante ci vuole anche la voce, ma non solo la voce”. La passione, comunque, comincia da piccoli. «Nella mia famiglia – racconta – amavano tutti la musica, l’opera in particolare. Mia nonna da quando avevo dieci anni mi portava a teatro. Mi ricordo ancora adesso la prima opera che vidi, era la Tosca. Da allora, la felicità più grande era che la nonna mi portasse all’opera».
«Il mio primo maestro è stato uno zio, che era cantante dilettante. Con lui cantavo di tutto, anche le parti da baritono e basso». Cantare per amore, per passione, per bellezza: questo sembra essere il succo dell’insegnamento di Mirella Freni, una grande emiliana.
I suoi allievi l’hanno festeggiata cantando “Libiamo ne’ lieti calici”, il celebre brindisi all’interno del primo atto dell’opera Traviata di Guseppe Verdi.